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Bondi, è quasi ’mission impossible’ |
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La buona notizia c’è ed è la consapevolezza di Mario Monti che lo "spending review" costituisce un impegno vitale per il suo governo. Il suo esito chiarirà se parole come "rigoroso", "sistemico", "strutturale" costituiscono una retorica di pochi per giustificare sacrifici dei più o se rispondano ad un interesse comune. Questa volta non si tratta soltanto di obbedire a Bruxelles o di evitare il rincaro dell’Iva. La sfida è enorme, l’esito incerto, in quanto mette in discussione interessi antichi, che precedono il governo Berlusconi, e tale da chiarire la natura stessa di questo governo. Altro che il super-commissario Enrico Bondi, utile strumento o possibile capro espiatorio! Qualche annotazione di cronaca pure antica servirà a spiegare perché. Il ricordo più recente che ho di Piero Giarda, tuttora ministro incaricato dello "spending review", risale a quando lo inseguivo fin nella buvette del Senato con l’intento di ridurre le indennità di servizio all’estero di diplomatici e impiegati della Farnesina. Erano le Finanziarie degli anni Novanta. Anche allora Giarda, sottosegretario al Tesoro, era preposto ai tagli, ma quel tipo di tagli non li voleva, malgrado si trattasse di assurda manifestazione della giungla retributiva cresciuta attraverso decenni di clientelismo, soprattutto democristiano, tuttora fiorente. Ma niente in confronto ai funzionari del Tesoro e della Ragioneria che, inseriti in appositi elenchi, continuano a riscuotere prebende varie, soprattutto nella forma di gettoni di presenza in commissioni di collaudo di opere pubbliche che li collocano al livello dei grandi manager del settore privato. Quando tentai di mappare quella giungla - primo provvedimento necessario per sfoltirla - proponendo la costituzione di una commissione d’indagine che avesse il compito di accertare le retribuzioni reali in tutto il settore pubblico, mi saltarono adosso tutti o quasi, perché corporazione non morde corporazione e la politica stessa con i suoi privilegi già allora somigliava troppo a una corporazione. Perché succedeva tutto questo? Perché Giarda è già in difficoltà, come lo sarebbe chiunque altro al suo posto, allora come adesso? Perché il governo ricorre a Enrico Bondi? Semplicemente perché è molto difficile anche solo riportare a una ragionevole misura retributiva chi si conosce di persona o semplicemente lo si incontra nel corridoio di un ministero, in una cerimonia ufficiale, a messa, in una loggia massonica... Libri paga, enti inutili o acquisti esosi che siano, il discorso non cambia: si tratta di ferire interessi consolidati nella cerchia di coloro che contano nell’amministrazione pubblica. Altra cosa è imporre sacrifici dettati da fredda razionalità vera o presunta, a milioni di persone, semplici numeri con cui non si rischiano incontri ravvicinati, individui inermi se non tutelati da sindacati o partiti: è più facile bombardare una città di cui non si conoscono gli abitanti che colpire persone con cui si condivida una qualche appartenenza o vicinanza. A ben vedere è questa la logica cui il governo Monti deve sottrarsi. Dopo la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, l’insensata prova di forza del governo sull’articolo 18, la meritoria svolta nell’etica e nella politica fiscale, l’Imu, poco o nulla è stato fatto fino ad oggi che possa disturbare la classe dirigente così come si è formata e come si riflette nella stessa composizione del governo: il vero tallone di Achille dell’Italia rispetto agli altri Paesi più evoluti dell’Occidente.Ciò è ancora più evidente nel caso della casta politica, anche perché, per l’esposizione che ha subito, dietro di essa hanno trovato comodo rifugio le altre caste pubbliche e private. A parte infatti la meritoria imposizione di un tetto salariale ai dirigenti pubblici (comunque troppo generoso) e alcuni tagli annunciati alle alte sfere prefettizie e militari, che fine hanno fatto le misure di liberalizzazione nei confronti delle corporazioni che affliggono il Paese? Un’assicurazione importante è stata data: non vi saranno tagli lineari preferiti da Giulio Tremonti, doppiamente iniqui perché puniscono chi dovrebbe essere premiato e non puniscono a sufficienza chi lo meriterebbe. Ma vi saranno tagli nel momento in cui dovrebbero essere colpiti i così detti "interessi forti"? E’ questo il problema. E soprattutto vi saranno aumenti compensativi là dove lo esigono obiettivi di sviluppo, occupazione e competitività, e cioè per scuola, ricerca, tutela e promozione dei beni ambientali e culturali? O - per fare qualche esempio, ma ve ne sarebbero centinaia - assisteremo al misero spettacolo in cui il ministro della Difesa continuerà a difendere i suoi Starfighter residui (troppi) in nome di rapporti di dipendenza bilaterale con Stati Uniti peraltro obsoleti, anziché battersi per una difesa europea integrata, ma più efficace, meno costosa? Anche il nuovo ministro degli Esteri continuerà a proteggere le attuali indennità di servizio all’estero per assicurarsi la pace sindacale nonché scuole all’estero che, per beneficio di pochi, mangiano ciò che viene sottratto agli Istituti di cultura?
E che dire dei costi rappresentati dal Consiglio per gli italiani all’estero - i famigerati Comites - che continuano a costituire una macchina mangiasoldi che duplica quella rappresentata dagli appositi senatori e deputati eletti in barba al principio "no representation without taxation"? Tutto ciò a scapito di una cooperazione allo sviluppo e di una contribuzione volontaria al sistema Onu ridotti al lumicino. E ancora: il ministro dello Sviluppo riuscirà a fare un uso virtuoso dell’esperienza acquisita nel mondo delle banche per intaccarne i privilegi statuali o, quantomeno, per sfoltire l’elenco degli enti inutili ? E il presidente del Consiglio potrà fare pulizia in quell’intoccabile verminaio che si annida nel ministero dell’Economia che pure è suo? O i funzionari del Tesoro e della Ragioneria si dimostreranno più forti della General Electric, della Honeywell e di Microsoft che pure egli ha avuto il merito di piegare da commissario alla concorrenza dell’Unione Europea? Per non parlare di Rai, Alitalia ed altri fin troppo facili bersagli. Sarà la qualità dei tagli, più che la loro entità, o piuttosto una vera e propria riforma della spesa pubblica, a segnare l’operato del governo. Un’occasione da non mancare. Dopo numerosi ed ondeggianti annunci, un consiglio: innanzitutto fotografare e rendere nota a tutti la realtà che s’intende riformare. Senza compiacenze. Solleverà un vespaio, ma il governo Monti potrebbe ritrovare il sostegno del Paese.
Gian Giacomo Migone: eletto al Senato nel 1992, l’autore è stato presidente della commissione Esteri dal 1994 al 2001
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