blues di Medea
 







Maryia Lialiuk




“Maternity blues”(93’), terzo film del toscano Fabrizio Cattani, ha il ritmo drammatico lento di un canto.  L’opera è ispirata da un testo teatrale “From Medea” di Grazia Verasani. Musiche originali di Paolo Vivaldi. La pellicola è stata prodotta nel 2011 da Ipotesi Cinema Srl e Faso Film Srl  con il sistema The Coproducers . Presentata in anteprima alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed in Italia  viene distribuita da Fandango. Il tema  del film è  una realtà spesso ignorata, deformata e distorta dai mezzi di comunicazione di quattro donne infanticide. Una descrizione rispettosa e discreta dell’universo di alcune mamme assassine. Nell’ospedale psichiatrico giudiziario insieme a Clara interpretata da Andrea Osvárt, conosciamo Eloisa (Monica Barladeanu), Rina (Chiara Martegiani), Vincenza (Marina Pennafina). Nessuna di loro racconta a voce alta la propria storia. Essa si legge sui loro volti e scrutando i loro sguardi. È come immergersi in un abisso di dolore, di sensi di colpa, di angoscia. Cattani  fa vedere questo cosmo rimanendo imparziale, senza dare giudizi. Illustra un mondo luttuoso, evitato e sconvolgente per tutti.  Lascia tutto il pubblico da solo a riflettere e giudicare. Le quattro madri, immerse in fotogrammi blu sfocato ripetono, una dopo l’altra, “Non incolpo nessuno per quello che ho fatto”. Il dramma dell’infanticidio è universale. E’ un canto stonato per la gente comune che una donna possa uccidere il proprio figlio. Tra gli animali succede per evitare che la propria creatura sia preda di altri. Semplici immagini riescono a far crescere il senso di vicinanza al dolore vissuto drammaticamente dalle mamme che ti rimane immerso nel vuoto dell’animo uscendo dalla sala. Denso e profondo come il mare il ritmo del blues, melodia malinconica e ansiosa come gentile carezza della morte, torna alla mente sovrapponendosi alle immagini che scorrono sul telo bianco immacolato. Sembra che sia cantato dalle quattro, pietrificate immobili, in sordina per 93’. L’argomento trattato è forte e molto attuale.  Il messaggio sta nel far conoscere ciò che di solito viene messo da parte dall’insensibilità. Far riflettere sul ruolo che ogni singola persona ha nella vita di un altra. Non è necessario conoscersi, condividere le giornate, salutarsi. Ciascuno dà il proprio contributo alla costruzione della società. Essa a sua volta istituisce le proprie regole morali, comportamentali di un vivere civile insieme. Stabilisce cosa è “giusto” e cosa “sbagliato”, molto spesso dimenticando di capire il “perché”. Spesso l’infanticidio è la conseguenza di un trauma infantile, aggravato dalla solitudine e dall’indifferenza del mondo in cui si vive. Non è solo un problema della famiglia, lo è anche della collettività. Che valore ha oggi la famiglia? La fede quanto conta, che ruolo ha? Perché Vincenza, l’unica che crede in Dio si suicida? Forse per lei l’infanticidio è simile all’aborto? Morte e vita, sono due concetti affrontati in un modo insolito ed infausto soprattutto per la loro compresenza nelle storie delle protagoniste. Sono vive, ma non vivono più. Sono morte insieme ai loro bambini. Nell’istante preciso in cui ha smesso di battere il cuore delle loro creature diventano anime vaganti sospinte dal pentimento. Sono inchiodate al costante ricordo del baratro della follia in cui sono precipitate che le costringe ad una monotonia sofferta silenziosamente nel proprio intimo. La tragedia personale riflessa nei personaggi è immensa, drammatica, con percorsi diversificati. Nonostante la notevole preparazione delle attrici, è stato difficile loro immedesimarsi nel ruolo delle mamme killer. Misteri avvolgono i dolorosi racconti. Non è possibile capire cosa succede alla psiche umana in quell’ istante: un gesto completamente contro la natura, contro tutto ciò che l’umanità si aspetta da una madre. Molte, certamente, hanno, nel buio della sala, soffocato  tacite sconsolate lacrime avendo provato, anche se solo per un attimo, tanto odio per il proprio figlio. Ogni 5 minuti nel mondo nascono circa 2530 bambini, una gioia, nella maggior parte dei casi, ma chi sa quante mamme muoiono nello stesso momento, uccise da cinica apatia e dalla solitudine?.. Chi sa per quante di loro la gravidanza diventa quasi un funerale del proprio essere. Quanti dubbi, quante insicurezze provano? Quanta forza ci vuole e quanto coraggio per prendere la decisione di rinunciare a essere una donna desiderabile, indipendente. Abbandonare le proprie aspirazioni, la professione, il lavoro. Mettere da parte sé stessa. Dal primo giorno in cui una donna sente di avere dentro di sé una vita, sa che quella sarà l’unica  alla quale dovrà dedicarsi per proteggerla, nutrirla, educarla. Si dice che i figli sono del mondo… E le mamme di chi sono, quando i figli se ne vanno?.. “Che cos’è una madre?”, domanda Clara a Vincenza, “una che non può fallire mai?”. “L’istinto materno dici tu? Pensavo che fossero tutte uguali le donne, … Non è andata così… ”. Molto spesso non si può prevedere il nostro agire convulso violento inumano. E’ vero. Non è possibile evitare di essere travolti dall’improvviso ciclone che manda in frantumi la propria moralità. Queste tragedie si potrebbero evitare  ponendo molta attenzione ad intuire e conoscere il marito, il compagno, il fidanzatino  che noi donne abbiamo accanto.
Il film è una pagina di realtà violenta che  invita a riflettere e va visto e commentato con il proprio partner.