Quando l'ospedale è del cardinale
 







di Alessandra Fava




Ci sono viaggi della disperazione il cui dolore è conosciuto solo ai suoi viaggiatori. Una coppia ligure, lui 34 anni, lei 28, aspetta un figlio. Il primo. Una quindicina di giorni fa arriva in un nosocomio della Regione Liguria chiedendo di estrarre dal ventre il feto di sette mesi ormai morto. L'incubo è iniziato al sesto mese di gravidanza quando al Galliera un'ecografia rileva un'alterazione della circolazione cerebrale del feto. Insomma il bambino rischia di avere gravissime malformazioni al cervello e probabilmente di nascere già morto. Al Galliera però fatta la diagnosi, non vogliono fare l'aborto e la coppia comincia il suo viaggio prima di tutto alla caccia di certezze sulla diagnosi, nella speranza che qualcuno si sia sbagliato.
Vanno a Nizza dove dicono loro che non sono sicuri che ci sia l'alterazione. Poi ad Atene, famosa perché si recano tante donne italiane ad abortire, ma lì non trovano niente di anomalo. I due alla fine scelgono
il massimo ecografista europeo a Londra che conferma la diagnosi, esegue l'aborto con una puntura intra-cardiaca direttamente sul feto, ma per far uscire il feto ormai defunto vuole 22 mila sterline. La coppia che ha già speso una fortuna per appurare quello che già a Genova avevano detto all'inizio, ripara in un ospedale italiano per estrarre il bambino senza costi eccessivi. In mezzo ci sono quaranta giorni da incubo.
E' una storia emblematica della situazione sanitaria ligure, in qualche modo emersa con la polemica sul dirottamento delle donne che chiedono l'interruzione di gravidanza da un ospedale a preminenza cattolica e quindi zeppo di obiettori di coscienza come quello del Galliera a un altro ospedale genovese su cui ci sono state infinite polemiche (chiusura sì, chiusura no) legate alla razionalizzazione della spesa sanitaria regionale, quello dell'Evangelico, sempre a Genova, gestito da un gruppo di chiese protestanti in convenzione con la sanità regionale.
L'anomalia
tutta genovese è che alle Asl afferisce anche l'ospedale Galliera che fu donato dalla fondatrice, Maria Brignole Sale duchessa di Galliera, all'arcivescovado genovese che lo coordina con l'arcivescovo in persona in qualità di presidente del consiglio d'amministrazione. Come convenzionato con la Regione è anche l'ospedale pediatrico Giannina Gaslini la cui fondazione è presieduta sempre dall'arcivescovo genovese. Tra le peculiarità non fare l'epidurale (una vasca per il parto in acqua è novità degli ultimi mesi).
Per cui quando la scorsa settimana con una conferenza stampa Aied, Udi, Cgil, Usciamo dal silenzio e altre associazioni di donne hanno segnalato che al Galliera non si fanno più le interruzioni di gravidanza almeno da gennaio a oggi, è scoppiato l'ennesimo putiferio. Anche se sembra che questa volta Bagnasco non c'entri nulla e che siano stati i vertici dell'ospedale a scegliere di dirottare le pazienti a monte, vale a dire all'Evangelico, che si trova sulle alture
cittadine.
«Ha fatto scalpore la questione del Galliera - commenta ora la presidente dell'Aied, Mercedes Bo - ma noi abbiamo anche rilevato come sia a rischio di chiusura il centro di fecondazione assistita dell'ospedale di San Martino. Se si fanno i lavori straordinari finisce che a luglio chiude, un pessimo segnale». Insomma davanti a liste d'attesa per l'interruzione che si prorogano; la sperimentazione della Ru486 prevista a Savona e mai partita, la pillola del giorno dopo semisconosciuta, Bo ribadisce «lo Stato è laico e se ci sono leggi vanno applicate. Le interruzioni di gravidanza non devono essere fatte in un day-surgery come quello dell'Evangelico, ma in un reparto di ostetricia e ginecologia, come prevede la legge. Il Movimento per la vita dice che siamo certificatori di aborti. Mi sembra di vivere in una fase peggiore degli anni Settanta e la disputa almeno qui in Liguria si sta americanizzando. La differenza? Per ora non ci minacciano di morte».
Al Galliera dicono
che non è vero niente. Il direttore generale del Galliera, Adriano Lagostena ha spiegato che siccome da dicembre è nato il dipartimento chirurgico interaziendale, gli aborti che una volta venivano fatti dai medici dell'Evangelico anche al Galliera sono stati trasferiti direttamente all'Evangelico, proprio come gli interventi per la mano o la cataratta. Ma l'assessore regionale Claudio Montaldo (Ds) non si è accontentato delle giustificazione e ha chiesto ai due ospedali tutti i numeri delle interruzioni di gravidanza fatte nel 2007 ribadendo che «tutte le donne che si rivolgono agli ospedali devono essere prese in carico» e sarà quello che ripeterà ai due direttori in settimana.
Come si legge anche nell'intervista a Montaldo, negli ultimi anni il confronto con la Curia si è fatto via via più serrato su temi sanitari in apparenza, etico-religiosi nella sostanza. Nell'autunno del 2005 ci fu la disputa sulla sperimentazione della pillola Ru486 all'ospedale San Paolo di Savona. Dopo il
sì del consiglio regionale alla sperimentazione in tutti gli ospedali della Liguria e poi il via libera anche di un Comitato etico specifico, alla fine non è partita per niente. «Avremmo dovuto introdurne l'uso non tanto il dosaggio come fanno a Torino - spiega il primario di ginecologia ed ostetricia di Savona, Salvatore Garzarelli, responsabile del progetto - ma bisognerebbe che le ditte facessero domanda al ministero per l'importazione altrimenti la trafila è troppo lunga, praticamente ogni singola paziente deve chiedere a nome proprio il farmaco e attendere che la singola confezione venga importata dall'estero. Alla fine le mando a Mentone, che è solo a 100 chilometri di distanza e facciamo prima». Garzarelli racconta che solo in questi cinque mesi del 2007, ne ha mandato tre oltre frontiera. Per cui alla fine la maggior parte scelgono l'interruzione classica (230-240 aborti all'anno al San Paolo). Quanto alle polemiche riaccese dai comitati anti-abortisti, Garzarelli ha specificato che «i casi di morti sono avvenuti solo negli Stati uniti e non per effetti collaterali, ma per altre patologie».
La Ru486 anche se ha effetti collaterali non prevede alcun pericolo di morte.
La riflessione poi s'allarga: «per fortuna ora gli anticoncezionali si stanno diffondendo anche tra le extracomunitarie e infatti stanno scendendo le richieste di interruzione che riguardano spesso loro - racconta il primario savonese - Ma qualcuno si è mai chiesto che cosa vuol dire mettere al mondo un figlio, senza una rete di assistenza familiare, senza le amiche vicine, lontano dalla loro cultura e rinunciando temporaneamente anche a un lavoro?». A questa domanda, Garzarelli ha trovato una risposta in un gruppo di una quindicina di donne, anche immigrate. Si chiama «Mamme consapevoli», ricevono una volta alla settimana nel reparto di ostetricia e forniscono consigli e appoggio affettivo a chi ha appena sfornato un figlio. Sulla diagnostica prenatale però Garzarelli è
perentorio: «In Italia in molti casi facciamo la diagnostica più avanzata e poi non facciamo gli aborti quando i feti hanno malformazioni. Lo Stato deve farsi carico di queste questioni come in Gran Bretagna, Grecia o Spagna, con una normativa diversa».da Il manifesto