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Puglia: Il dramma della sanità |
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L’ex ministro Fitto nel 2004 perse le elezioni regionali e non fu rieletto governatore della Puglia per aver “parlato” di tagli ai posti letto e revisioni ospedaliere. La pseudosinistra animò le piazze e cavalcò la tigre del facile dissenso, promettendo scrupoloso riguardo alla salute e l’ospedale sotto casa. Passano per le mani alcune richieste di risonanza magnetica di alcuni cittadini baresi. Potranno effettuare gli esami ad ottobre (il più fortunato) e altri sino a dicembre. Le prenotazioni all’Ospedale San Paolo da gennaio 2013, al policlinico ancora peggio. Gli ambulatori privati, non eseguono gran parte delle prestazioni perché la regione non ha rinnovato gli impegni sottoscritti. L’esempio della risonanza magnetica è qui sotto mano, ma non si contano i disagi su ogni fronte. I cittadini baresi si recano in ogni unità provinciale da oltre cinque anni. E’ di moda spostarsi sino a 70km dalla città (poi si deve ritornare). La provincia si sposta a Bari in continuazione, tutti con enormi disagi e con il pericolo di incidenti, perché a fare questa spola sono gli anziani che non vogliono scomodare i figli presi dai problemi e della propria famiglia oltre che dal lavoro. Fitto fu fregato e Vendola giostra fra gli scandali più eclatanti che l’Italia abbia mai conosciuto. E’ stato rieletto in pieno scandalo-sanità con membri della sua giunta arrestati o da arrestare a fine mandato politico. Si trova da anni ad affrontare gli stessi problemi di Fitto che, almeno, a differenza di Vendola, affrontò la piazza per spiegare. Vendola affronta i microfoni con il suo stile di incantatore di serpenti, raccontando una marea di frottole. Ha nominato già tre assessori alla Sanità, sono saltate intere Asl, arrestati e incriminati numerosi dirigenti. Una strage e lui continua a impapucchiare la gente. Anziché governare la Puglia, pensa a come fregare Bersani e puntare al governo della nazione. Nessuno riesce a fargli notare il nulla che ha fatto dal 2004 in Puglia. Niente, solo chiacchiere con le parti sociali e soldi a pioggia a tutti senza nulla creare. Telenorba ha deciso di fare incontrare i due proprio sul tema Sanità, ma anche questa è politica teatrale spicciola e non risolverà certo il problema, perché la colpa è di chi li vota. La fortuna di Vendola è trovarsi di fronte Fitto ed una opposizione incapace di farsi sentire. Purtroppo la spesa per il sistema sanitario va contenuta, sono stati imposti i tagli e devono essere metabolizzati i sacrifici. Nei comuni c’è rivolta, le ulteriori chiusure di queste ore interessano Ospedali che funzionano come quello di Fasano e Mesagne (Br), Conversano (Ba), Trani (Bat), Nardò (Le). Ma non vanno dimenticati altri 40 nel mirino della regione. Allora, ci chiediamo, che cosa rimarrà ? Per esempio si dice che le cliniche sotto i 500 parti l’anno verranno chiuse. Si tratta di tagli lineari senza senso, basati sulla statistica, ma la statistica e la politica hanno distrutto la sanità. Vendola vorrebbe chiudere 42 “punti nascita”, 23 ospedali in meno (ma saranno oltre 40). Cosa sarà dell’occupazione nella nostra regione? Forse non basta la disperazione esistente nelle famiglie, i nostri figli non hanno uno zio come Giorgio Napoletano capace di fare assumere da Vendola la nipotina a suon di 100mila euro. Ogni Stato sa che la salute non può essere gestita da società per azioni, i criteri devono essere diversi. L’organizzazione può essere aziendale, il personale, gli acquisti e il controllo rigido per garantire l’assenza di furti e ruberie. Si parla di ulteriori tagli ai posti letto, circa 800 nel pubblico, nelle cliniche private, negli enti ecclesiastici. Insomma: il sistema sanitario regionale sta morendo a causa della politica. La “riforma” della Regione Puglia indica chiusura dei piccoli ospedali e sogna l’attivazione dei poliambulatori e delle case della salute. A questo si aggiunga la cattiva gestione delle Asl e il disordine del Policlinico di Bari nei rapporti con i propri pazienti. Si è tenuto, qualche giorno da, nell’aula magna della facoltà di Medicina il sesto convegno sullo stato della sanità pubblica, organizzato dal tribunale per i diritti del malato e dall’associazione Cittadinanzattiva. Tutti d’accordo nel condannare la politica dei tagli e un grido d’allarme lanciato dai medici. Il presidente provinciale dell’ordine, Filippo Anelli, ha ribadito la necessità di potenziare l’assistenza territoriale, considerato «il fallimento delle aziende sanitarie». L’Ordine stima che ogni anno in Puglia i medici di famiglia eroghino 900mila prestazioni, dalle medicazioni all’applicazione delle flebo e delle protesi, compresi piccoli interventi di chirurgia che decongestionano gli ospedali. «Se la categoria fosse opportunamente sostenuta, potrebbe fare ancora meglio» ha spiegato Anelli. Con 600 infermieri a disposizione (ma ne servirebbero 3.300) i medici di famiglia pugliesi non riescono a fare di più. Non a caso si è discusso anche delle liste d’attesa, soprattutto nel Policlinico. Antonio Campobasso, coordinatore cittadino del tribunale per i diritti del malato, ha esibito una prenotazione per un ecocardiogramma: tempo di attesa undici mesi. Sempre a proposito del Policlinico, Campobasso ha rilanciato le identiche denunce fatte un anno fa, alla precedente edizione dello stesso convegno. Su tutte, l’incapacità dell’ospedale di fornire agli utenti informazioni e accoglienza, sprovvisto com’è di un infopoint, di una carta aggiornata dei servizi e perfino di una pianta aggiornata della struttura. L’attuale tabellone presente all’ingresso principale risale al 1980. All’incontro hanno partecipato anche il direttore sanitario dell’Asl Bari Vito Gregorio Colacicco (ma era atteso il d.g. Domenico Colasanto), il presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittulli e il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri, nelle vesti di componente della commissione parlamentare sull’efficienza e l’ef ficacia del sistema sanitario nazionale. Per la parte organizzativa erano presenti la coordinatrice cittadina di Cittadinanzativa, Stefania Campobasso e il segretario regionale dell’associazione, Fernando D’Angelo, mentre per l’Università c’era il preside della facoltà di Medicina, Paolo Livrea, il tutto moderato dal giornalista Lino Patruno. Assente, a sorpresa, la Re gione. Non c’erano, difatti, l’assessore alle Politiche della salute, Ettore Attolini, né il direttore generale dell’Ares - agenzia regionale sanitaria, entrambi invitati al dibattito. Tra le molte polemiche, ci sono state anche le autocritiche. Colacicco, in particolare, ha detto che «l’autoreferenzialità sta facendo implodere il sistema. Sul piano politico, il direttore sanitario ha poi confermato l’immi - nente licenziamento dei 114 dirigenti medici, prima stabilizzati e poi messi alla porta per dichiarata incostituzionalità della legge regionale. Tutti d’accordo nel mettere sotto accusa l’approccio ragionieristico che sta guidando il piano di riordino pugliese. Lo ha ribadito Anelli nel suo intervento, lo ha confermato D’Ambrosio Lettieri che lanciato la proposta di istituire un osservatorio permanente sulla sanità, magari affidandolo proprio al tribunale per i diritti del malato. Durissimo, invece, D’Angelo, contro la politica regionale che «sta polverizzando l’assistenza territoriale» e contro le Asl «ricettacolo di personaggi a volte anche passati per la galera». Per il segretario regionale di Cittadinanzattiva serve un nuovo patto con i cittadini e «basta a chiedere soldi». Maurizio Friolo, vicepresidente della commissione regionale sulla Sanità, dal suo canto, ha fatto il punto sullo stato di crisi in cui versa la sanità pubblica brindisina e che non può che creare un’allarme crescente. Secondo il consigliere Friolo, “I problemi aumentano e si aggravano. Ma le responsabilità non possono certo ricadere sugli operatori della sanità pubblica, che vivono il disagio e le mortificazioni occupazionali e professionali, per la voluta riduzione del livello di assistenza ai cittadini” e la situazione è destinata ad inasprirsi con l’arrivo dell’estate. “Come sarà possibile garantire le ferie senza compromettere il funzionamento dei reparti ospedalieri - si è chiesto, aggiungendo che – “gli ospedali del brindisino sono al collasso, come ad esempio accade per il Camberlingo di Francavilla Fontana, proprio per la mancanza di personale medico, infermieristico e sociosanitario”. Uno Stato moderno ed efficiente lo si nota anche dalla funzionalità dei suoi servizi essenziali: la sanità è uno di questi, forse il principale, ma oggi purtroppo in Italia il Servizio Sanitario Nazionale è al centro di aspre polemiche per le sue disfunzioni e per i suoi alti costi. Certamente uno Stato democratico, come sancisce la nostra Costituzione, dovrebbe garantire a tutti i cittadini l’effettivo diritto alla salute, invece sempre più in questi ultimi anni abbiamo appreso dai giornali o dalla televisione di tanti casi di decesso per l’inadeguatezza delle strutture sanitarie: molte volte è capitato infatti che persone che avevano urgenza di essere ricoverate sono state respinte per mancanza di posti negli ospedali; sono capitati anche casi di ritardo nei soccorsi o addirittura casi di decesso per una grave e improvvisa mancanza, nel corso di un’operazione chirurgica, del filo di sutura. Ma, anche senza riferirsi ai casi più eclatanti diffusi dai “mass-media”, bastano le esperienze familiari di un qualsiasi cittadino per capire quanto l’improvvisazione, l’egoismo e l’interesse personale, oltre l’inadeguatezza della strutture, siano diffuse negli ambienti ospedalieri. Purtroppo il nostro paese, che vanta il quinto o sesto posto nella graduatoria degli stati più industrializzati e che, per il suo passato di civiltà, dovrebbe rappresentare un modello, è in realtà uno Stato caratterizzato all’interno della pessima gestione degli enti pubblici e dal degrado dei servizi sociali più importanti. Il Servizio Sanitario Nazionale, prodotto dalla riforma sanitaria di qualche decennio fa, presiede al più importante dei servizi sociali, quello della tutela della salute di tutti i cittadini, ma appare sempre meno in grado di garantire tale essenziale funzione. Al di là delle polemiche spesso di parte, il cittadino italiano non ha più la sicurezza di poter contare su un’efficace assistenza ospedaliera: o non si è accolti nei reparti o si è usati come cavie o si è costretti ad essere ricoverati in ambienti dalle condizioni igieniche precarie e spesso in una lunga lista di attesa per operazioni chirurgiche anche urgenti. Per queste ragioni le condizioni di tanti nostri ospedali sono al centro di aspre polemiche, ma i politicanti non sembrano interessati a tutelare il servizio sanitario. Alcuni, sulla base di ideologie neo-liberiste e di un sostanziale programma di privatizzazione degli enti pubblici, sostengono che i problemi della sanità italiana si possono risolvere solamente con la privatizzazione di molti settori del servizio sanitario. Costoro portano a sostegno della loro tesi soprattutto i sempre maggiori sprechi che si registrano nella sanità, il cui costo complessivo a carico della collettività è cresciuto di anno in anno. A questo si può ribattere dicendo che, innanzitutto, se i costi della sanità sono a carico della fiscalità generale, ebbene, data la consistenza dell’evasione e dell’elusione fiscale che ancora permangono nel nostro sistema tributario, i costi della sanità sono sopportati essenzialmente dal mondo del lavoro, che è poi quello che fornisce essenzialmente gli utenti della sanità pubblica. In secondo luogo, privatizzare il servizio sanitario vorrebbe dire sottomettere il delicato settore della sanità alle leggi di mercato con l’inevitabile esclusione di tante fasce di cittadini, soprattutto con redditi da lavoro dipendente, dall’assistenza pubblica garantita. Del resto sarebbe sufficiente osservare la realtà che si è determinata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dopo un decennio di liberismo economico e di privatizzazione dei servizi: vi si sono notevolmente innalzate le soglie di povertà con un numero sempre crescente di cittadini bisognosi, esclusi da ogni tutela assistenziale e, quindi, anche privati dalla concreta possibilità di assistenza medica, diventata per loro troppo costosa. Ridare efficienza al sistema sanitario italiano è possibile in realtà solo nell’ambito di una radicale riforma di tutto il sistema di servizi pubblici che, senza necessariamente essere privatizzati, dovrebbero piuttosto essere gestiti diversamente, in modo cioè più responsabile e più razionale, con l’eliminazione delle sacche di privilegio e, per quanto concerne specificamente la gestione delle Unità Sanitarie Locali, con la fine della lottizzazione dei partiti. Gli ospedali da chiudere, si sa, sono 18: quelli di Ruvo di Puglia, Bitonto e Santeramo nel Barese, Minervino Murge e Spinazzola nella Sesta Provincia, Cisternino e Ceglie nel Brindisino, Monte Sant’Angelo, Torremaggiore e San Marco in Lamis nel Foggiano, Gagliano del Capo, Maglie, Poggiardo nel Leccese, Massafra e Mottolo nel Tarantino. A Noci e Rutigliano già sanno che le strutture ospedaliere diventeranno centri di riabilitazione. Mentre la Asl di Bari ha già fatto sapere che il destino è segnato anche per Grumo Appula e Gioia del Colle. La rete ospedaliera potrebbe essere rivista e corretta prima delle vacanze estive. Vi sarebbero altri sei (in tutto ventiquattro) nosocomi destinati a finire nell’occhio del ciclone. Ventiquattro su cinquantatre in servizio permanente effettivo dal nord al sud della regione, divisi per le sei aziende sanitarie. Esclusi gli ospedali “grandi firme”, come il Policlinico di Bari o i Riuniti, a Foggia è l’Asl di Bari (1 milione 250mila abitanti per 18 presidi ospedalieri, compresi il San Paolo e il Di Venere): la scure dovrebbe abbatterne 9. Si fanno i nomi di Altamura, Gravina, Santeramo, Monopoli, Putignano o Conversano, Triggiano, due fra quelli di Molfetta, Corato e Terlizzi. Nel Tarantino (580mila abitanti e 7 ospedali) sarebbero esclusi quelli di Massafra e Grottaglie. Altrettanti nel Salento (800mila abitanti e 6 ospedali): uno fra Gallipoli e Casarano, nonché quello di Copertino. Un paio pure nel Foggiano (680mila abitanti e 7 ospedali): San Severo e Cerignola. Sarebbero invece, non meno di tre nella neonata Bat (390mila abitanti e 7 ospedali): Trani, Canosa e Bisceglie; là dove potrebbero prendere corpo due nosocomi nuovi di zecca: il primo fra Trani e Bisceglie, il secondo tra Andria, Canosa e Minervino. Sei, infine, dovrebbero essere quelli del Brindisino (400mila abitanti e 8 ospedali): San Pietro Vernotico, Mesagne, Ceglie, Ostuni, Fasano, Cisternino. Lucera/foggia. L’obiettivo è bloccare il deficit (l’anno scorso attestato a 300 milioni di euro). Una “lista nera”. Anzi, nerissima. Antonio Rossini |
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