Centrosinistra. La Duma piddina detta le sacre leggi dalemiane
 











Nel centrosinistra, in previsione del voto del 2013, i giochi sembrano fatti. La dirigenza del Pd e più precisamente l’ala che fa capo a D’Alema ha imposto la sua linea: alleanza con l’Udc di Casini e probabile patto di fedeltà con il Professore. Indietro, come dice Bersani, non si torna. E Vendola dovrà decidere se stare con il Pd dei banchieri e con crociati o buttarsi tra le braccia del rude Di Pietro. Per quest’ultimo invece la prospettiva di restare fuori è quasi certa. A meno che non vada ginocchioni da san Casini.
Il modello dalemiano ha dunque preso il sopravvento su tutte le altre proposte. Niente ritorno al centrosinistra con piegamento al radicalismo dei rifondaroli e dei giustizialisti. E le parole dello scudiero centrista-piddino Fioroni suonano come un ultimatum. “Il paese -ha precisato l’esponente del Pd- ha bisogno che si costruisca   un’alleanza di governo stabile e credibile e non può che essere   alleanza
tra moderati e riformisti”. E aggiunge che farsi porre sotto esame dai vari Vendola e Di Pietro è inaccettabile. Agli ex diccì non piace soprattutto la deriva dipietrista confluita negli attacchi all’inquilino del Colle. Le tirate per la giacchetta di Napolitano, quindi, non saranno più tollerate. “Di Pietro con i toni che usa è al di fuori della nostro orizzonte di alleanze e Vendola deve evitare la dipietrizzazione dimostrando di far parte di una sinistra responsabile e di governo, come ha dimostrato la sua esperienza in Puglia”. Tutto chiaro: l’Idv è fuori mentre per Sel ci sono gli esami di riparazione. Il problema delle alleanze ha anche una doppia valenza: non solo vincere le politiche ma sfondare nelle regioni roccaforti Lega-Pdl. Ovvero Veneto e Lombardia. Per questo un centrosinistra di moderati e riformisti è d’obbligo, almeno secondo il progetto dalemiano. Fare breccia nella piccola imprenditoria vorrebbe dire togliere ossigeno al Carroccio e al Pdl. “Per questo bisogna costruire da subito, anche e soprattutto in Lombardia, una coalizione tra moderati e riformisti che  rappresenti una garanzia per quel forte e capillare tessuto di imprese e di società civile che crede fortemente nella solidarietà e nella sussidiarietà”. Il tentativo è stato già fatto nel corso degli anni ma senza troppi risultati. Certo, ora, la situazione è cambiata. La Lega, infatti, è piegata su se stessa per le note vicende legate alla questione morale. Per questo l’attacco del Pd e dell’Udc potrebbe produrre dei risultati differenti rispetto al passato. “Anche il Pd -ha spiegato l’ex diccì- deve creare una profonda discontinuità con il passato”, In quanto,, a suo dire, non è sufficiente il rinnovo delle carte d’identità, ma occorre la sostanza di progetti e programmi di un sistema nuovo per ottenere la fiducia dalla gente e non dare la sensazione di un gattopardismo lombardo in cui si cambia tutto per non cambiare nulla. Sfondare nelle regioni roccaforte del Carroccio significa far saltare l’asse con il Pdl. E’ vero che fino a ieri il rapporto tra Formigoni e Maroni era piuttosto traballante, tant’è che una fine anticipata della giunta lombarda era data quasi per certa, ma poi con l’acclamazione di Bobo a nuovo segretario le cose sono cambiate. 
E per questo il Pd passa al contrattacco proprio per impedire che l’asse Maroni-Alfano prenda corpo. 
Le spine nel fianco del centrosinistra non sono legate solo alla questione delle alleanze. Nel Pd c’è sempre la spina Fassina. Ogni tanto punge e fa male, soprattutto ai dalemiani. Questa volta il responsabile dell’Economia del partito mette le mani avanti, sostenendo che non si può prescindere dal Bersani a Palazzo Chigi. Certo con Monti alleato è facile ipotizzare una convivenza agitata. “Per affrontare i problemi del Paese e dell’Europa serve discontinuità programmatica. Bisogna saper mettere al centro dell’azione del governo che verrà le politiche del lavoro, le questioni sociali,
l’equità”. E’ solo demagogia, in quanto il partito di cui fa parte Fassina è andato in tutt’altra direzione. Non solo ha accettato e condiviso le richieste della Bce ma si è anche genuflesso ai diktat di Bruxelles. E quindi riforma delle pensioni, riforma del lavoro, tagli al settore pubblico e tante tasse in più. Poi, detto francamente, appare paradossale questa convivenza sotto lo stesso tetto tra Fassina e Monti dopo gli attacchi dell’esponente del Pd. Ma la soluzione è nell’aria. A Monti, per il responsabile economico piddino, verrà lasciata aperta la porta per un incarico futuro come ministro ma non come primo ministro. Dunque a buon intenditor poche parole.michele mendolicchio