Napoli, il viaggio a ritroso del regista Abel Ferrara
 







di Irene Alison




Il Bronx della sua infanzia lo ricorda come «una piccola Napoli»: un nonno a New York da una vita senza mai perdere il suo accento del profondo sud e una cucina dove in pentola bollivano solo cibi partenopei. A Napoli, Abel Ferrara è tornato per inseguire le sue ultime visioni, tre progetti le cui strade si intrecciano tra memoria e futuro, ricerca di radici e di risposte ai malesseri di una città inquieta almeno quanto lui.
Tra gli «incontri ravvicinati» del NapoliFilmFestival, il cineasta newyorkese, che ha scelto il suo Mary per raccontarsi al pubblico, ha accennato alle ragioni che lo legano oggi alla città. Prima di tutto un documentario - costola di un progetto dell'associazione napoletana Figli del Bronx, che ha coinvolto cinque registi (oltre a Ferrara, Mario Martone, Carlo Luglio, Diego Olivares e Toni D'Angelo) nella realizzazione di un film a episodi nei penitenziari campani di Pozzuoli, Nola, Nisida e Aversa - sulle donne del carcere
femminile di Pozzuoli.
«Più che un racconto sul 'dentro' - spiega Ferrara - un'occasione per uscire fuori, e svelare un sistema che non funziona». Un percorso ancora da tracciare, fatto di rotte trasversali, dai quartieri della cronaca nera a quelli dove il mare luccica, dalle storie di Scampia a quelle di Posillipo, per spiegare «l'assenza di speranza di queste donne, la loro ineluttabile impossibilità di riscatto». E pure, la condizione di una reclusione che è dappertutto uguale, dalle prigioni di Napoli a quelle d'America, nelle celle dove finisce chi ha sbagliato e chi non ha avuto altra scelta. Ma Napoli è, per Ferrara, anche il luogo di un ritorno, di una riappropriazione. Qui comincia infatti la storia - che sembra già scritta per diventare cinema - della sua famiglia, di quel nonno partito da Sarno in cerca di fortuna e approdato a New York senza sapere una parola di inglese. «La fortuna, mio nonno non l'ha mai trovata - racconta - ma nel Bronx, dove ha vissuto tutta la
vita, ha cresciuto dodici figli». «Non è la sua vera storia ad interessarmi - continua il regista - ma, piuttosto, le ragioni che spingono un ragazzo del 1900 a lasciare il suo mondo per scoprirne un altro».
E un viaggio - attraverso una città in cui è faticoso sopravvivere e verso un'identità costruita tra errori e espiazioni, amore e pallottole - è anche quello compiuto da Pericle il nero, protagonista del romanzo del napoletano Giuseppe Ferrandino e del film cui Ferrara (subentrato a Francesco Patierno, inizialmente coinvolto nel progetto) comincerà a lavorare dall'ottobre prossimo. Pericle sarà Riccardo Scamarcio e il film, annuncia Ferrara, «sarà girato a Napoli e tutto in dialetto».
Il regista di Mary e di Go-go tales è pronto a cambiare ancora una volta colore e latitudine alle sue visioni, perché «i film sono ciò che sei e ciò che diventi. Solo chi non cambia mai fa sempre lo stesso cinema».da Il manifesto