Toscana rossa o quasi. Sd alla prova
 







di Loris Campetti




Il nostro viaggio tra le fiammelle rimaste accese dopo l'autombardamento del maggior partito della sinistra che ha liquefatto gli ulivi, le querce e le sue stesse radici non poteva che terminare in una regione rossa: la Toscana. Anche se, con i tempi che corrono, il termine «regioni rosse» è più un'abitudine, un portato della memoria collettiva, che non una concreta rappresentazione della realtà. L'ultima tornata elettorale ha soltanto confermato il processo di smottamento delle sinistre e la tenuta delle roccaforti «rosse» è sempre più faticosa. Nelle Marche la «prima» del Partito democratico si è risolta in un bagno, non certo di folla, in città non più così sicure come Ancona, Jesi, Fabriano, Tolentino. In Emilia dove tutto scricchiola. In Umbria dove una roccaforte come Todi è stata espugnata dalla destra. E in Toscana, dove persino Pistoia ha fatto tremare la coalizione di centrosinistra. A Quarrata, racconta il coordinatore regionale di Sd Giuseppe Brogi, «il centrosinistra ha vinto per soli 100 voti». A Carrara, luogo della memoria per l'intera sinistra, una città «classista», di anarchici e cavatori, su 10 consiglieri eletti dal nascituro Pd 7 sono targati Margherita e solo 3 Ds. Se aggiungiamo i 2 consiglieri eletti da Rifondazione e 1 dal Pdci, la somma delle forze di sinistra, anche a essere di bocca buona, fa 6. 6 su 30 consiglieri, a Carrara.
Brontoloni e fedeli nei secoli
Cercare le fiammelle della Sinistra democratica in Toscana non è un'impresa titanica, se ne trovano, e come. Ma non bisogna dimenticare che anche nella regione delle mille Case del popolo la tendenza è quella sopra descritta. C'è una seconda premessa da fare. I toscani e le toscane sono brontoloni, ipercritici, anche quelli che non hanno mai troncato i legami con la tradizione comunista. Ma quando il partito ordina - anche se non si chiama più comunista e non si chiamerà più di sinistra - si scatta. Se c'è da eleggere Di
Pietro nel cuore rosso del Mugello si obbedisce, e così se c'è da sciogliere il partito. Senza tagliare i ponti con le tradizioni, per carità. Così capita che tanti militanti che hanno scelto Sinistra democratica seguiteranno a fare tagliatelle e arrostire braciole alle Feste dell'Unità, come tutte le estati. Ce lo racconta Daniele Baduzzi, consigliere comunale a Firenze dove coordina Sinistra democratica, e ci fa l'esempio della Val d'Arno.
Peccato che alla fedeltà dei militanti non corrisponda quella degli elettori, sempre più tentati dall'astensionismo. Nelle regioni rosse la destra non cresce per meriti propri ma per effetto dello smottamento della sinistra. Anche qui nella Toscana dei piccoli comuni dove non solo la memoria ma anche le relazioni sociali resistono, gli insediamenti cominciano a scricchiolare, non siamo alla desertificazione del Nord ma la tendenza è preoccupante. Non parliamo poi della questione operaia, in generale dei lavoratori dipendenti: «Al congresso
fiorentino dei Ds delle sezioni industria e sviluppo di cui fanno parte tutte le sezioni aziendali hanno partecipato in 14, tolti i pensionati e i funzionari sindacali gli operai erano 4. Allla fine, 14 voti per Fassino». In generale i gruppi dirigenti della Cgil, che in giro per l'Italia si sono divisi tra Pd e Sd, in Toscana hanno scelto compattamente il Partito democratico. A Firenze l'unico segretario di categoria che ha rotto l'ordine non scritto di scuderia e sta con Sd è quello del Nidil.
In regione la mozione Mussi non è andata oltre il 12%, anche Angius ha raccolto voti ma i suoi militanti, tranne qualche eccezione lungo la costa, hanno deciso di andare a fare la minoranza nel Partito democratico. Sono a Firenze i radicamenti più solidi di Sd. Nella città che nel '21 diede i natali al Pci, Livorno, per il movimento di Mussi partenza in salita con il 13% di consensi congressuali compresi anche i voti alla mozione Angius. Eppure, la scorsa settimana si è già tenuta la prima
festa di Sd alla Fortezza vecchia, tre giorni densi di politica e crostini di cinghiale, lotta al precariato, difesa dell'ambiente e «tombolata livornese». La parola d'ordine è nota: «Cambiare l'Italia, unire la sinistra, governare l'Italia». Stefano Tamberi rappresenta l a folta anima giovanile di Sd, in cui stanno convergendo amministratori, consiglieri, capigruppo, vecchi quadri comunisti e l'area laburista forte in regione grazie al lavoro del deputato Valdo Spini. Nessuno qui, come nel resto della regione, parla esplicitamente di futuro partito, tutti ripetono «movimento», eppure le spinte a darsi una struttura classica (un esecutivo che però si chiama «gruppo di lavoro») e magari a rivendicare un assessore, non mancano. Partito o movimento? Movimento, certo, ma organizzato con sedi, feste, «per non dare la sensazione ai compagni che l'alternativa sia tra il Pd e il vuoto», precisa Daniele secondo il quale organizzazione del movimento e costruzione di una patica unitaria a sinistra devono procedere insieme. I rapporti a sinistra, a Livorno ma anche a Firenze o in Regione, sono complicati dal fatto che Rifondazione è all'opposizione, e in qualche caso come al comune di Livorno lo sono anche i Verdi. Persino la costituzione di coordinamenti per avviare un lavoro comune segue un percorso più accidentato che altrove. C'era un tempo in cui i Ds erano così forti da sentirsi padroni di tutto, potevano fare a meno anche dell'Unione. Da un anno in Regione va avanti lo sforzo del presidente Martini volto a riportare il Prc nella maggioranza, ma la Margherita continua a mettere i bastoni tra le ruote. E' ovvio, ci ricordano i coordinatori fiorentino e toscano, Baduzzi e Brogi, che il superamento dell'anomalia è una condizione per accelerare il lavoro unitario a sinistra, nei territori e nelle istituzioni (Sd ha due consiglieri regionali).
Per buona parte dei Ds toscani l'approdo nel Pd è stato un fatto naturale, la conclusione ovvia di una confluenza al centro
prima ancora che un mal posto senso del dovere e dell'obbedienza ai gruppi dirigenti. Ma la Toscana è una regione ricca di movimenti non solo tradizionali, e ricca di luoghi di aggregazione. Sono in provincia di Firenze - in città Sd ha vinto il congresso in 6 sezioni su 29 - ci sono 300 Circoli Arci, le mitiche Case del popolo che in molti casi ospitano le sezioni ex-Ds e si preparano ad ospitare quelle di Sd. Dopo il disastro economico della Festa dell'Unità del 1988, la proprietà delle sezioni è in mano all'Arci, e questo dovrebbe consentire una divisione meno conflittuale tra Ds e Sd. Tanto più che, fatta salva l'autonomia dell'organizzazione guidata nazionalmente dal toscano Paolo Beni, importanti dirigenti dell'Arci si sono schierati con Sd. Si può dire con tranquillità che nell'Arci e nelle Case del popolo Sd è più forte tra i gruppi dirigenti che nella base circolistica più tradizionale, tresette e socialità. A Firenze Sd ha 5 consiglieri dei 18 di matrice Ds che ora ha costituito il Pd in comune, sostituendo i 5 perduti con altrettanti della Margherita: la somma è sempre quella, 18, lo stesso non si può dire per l'orientamento. Basti dire che la scorsa settimana il Pd ha votato contro la presenza del gonfalone della città al Gay pride, segno del ruolo che nel nuovo partito gioca la Margherita e alla fine della fiera, grazie alla destra che ha fatto mancare il numero legale, anche la semplice adesione del consiglio comunale all'appuntamento romano è saltata.
Margherita d'assalto
La Margherita spinge e riesce a far crescere il suo peso nelle scelte politiche. Valdo Spini si dice preoccupato per «la pretesa degli uomini di Rutelli di mettere le mani sulla presidenza del consiglio regionale, cosicché il Pd avrebbe tutto in mano». Spini ha radici a Firenze, a Livorno, a Massa. E' vicepresidente del gruppo Sd alla Camera, ha dalla sua una sezione nel capoluogo toscano. Spini vuol anche dire Fondazione Rosselli. Vuole una «sinistra
senza aggettivi, radicata nel socialismo europeo». Ha in testa i diritti civili e un mercato che non travalichi verso «una ocietà di mercato». Parla di «movimento biodegradabile» contro il rischio partitista.
A Sd si avvicinano molti giovani. Tra loro c'è Claudio Gani, ex segretario di Sinistra giovanile: «In direzione abbiamo deciso a maggioranza di non aderire al Pd e lavorare al movimento. Con noi ci sono un centinaio di militanti e molti iscritti». Claudio è diviso tra due sentimenti: «entusiasmo nel provare a unire la sinistra con nuove categorie ma anche scoramento rispetto a una politica sempre più distante dalla gente comune». L'unità, dice Claudio, non si fa mettendo insieme pezzi di gruppi dirigenti ma «costruendo una pratica comune nei territori». I guiovani, racconta, proporranno una festa unitaria a fine luglio e dopo l'estate «due o tre giorni di confronto tra i dirigenti dei partiti di sinistra e i giovani, perché l'unita bisogna farla subito, con il pessimismo della
ragione e l'ottimismo della volontà». Siamo in una delle più vecchie Case del popolo di Firenze, L'unione di Ponte a Ema nata come Società di mutuo soccordo nel 1872. Sul muro esterno c'è una lapide «A Ethel e Julius Rosenberg vittime del fascismo americano/ Per la giustizia e la pace/ Il popolo di Ponte a Ema». Nel salone Fabio Mussi incontra un centinaio di giovani e meno giovani militanti che frequentano questo circolo, in un faccia a faccia (lo chiamano question time) che dua più di tre ore, poi la cena sociale. Il presidente del circolo Arci è Mario Orlandi, ti aspetteresti da lui un atteggiamento partitista della serie «non c'è lotta non c'è conquista...» e invece spiega che «per non perdere le radici bisogna unire le sinistre, sarei deluso se il tutto si risolvesse con un nuovo partitino».
La compagna Annalisa è stata eletta segretaria nella sezione in cui ha vinto il congresso Mussi, ora si interroga sul «futuro dei rapporti istituzionali e con i compagni Ds». C'è un maturo
militante uscito dal Pci ai tempi della Bolognina che ha provato prima con Rifondazione e poi con il Pdci, ma con scarsi risultati: «Questa è l'ultima occasione per riunificare la sinistra, nelle Case del popolo c'è una grande aspettativa ma nei gruppi dirigenti vedo troppi distinguo». Domande senza rete, risposte a raffica. C'è qualcosa del Pci di Berlinguer in questi confronti diretti, nello stile ma anche nella cultura politica. I più giovani parlano un linguaggio diverso. Quelli di Sd, precisa Brogi, perché la maggioranza di «quelli che dai Ds stanno virando verso il Pd sono i classici giovani in carriera».
Separati in casa
Non si prevedono scontri pesanti in Tiscana tra compagni separati, e non solo perché le sedi non sono di proprietà dell'ex partito comune. Difficilmente ci saranno epurazioni di amministratori passati con Sd, così come l'orientamento dei mussiani non è quello di chiedere assessorati ovunque abbiano una presenza istituzionale consistente.
Uno dei primi obiettivi è di ricucire un buon rapporto con Rifondazione anche là dove è all'opposizione. Ma indubbiamente il nuovo movimento dovrà fare i conti con il partito pigliatutto che non c'è ancora e con cui condivide il governo del territorio. Sd parla di moralizzazione della politica, mica una cosa da niente in una regione in cui «abbiamo governato sempre noi». E dove i nodi stanno venendo al pettine. Non basta dire «partecipazione», bisogna renderla possibile. Cioè bisogna guardare alla società, fuori dagli orizzonti ristretti della vecchia politica.da Il manifesto