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Gli Usa: -Non ci processerete-
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di Sara Mrnafra
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Strattona e punta i piedi il Dipartimento della difesa americano. Non vuole essere coinvolto nel processo per l'omicidio di Nicola Calipari e per sostenerlo ha scritto una lettera al ministero degli Esteri italiano. Nel documento di poche righe il Dipartimento sostiene di non poter essere citato come responsabile civile perché «gli Stati uniti sono uno "stato sovrano" - dice in sostanza il testo - e dunque non possono essere coinvolti in un processo italiano». L'argomentazione è povera, i processi che coinvolgono ministeri di altri stati perché paghino non sono una novità di questo processo. E, infatti, la lettera arrivata a Roma non ha nulla di giuridico. Come è sempre accaduto dal giorno della sparatoria sulla strada dell'aeroporto di Baghdad ad oggi, Washington cerca di accreditare una propria interpretazione delle leggi italiane che li tiri fuori dal processo di Roma. Il problema è che questa volta la procura romana sembra voler dare ragione agli Stati uniti al punto che i pm starebbero valutando di intervenire durante il processo per chiedere che il Dipartimento della difesa Usa sia escluso dal dibattimento. Cerchiamo di capire meglio. All'inizio del processo la nostra inviata Giuliana Sgrena ha chiesto che a pagare per i danni che ha subito sia l'amministrazione americana. Il gup le ha dato ragione e l'atto di citazione è stato inviato a Washington, per la verità con qualche problema da parte della Farnesina. Secondo il codice di procedura penale il responsabile civile citato non è obbligato a partecipare al processo. Può farlo, come del resto può presentarsi in aula e chiedere di essere escluso dal giudizio (ma è piuttosto difficile che gli Usa spediscano a Roma un avvocato per discutere di un processo che per loro non esiste). Ma se non si presenta il processo prosegue normalmente e alla fine la sentenza tocca in ogni caso sia il responsabile civile sia l'imputato. Washington a questo punto ha solo due strade per evitare di finire nel processo per la sparatoria del 4 marzo 2005 sulla strada dell'aeroporto di Baghdad: la prima è che nella citazione ci sia un difetto o che l'atto non arrivi all'interessato. Ma questa strada è stata esclusa da alcuni giorni. Lo scorso 13 giugno il primo console dell'ambasciata italiana a Washington ha scritto all'avvocato di Giuliana, Alessandro Gamberini, che la notifica è «avvenuta». Quindi le carte sono a posto. L'altra strada è che durante l'udienza del prossimo 10 luglio il presidente della corte d'assise, chiamata a giudicare il soldato Mario Lozano per l'omicidio di Calipari ed il tentato omicidio di Giuliana e dell'agente Sismi Andrea Carpani, valuti che «non esistono i requisiti» per tirare in ballo l'Esercito Usa nelle colpe del soldato che aprì il fuoco. Sarebbe singolare, ma anche i pm che accusano Lozano potrebbero prendere la parola per invitare la corte ad escludere Washington dal processo. «Sul piano processuale non cambia nulla», dice Franco Coppi il legale di Rosa Villecco Calipari: «Nessuna meraviglia per la decisione del Dipartimento della Difesa americano che ritiene di non poter essere citato come responsabile civile nel processo per l'uccisione di Nicola Calipari». Prudente l'avvocato di Lozano, Biffani: «Le motivazioni che usano sono state considerate valide dalla Corte europea dei diritti dell'uomo». Il 10 luglio si saprà cosa ne pensa il tribunale.da Il manifesto |
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