Sulla Germania si gioca il futuro dell’Europa
 











Le prospettive economiche della Germania sono da considerarsi negative. Questo il giudizio di Moody’s, agenzia di rating Usa famosa per avere assicurato nel 2007 sulla piena affidabilità patrimoniale e finanziaria della Lehman Brothers, banca che al contrario, in virtù delle proprie disastrate condizioni, si stava avviando verso un inevitabile e meritato fallimento. Questo per dire che i giudizi di Moody’s lasciano il tempo che trovano anche se, purtroppo, sono in molti gli operatori che tengono conto dei suoi consigli di investimento che peraltro sono a pagamento.
Che l’economia tedesca avesse rallentato era cosa nota ma tutti i Paesi europei vorrebbero trovarsi nelle sue condizioni. Secondo un rapporto del Fondo monetario del 3 luglio scorso, quest’anno si dovrebbe avere infatti una crescita dell’1%  mentre nel 2013 sarà dell’1,4%. Se anche il principale organismo usuraio globale vede roseo il futuro tedesco, è irrilevante in tale ottica
che la Germania sia uno dei primi finanziatori del Fmi, i casi sono due. O gli analisti di Moody’s non capiscono niente e i loro giudizi sono frutto di un gioco dei bussolotti. O i rating sono mirati a perseguire una precisa strategia coordinata di attacco all’euro nella quale l’altro attore è rappresentato dalla speculazione internazionale anglofona che si muove da Wall Street e dalla City, e dai paradisi fiscali sotto controllo anglo-americano.
La tempestività  di Moody’s, che si è attaccata ai gravi problemi che potrebbe incontrare Berlino per il salvataggio dell’euro, della Spagna e della Grecia, data per sicuro fuori dall’euro, è poi alquanto sospetta se si pensa che insieme a quelle della Germania sono state stroncate le prospettive di crescita dell’Olanda e del Lussemburgo. Guarda caso i tre Paesi reputati finanziariamente più solidi dell’Unione, gratificati della tripla A, unitamente alla Finlandia che però è stata lasciata in pace. Quei Paesi che, con Francia, Belgio,
avrebbero dovuto dare vita ad una nuova Europa più virtuosa e basata sull’asse carolingio.
La spiegazione è quindi molto semplice. Società come Moody’s, banche come Goldman Sachs, finanzieri come John Paulson, perseguono coscientemente il disegno di fare crollare l’intero edificio dell’euro. Prima si è partiti con gli attacchi ai Paesi dell’area Sud, come Portogallo, Grecia, Spagna e Italia che in verità, con i loro grandi debiti pubblici, superiori al 100% del Pil, hanno offerto ampie possibilità di manovra ai banditi di Wall Street. Anche se, c’è da ricordare, che un Paese come il Giappone, con un debito al 240%, non è sottoposto ad attacchi speculativi.
Ora, invece, con l’approssimarsi della chiusura estiva e con lo svuotamento dei Palazzi del potere politico nazionale e comunitario, un periodo nel quale, i tempi di reazione saranno inevitabilmente più lenti, si stanno saggiando i primi effetti di un attacco alla Germania, il Paese economicamente più forte dell’Unione e quello
che, attraverso la propria crescita, ha compensato le difficoltà degli altri.
Per Berlino si tratta soltanto di una rivisitazione delle prospettive di crescita ma se si tiene conto che, nelle dinamiche operative di Moody’s, questa è la premessa di un declassamento della solvibilità futura dei Bund tedeschi decennali, si comprende bene il perché delle reazioni stizzite dell’autorità tedesche. I Bund sono infatti considerati il punto di riferimento degli equilibri dei mercati finanziari europei. Il differenziale di rendimento (spread) tra i Bund e recentemente i Bonos spagnoli e i Btp italiani è la pietra angolare per misurare la fiducia degli investitori, o le mire degli speculatori, su questo o quel titolo. Mettere sotto tiro la Germania e i Bund significherebbe che, al di là delle dichiarazioni di facciata dei governi, è stata ufficialmente dichiarata dagli Usa e dalla Gran Bretagna, dal dollaro e dalla sterlina, la guerra contro l’Europa e contro l’euro, la cui posta in palio è il
predominio come moneta di riferimento nelle transazioni commerciali e finanziarie internazionali.
La tempestività di Moody’s è legata anche al fatto che in diverse opinioni pubbliche nazionali, appunto tedesche e olandesi, sta prendendo quota il rimpianto per i tempi nei quali c’erano il marco e il fiorino ed un Paese doveva pensare a risolvere i propri problemi da solo. Non si doveva pensare ai debiti di Grecia, Spagna e Italia. Così gli attacchi di Moody’s a Berlino contribuiranno pure a rafforzare le tendenze anti europeiste ed anti euro presenti nella società tedesca. A conferma che l’iniziativa di Moody’s è più che sospetta. Significativo è anche il fatto che Barack Obama, il maggiordomo di Wall Street, a capo di un Paese il cui debito federale è al 101% del Pil, che sale al 135% con il debito degli enti locali, abbia avuto la faccia tosta di chiedere all’Europa di mantenere gli impegni presi al G20 per ridurre il debito e stabilizzare i mercati.
Appare quindi incredibile la
replica del presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker, che ha ribadito il forte   impegno di Bruxelles per assicurare la stabilità dell’area euro nel suo insieme.  Prendiamo nota della decisione di Moody’s, ha aggiunto Juncker, evidenziando che la società Usa ha confermato il rating per quei stessi Paesi dell’euro che sono sostenuti da fondamentali solidi.
Meno diplomatico il commento del ministro tedesco delle Finanze, Wolfang Schaeuble (nella foto con la Merkel). Il giudizio di Moody’s è unilaterale e ingiusto, ha replicato, i nostri dati fondamentali sono solidi (debito pubblico, crescita economica e ricchezza delle famiglie) e solido è anche il settore bancario. E soprattutto è alta la considerazione dei mercati finanziari verso i Bund.Filippo Ghira