Gli sbocchi futuri della crisi economica
 











Tutti noi ci troviamo spesso a pensare alla crisi economica attuale, alle sue cause ed ai suoi sbocchi ed è molto difficile raccapezzarsi fra le informazioni, o meglio, disinformazioni, contrastanti, strumentali e deformanti la realtà che ci vengono comunicate con martellante frequenza dalla televisione e da altri media. La causa principale della crisi viene indicata nel fatto che avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e che ora quindi abbiamo il dovere, in mezzo a tanto parlare di diritti, di rimborsare il debito.
Si parla poi di crescita, crescita che viene resa impossibile da una pressione fiscale che assorbe ed annulla immensi capitali ritirandoli dalla circolazione.
Non vorrei ripetermi ricordando che la crisi è partita dagli Stati Uniti dove è scoppiata una enorme bolla speculativa immobiliare facendo fallire alcune banche e, di conseguenza, mettendo in sofferenza tutte le altre. Poi la crisi è arrivata in Europa e nel
mondo intero poiché i titoli americani tesaurizzati sono risultati praticamente inesigibili e si è visto il bluff della finanza americana basato su una moneta creata dal nulla, sostenuta sulla forza militare e da un’informazione sotto stretto controllo da parte del potere bancario e finanziario americano ed internazionale
Ma veniamo agli sbocchi cioè a quello che riserva il futuro. I pilastri del futuro si trovano nel passato e quindi nella storia. Semplificando al massimo, partiamo da uno dei più grandi figli dell’Italia, Napoleone Bonaparte. Nato ad Ajaccio in Corsica da famiglia italiana genovese o pisana, con una rapida carriera dovuta ad una serie di incredibili vittorie militari ottenute in condizioni di gravi difficoltà, raggiunse il potere. Esportò in tutta Europa modernità di concezioni di organizzazione statale, scientifica e tecnica non disgiunte da un ritorno al meglio del passato con il ripristino di concetti imperiali romani e con la ricerca di un’unità del continente
Europeo sotto guida francese. Purtroppo la rivoluzione francese aveva dato la possibilità alla parte peggiore dell’umanità, che era vissuta fino ad allora sotto controllo di un potere politico nobiliare ora gravemente decaduto, di mettere liberamente l’ipoteca dei prestiti finanziari allo Stato francese e agli altri dove era stata esportata la rivoluzione. La sconfitta finale di Napoleone dovuta in gran parte al ritiro dell’appoggio della finanza diede luogo alla restaurazione durante la quale figure di grandi uomini politici come il Metternich cercarono di ripristinare il potere delle classi nobiliari in tutto il continente. Egli venne accusato di aver pronunciato la frase “l’Italia è un’espressione geografica” come se non fosse stato vero. Ma la nostra penisola, allora suddivisa in tanti stati e staterelli, non si poteva certamente definire diversamente da come oggi potremmo definire “espressione geografica” il Nordafrica, i Balcani o il Vicino Oriente. Al tentativo di unificare l’Europa fatto da Napoleone e ripreso poi dagli imperi centrali si oppose come sempre l’Inghilterra che per il proprio fine egemonico di tenere in soggezione gli avversari, si opponeva con un divide et impera che veniva definito come “equilibri europei”. Tale politica si manifestò con le ripetute coalizioni antinapoleoniche e con il soffiare sul fuoco dei nazionalismi per creare una situazione di instabilità e conseguenti guerre che portavano ad un indebolimento generale. L’Inghilterra appoggiò il risorgimento italiano in funzione antifrancese ed antimperiale germanica insieme, appoggiando sempre coalizioni di stati contro quelli che temeva divenissero i più forti.
E si venne alla prima guerra mondiale da alcuni definita una “guerra civile europea”. L’Italia, dove regnava la monarchia sabauda, sempre distintasi nella storia per aver tradito le proprie alleanze, non intervenne a fianco di Austria e Germania con le quali era unita nel patto della “triplice alleanza”. Dopo un anno di
attesa entrò in guerra contro i propri alleati nella “triplice intesa” fra Inghilterra, Francia e Russia. La vittoria di questi distrusse tre imperi quello germanico, quello austriaco e quello russo. Parteciparono direttamente al conflitto anche gli Stati Uniti che, continuando la politica inglese, alla fine delle operazioni militari dettarono legge a danno gravissimo della Germania che fu divisa e affamata con debiti di guerra incredibilmente elevati, e dell’Italia che non ottenne, quale naturale erede della Serenissima Repubblica di Venezia e come tacitamente pattuito, abitata da popoli di lingua italiano-veneta.
Questi comportamenti generarono, poi, la reazione fascista in Italia nel 1922 e quella nazionalsocialista in Germania nel 1933.
L’indebolimento del continente continuò con le sovvenzioni di banche americane che aprirono crediti illimitati ai capi della rivoluzione comunista in Russia, e che cercarono di estendere alla Spagna tale rivoluzione negli anni Trenta. Tale
operazione fu contrastata dalla Germania e dall’Italia che risultarono vincitrici.
Ci furono poi la fondazione, un poco velleitaria, dell’impero in Italia e le sanzioni angloamericane, che sempre precedono le loro guerre, mentre in Germania la presa di potere di Adolf Hitler aveva permesso di superare la distruttiva crisi economica con il rifiuto del pagamento dei danni di guerra e con l’eliminazione del sistema democratico che aveva creato una situazione di incredibile disordine politico e sociale.
Poi, dopo piccoli scontri per riunificare tutte le popolazioni tedesche sotto il terzo Reich, Inghilterra e Francia dichiararono guerra alla Germania. Il pretesto fu che questa aveva invaso per salvare le popolazioni tedesche separate dalla madrepatria con l’iniquo trattato di pace e che venivano perseguitate e sterminate dai polacchi. Invano attese tutto l’inverno 1939-1940 con le armi al piede sul fronte francese mentre la diplomazia cercava di evitare il conflitto e mentre le
truppe nei campi avversi ai confini franco tedeschi si fronteggiavano senza combattere. Si noti che l’Italia, dopo aver preso l’iniziativa di stipulare il “Patto d’Acciaio” con , nonostante gli accordi in esso contenuti, fece sapere, attraverso il diplomatico Ciano, prima della dichiarazione di guerra Franco-Inglese, che non sarebbe intervenuta favorendo così lo scoppio del conflitto più esiziale per l’Europa.
Tutto questo per far capire che l’attuale situazione di crisi economica portata in Europa, è voluta e non certo casuale, e non è altro che la continuazione della politica prima inglese e poi angloamericana di distruzione del vecchio continente.
Facciamo qualche previsione sugli sbocchi di questa situazione. Innanzitutto la crisi non può finire se non viene presa alcuna iniziativa contro il pernicioso dissanguamento fiscale che sterilizza ogni possibilità di cambiamento e di sviluppo.
Contemporaneamente occorre porre dei limiti ai movimenti di merci e di capitali in
quanto il libero mercato e la globalizzazione servono a distruggere irreparabilmente il nostro complesso industriale e quindi, come si vede, l’occupazione ed il benessere sociale. Per uscire da questa paralisi occorre anche allontanare al più presto la classe politica attuale che ha favorito questa rovina e che continua a favorirla. Si deve quindi eliminare il sistema democratico che ha dato pessima prova distruggendo la prosperità, lo stato sociale creato dal tanto deprecato fascismo e istituendo una burocrazia soffocante che è contro ogni libertà economica e civile. Inoltre, questo sistema ci ha assoggettato alla finanza internazionale ed ai suoi giochi speculativi che hanno portato miseria e disperazione alle classi più disagiate ma che le porteranno in breve anche agli altri.
Si consideri che il debito pubblico verso le grandi banche internazionali è un imbroglio dal quale bisogna liberarsi, per esempio, consolidandolo al due per cento di interessi. Esso infatti deriva dal fatto
che le banche, incredibilmente, creano denaro dal nulla senza alcuna garanzia mobiliare, immobiliare o di altro genere e lo prestano poi agli Stati ad esosi interessi. Questi vengono pagati a loro volta con l’accensione di altri debiti e così via. Gli Stati devono riprendersi la funzione dell’emissione della moneta da sempre di loro competenza, cosicché non necessiti la devoluzione di interessi a speculatori privati. Le smisurate ricchezze di questi vanno a danno delle libertà civili e sociali. Si pensi solo che l’aver ceduto la sovranità ad organismi come la B.C.E., estranea a tutti i popoli, le permette di decidere, al di fuori di ogni delega popolare, esorbitanti tassazioni, tagli di pensioni e di spese sociali, burocratizzazione dell’amministrazione statale con conseguente perdita di libertà a chiacchiere falsamente sbandierate dalla cosiddetta democrazia.
Come andrà a finire? Continuando su questa linea il nostro continente diventerà una sorta di terzo mondo. Povertà, miseria,
imbastardimento ci ridurranno come i discendenti delle popolazioni centroamericane, in un disordine sociale ed ecologico spaventosi. Il potere resterà nelle mani di classi forti solo della ricchezza ottenuta per essere mediatori della sottomissione del proprio popolo ai poteri forti internazionali.
Svegliatevi Europei e siate all’altezza dei vostri intelligenti antenati che, contro ogni falsa uguaglianza, venivano governati dai migliori di loro.
Una seconda ipotesi prevedrebbe una ribellione popolare generalizzata. Ma non bisogna dimenticare che i poteri forti che controllano gli Stati Uniti hanno un’enorme quantità di ordigni atomici e che, per mantenere o aumentare il loro potere, sono disposti a lanciarli contro le popolazioni civili, come hanno dimostrato di avere la protervia di usare il pericolosissimo uranio impoverito. I parassiti distruggono l’ambiente in cui vivono e l’ospite pur di succhiarne il sangue ancora per un poco. Inoltre, senza un progetto politico (che non
vediamo), una rivoluzione anche con distruzioni ed eliminazioni fisiche, finirebbe con il far scivolare nuovamente il potere nelle mani della precedente classe dirigente.
Una terza ipotesi è quella che gli Stati Uniti implodano su se stessi in una forma irreversibile di decadenza i cui sintomi si vedono nelle esagerate spese di un apparato militare per il controllo del pianeta che non danno i risultati che si aspetterebbero. Il forte debito pubblico e commerciale americano è senza dubbio un sintomo di perdita di lucidità dalla quale è molto difficile che possano liberarsi. Certo neanche la perdita di potere degli Stati Uniti sarebbe indolore: le atomiche ed altre armi di distruzione di massa le hanno e hanno già dimostrato di usarle anche in situazioni di non assoluta necessarietà come le hanno usate su Hiroscima e Nagasaki a guerra praticamente terminata e mentre il Giappone chiedeva di trattare la pace.
Infine, lotte di potere più o meno personale dei personaggi che detengono i
più alti poteri mondiali, come all’interno delle monarchie storiche, potrebbero creare situazioni oggi impensabili.
Non voglio, tuttavia, essere pessimista: l’avvenire rotola avanti incontrollabile e resta sul grembo degli Dei. Nel bene (e nel male) non possiamo immaginare che cosa ci riserva il domani.  Vittoriano Peyrani