Obama, la grande delusione dell’Africa
 











Continua il tour africano del Segretario di Stato Hillary Clinton, che ieri ha lasciato il Senegal per recarsi in Uganda. Durante la sua visita a Dakar, la Clinton ha riaffermato la strategia Usa in Africa e ha salutato il modello di democrazia senegalese. In un discorso pronunciato all’università Cheikh Anta Diop della capitale, la rappresentate Usa ha sostenuto che Washington vuole “promuovere in Africa lo sviluppo, stimolare la crescita economica e consolidare le istituzioni democratiche”.
La Clinton ha poi rivolto parole di elogio verso il Senegal, un “modello democratico” per l’intero continente nero: “Se qualcuno dubitava che la democrazia potesse fiorire in Africa, venga a Dakar. Gli Stati Uniti sono orgogliosi del Senegal, un Paese che non ha mai conosciuto un colpo di Stato”. In un comunicato diffuso nella tarda serata di mercoledì, la Clinton ha fatto sapere di aver avuto un colloquio con il presidente senegalese Macky Sall “completo e
produttivo sulle questioni economiche e sulla sicurezza regionale”. Le dichiarazioni della Clinton, in particolare sulla nuova strategia Usa, già annunciata a giugno dal presidente Obama, hanno avuto molta risonanza in Africa.
Questa volta, a differenza del discorso pronunciato da Obama nel 2009 ad Accra, gli africani non si sono fatti abbindolare dalle parole di “democrazia” e “pace” pronunciare dall’ex first lady, sottolineando come il presidente Usa abbia tradito le sue origine africane, continuando la politica imperialista degli Usa nel continente nero. In particolare, si fa l’esempio della Repubblica Democratica del Congo. Nei giorni scorsi, Washington ha deciso di sospendere i finanziamenti militari al governo di Kigali “alla luce delle informazioni in base alle quali il Ruanda sostiene gruppi armati in Congo”. Una misura che non convince l’opinione pubblica africana facendo notare come le misure siano arrivare in ritardo nei confronti del Ruanda, il fiore all’occhiello degli
Stati Uniti. Non solo. Nel 2006, Obama, quando era senatore, propose due proposte leggi sul Congo, una delle quali per “promuovere l’assistenza, la sicurezza e la democrazia” nel Paese africano. Legge sponsorizzata da dodici senatori, tra cui Hillary Clinton, che prevedeva, tra l’altro, sanzioni contro i gruppi armati e contro gli Stati, sospendendo gli aiuti finanziari, che cercano di destabilizzare il Congo.
A distanza di sei anni, Obama non ha mantenuto la sua parola di “promuovere” la democrazia e la sicurezza nel Paese africano. Ha cercato addirittura di ostacolare la pubblicazione del rapporto Onu in cui si accusa il Ruanda di sostenere i ribelli del Movimento del 23 Marzo (M23), che stanno destabilizzando il Kivu. Durante il suo primo e unico viaggio in Africa, ad Accra, in Ghana, aveva promesso che gli Stati Uniti non avrebbero più sostenuto i dittatori, che non avrebbero più tollerato la corruzione e che avrebbero invece contribuito alla costruzione di istituzioni forti.
Menzogne che sono state mascherate col tempo. Ad esempio, in Costa d’Avorio la Costituzione è stata calpestata per insediare al potere l’uomo dell’Occidente, Alessane Dramane Ouattara. O vedi la Libia. O la stessa Repubblica Democratica del Congo, dove la diplomazia Usa ha fomentato le ribellioni nelle regioni orientali del Kivu e dove, l’anno scorso, hanno riconosciuto la vittoria del presidente Kabila nonostante i brogli elettorali e le violenze post-elettorali. Ma l’interesse degli Stati Uniti nel Congo è di vecchia data: siamo nel 1960, quando il Paese ottenne l’indipendenza dal Belgio e Washington, per mano della Cia, fece uccidere Patrice Lumumba, il primo ministro congolese, facendo scoppiare una guerra civile e insediare il Mobutu Sese Seko, un dittatore che governò per 32 anni.
Da qual momento in poi, gli Usa hanno avuto un ruolo di primo piano nella destabilizzazione del Congo, sostenendo l’Uganda e il Ruanda, armando i ribelli e mettendo al governo politici corrotti. Gli
Stati Uniti predicano bene, parlando di democrazia e sicurezza, ma razzolano male. Ha quindi ragione il nuovo presidente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, che ieri ha dichiarato: “Se non troviamo da soli soluzioni ai nostri problemi, chi le troverà per noi? Come africani, può essere difficile, ma dobbiamo trovarle noi queste soluzioni”. L’Africa deve prendere in mano il proprio destino. Senza peli sulla lingua, il nuovo presidente dell’Ua ha anche detto che “sarebbe nefasto arrestare il presidente sudanese Omar al Bashir”, ricercato dalla Corte penale internazionale, affermando: “E’ più importante fare la pace in Sudan, soprattutto in Darfur, piuttosto che precipitarsi per farlo arrestare. Il presidente Bashir è parte della soluzione”.
Onu: l’esercito congolese non è in grado di resistere l’avanzata dei ribelli
“Troppi morti in Congo”, “No alla balcanizzazione del paese”. Sono solo alcuni degli slogan scanditi da un migliaio di cristiani che
mercoledì a Kinshasa hanno marciato per la pace nel Kivu, teatro di una nuova crisi alimentata dalla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), costituita ad aprile da militari disertori. Intanto, i ribelli si stanno dirigendo verso Goma, senza trovare ostacoli. Ieri il rappresentante Onu in Repubblica democratica del Congo, Roger Meece ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che le truppe congolesi regolari “non sono in grado di resistere all’avanzata dei miliziani per mancanza di armi e munizioni” e si sarebbero già ritirate da più villaggi della zona di Goma oltre ad aver subito pesanti perdite umane.Francesca Dessì