Giudici che muoiono (o sono trasferiti) e gli anarchici ad orologeria
 











Ventitre luglio scorso, Namibia. Una Land Cruiser sta viaggiando in direzione Otjiwarongo, quando lo sconto frontale con un camion ne arresta la corsa.
Nello schianto perdono la vita due italiani ed un namibiano che lavorava nella farm, per cacciatori, in cui erano alloggiati i due. Una notizia di poco conto, pressoché sottaciuta dai media, ad eccezione del guitto genovese - il Grillo parlante - che, separandosi dal qualunquismo in salsa yankee che lo contraddistingue, dal suo blog rilancia la notizia.
Già, ma perché il Grillo blaterante si è preso la briga di occuparsi di due cacciatori italiani, morti in un incidente stradale, in Namibia? Rischiando così di attirarsi le ire degli animalisti, molto radical e poco chic, che popolano il suo movimento. Semplice. Uno dei cacciatori deceduti era il gip del tribunale di Firenze, Michele Barillaro (foto).
A ricordarne l’operato - come riportato dal quotidiano La Nazione - è stato proprio
l’attuale ministro degli esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata. Barillaro, prima del trasferimento a Firenze, aveva operato ad Enna e a Caltanissetta, occupandosi dei processi Falcone e Borsellino.
Il giudice morto in Namibia aveva redatto, tra le altre, “la sentenza nel processo a Mariano Agate e altri 26 imputati nel Borsellino ter relativo alla strage di via d’Amelio e la sentenza 10/03 nel processo a Toto’ Riina e ad altri sei imputati relativo all’attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone”.
Ragion per cui, Barillaro era uno che di trattative Stato-mafia doveva saperne abbastanza. Ed ultimamente, essere al corrente di questo argomento sembra portare una jella fuori dal comune.
Infatti, quello che sconvolge - di questa prematura scomparsa - è la strana cronologia degli eventi: il 9 luglio, il Ministero degli interni toglie la scorta a Barillaro. Una scelta discutibile, considerato che nelle ultime settimane, grazie alle operazioni anti riciclaggio, guidate da Barillaro,
erano stati sequestrati dalla Guardia di Finanza circa 4,5 miliardi di euro. Il 23 dello stesso mese, il giudice muore in un incidente stradale. Due giorni dopo, il 25, secondo la logica del promoveatur ut amoveatur, Ingroia “il Rosso” riceve la conferma che il Csm - presieduto da Re Giorgio Napolitano - ha ufficializzato il suo trasferimento in qualche ridente cittadina guatemalteca. Ed alla fine, il 26, Loris D’Ambrosio - braccio destro del Presidente della Repubblica , nonché custode delle confessioni di Nicola Mancino, circa le trattative Stato-mafia - muore improvvisamente d’infarto, senza che sul corpo venga disposto uno straccio di autopsia.
Se è vero che il complottismo e la dietrologia sono spesso le tombe della verità, è anche vero che - come sostiene il grande vecchio della politica italiana - a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Ed è seguendo il motto andreottiano che diversi “analisti” hanno adombrato l’ipotesi che quello di Barillaro non sia stato un
incidente. Siamo di fronte alla nascita di uno dei tanti misteri d’Italia? Beh, gli indizi ci sono tutti. Infatti, come nella migliore tradizione degli italici segreti di Stato, anche questa volta non potevano non mancare gli anarchici.
Del resto è noto: quando bisogna intorpidire le acque, c’è sempre il giornalista di turno - magari imbeccato da qualche solerte funzionario delle forze dell’ordine - che tira fuori dal cappello la pista anarcoide. Effettivamente, in passato, Barillaro si era anche occupato delle frange anarco-insurrezionaliste. Quando gli venne tolta la scorta, all’Adnokronos arrivò, puntale, una missiva degli insurrezionalisti che - ricordando il passato giovanile di Borsellino, tra le fila del FUAN palermitano - così recitava: “Compagni!!!! BARILLARO senza SCORTA Senza PIU’ celerini che lo guardano come un bambino idiota: CHE REGALO!! Grazie ai neri burocrati suoi degni compari che l’hanno giustiziato con le loro mani!! Ladro di stato era ora! Fascista e impunito!!
Gli scrivani del popolo diventano giustizieri della storia I Compagni lo manderanno a far compagnia a un altro fascista vent’anni dopo via d’amelio BARILLARO è il nostro regalo di compleanno”. Gli odierni anarchici non ci piacciono, ma per onestà intellettuale bisogna ammettere che le suddette righe, più che la presa di posizione di un gruppo terrorista, sembrano il delirio alcolico di qualche antifascista. Al di là di ciò, se prendiamo per vera l’ipotesi che la morte del giudice non sia stata casuale, a questo punto bisognerebbe scoprire chi sono gli artefici del delitto. Pezzi deviati dello Stato o gli insurrezionalisti? Ma anche ipotizzando che sedicenti anarchici namibiani (sic) abbiano orchestrato l’incidente che ha portato alla morte Barillaro, resta la domanda circa il perché, a fronte delle minacce, al giudice non sia stata ridata la scorta.
Qualcuno potrà dire che l’iter burocratico, per riassegnare al giudice la scorta, avrebbe comunque chiesto un periodo di tempo
piuttosto lungo. Oppure, si potrebbe sostenere che, a causa dei tagli imposti dal governo “lacrime e sangue”, non c’erano i fondi. Ecco, dev’essere andata così. Evidentemente, Barillaro è vittima della spending review! Romano Guatta Caldini