Svendopoli
 











L’Italia è in svendita. La nuova campagna di dismissioni di caserme, castelli, ex carceri e altri palazzi di proprietà principalmente dello Stato, delle Forze Armate e dei Comuni, è entrata nel vivo.
E stavolta, a differenza di quanto accaduto nell’ultimo ventennio, i “magliari” ministeriali, hanno tutta l’intenzione di esaurire la merce a colpi di super-saldi. Dopo l’annuncio del Tesoro di qualche settimana fa circa la nascita di tre fondi specializzati per mettere sul mercato quegli immobili di cui ci si vuole sbarazzare per lenire la fame degli usurai internazionali, è arrivata anche una pubblicità in perfetto stile ipermercato, con un’intera pagina sul Wall Street Journal.
Chi ha soldi da spendere, ha solo l’imbarazzo della scelta: caserme a due passi dal centro storico di Bologna; Palazzo Diedo sul Canal Grande messo in vendita dal Comune di Venezia per 19 milioni tramite la Hera Immobiliare; il Palazzo Bolis Gualdo in via Bagutta a
Milano (in vendita promozionale a soli 31 milioni di euro) e Castello Orsini di Soriano nel Cimino, solo per citare i più noti.
Il piano stile Britannia varato dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Vittorio Grilli, per ridurre il debito pubblico (1960 miliardi, il 123,4% del Pil), prevede dismissioni di beni pubblici per 15-20 miliardi di euro l’anno anche grazie all’intervento dei fondi costituiti dalla Cassa depositi e prestiti e dal Demanio.
Con un parlamento come il nostro, assente ed inutile oltre che prono ai voleri dei poteri forti nazionali ed internazionali, i professori della miseria possono fare quel che gli pare, anche trattare residenze storiche di gran pregio artistico e di enorme valore simbolico, come cianfrusaglie da bancarella.
E c’è chi addirittura spinge per calcare ulteriormente la mano, come l’esimio lottacontinuista, economista, editorialista, presidente di consigli di amministrazione e professorone Mario Deaglio, marito del ministro del non Lavoro
e delle Politiche anti-Sociali, Sua Lacrima Elsa Fornero, secondo cui “occorrerebbe cambiare le leggi per accelerare le dismissioni di beni demaniali, mentre per molti immobili, a cominciare dalle ex-caserme, occorrerebbe prima modificare la destinazione d’uso e quindi i piani regolatori, per suscitare un vero interesse commerciale”.
Che fare, allora?
L’illustrissimo tira fuori dal cilindro il suo coniglio: vendere l’oro delle nostre riserve “perché più rapidamente disponibile”.
Una provocazione? Tutt’altro, visto che il Deaglio entra anche nel dettaglio (in tempi di regali, ci si conceda la rima baciata a prezzo buono): “Gli accordi internazionali ci permettono di metterne sul mercato solo piccole quantità ogni anno (pari all’incirca a uno-due miliardi di euro), ma il resto potrebbe essere dato in garanzia di una linea di credito con un ente internazionale per un pronto intervento in caso di spread troppo elevato, oppure per ricomprare una parte dei titoli di debito dagli
interessi più costosi”.
Secondo regalo ai cravattari.
Casualità o causalità? Certo che è proprio strano. Ministri e professori, editorialisti, economisti e imprenditori, gira e rigira, alla fine vanno tutti a parare dalla stessa parte.
Sembra quasi un circolo, anzi un club, per usare un termine caro a Licio Gelli che al terzo punto degli Obiettivi del suo Piano di Rinascita democratica, ravvisava come indispensabile la costituzione appunto di un “club” (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove fossero rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità. Un vero e proprio “comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare”.
Facciamo due conti:
i garanti ci sono, gli attuatori anche e le forze “amiche” nazionali e straniere non mancano.
E’ una semplice coincidenza?  Ernesto Ferrante