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Egitto a secco, scoppia l'intifada dell'acqua
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di Michele Giorgio
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«In un altro paese il ministro competente verrebbe licenziato se centinaia di migliaia di persone rimanessero senz'acqua per settimane». Dice bene Mahmud Hassan, del quartiere Manshiet Nasser del Cairo dove dai rubinetti non esce una goccia d'acqua e, come accade in altre parti della capitale e nel Delta del Nilo, la gente è costretta a comprarla al supermercato spendendo una fortuna. Ma l'Egitto non è «un altro paese». L'Egitto è il paese del regime del presidente Hosni Mubarak, che riceve ogni anno 2,2 miliardi di dollari dagli Usa e ne riceverà, in aiuti militari, altri 13 nei prossimi dieci anni, ma dove la popolazione deve lottare per avere il bene più elementare. Il paese dove qualche mese fa è stato facilissimo emendare la costituzione (in senso liberticida) ma è terribilmente difficile per il governo ordinare la riparazione e lo sviluppo di una rete idrica che non riesce più a soddisfare i bisogni di una popolazione in costante aumento. Il 52% dei villaggi egiziani fanno i conti questa estate con la scarsità d'acqua e almeno 240 (27 mila abitanti in media, il 5% della popolazione) sono completamente a secco. I turisti che visitano l'Egitto in questo periodo, incuranti delle temperature elevate, non si rendono conto che è in corso l'«Intifada dell'acqua», perché hanno i mezzi per acquistare bottiglie di minerale, per un egiziano un lusso eccezionale. La sete e la miseria hanno fatto scattare la rivolta, prima a Borolos, dove gli abitanti hanno marciato per 11 ore per concludere la loro protesta davanti al municipio. Poi a Bishbish, dove i rubinetti sono a secco da sei mesi, e a Gharbia dove gli abitanti per giorni hanno tenuto un sit-in. Ma le dimensioni della protesta si sono presto allargate a macchia d'olio, estendendosi ad una decina di altre regioni dell'Egitto, con i contadini e gli allevatori in prima fila a chiedere aiuto per le coltivazioni e gli animali. I giornali, soprattutto l'indipendente al-Masr al-Yom, hanno dato spazio alla protesta popolare, ma fino ad un certo punto, per timore della reazione degli apparati di sicurezza sempre attenti ad impedire che le contestazioni raggiungano i vertici del regime. «Dobbiamo procurarci l'acqua ovunque è possibile, spesso percorriamo anche 5 km al giorno, per poterci dissetare», ha riferito una madre di quattro figli, Rula Mohammed, rappresentando migliaia di donne che nelle campagne del Delta del Nilo sono incaricate di cercare e portare a casa il preziosissimo liquido. Heba Mustafa invece ha denunciato ad un quotidiano che «la gente muore di sete mentre i ricchi non hanno problemi a riempire le piscine delle loro ville». Molti denunciano abusi. Al Cairo un importante imprenditore edile avrebbe ottenuto, corrompendo funzionari pubblici, di far deviare le rete idrica verso il suo complesso residenziale, lasciando senz'acqua gran parte del quartiere di al Shouruk. Le storie di abusi, veri e presunti, ogni giorno che passa vengono arricchite di nuovi particolari dalla disperazione dei rivoltosi. Considerato che per ammodernare la rete idrica servirebbero almeno tre anni, i responsabili del governo hanno optato per misure d'emergenza, al solo scopo però di sedare la rivolta. Hanno inviato, nelle zone più colpite, autocisterne per l'approvvigionamento individuale ma tali soluzioni non sono servite a placare la folla. Spesso scoppiano risse all'arrivo delle autocisterne tra coloro che attendono di riempire le taniche. Ahmed Ismail, un contadino di Belqas, ha raccontato di uno scontro tra due famiglie, a colpi di bastoni e pietre, per guadagnarsi una posizione di vantaggio all'arrivo dell'acqua mentre Abdel Fattah, dello stesso villaggio, ha spiegato che le razioni del governo soddisfano «solo mezz'ora dei nostri bisogni». «Abbiamo inviato autocisterne per alleviare la crisi in alcuni villaggi - ha detto Abdel Qawi Khalifa, presidente della società responsabile della gestione delle acque -. Non abbiamo mai detto di aver risolto il problema in tutti i governatorati». Khalifa ha annunciato un piano di cinque anni per risolvere il dramma della sete, mentre il ministero dell'ambiente ha comunicato di aver stanziato circa 2 miliardi di euro e promesso che, entro il 2012, sarà risolto il problema dell'acqua in 4500 villaggi. Ma in un paese dove le privatizzazioni cominciate nel 1991 procedono a ritmo serrato - il governo il 9 luglio ha venduto l'80% delle azioni dello storico istituto di credito pubblico Banque du Caire -, cresce la sfiducia degli egiziani verso qualsiasi annuncio statale.da Il manifesto |
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