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Legge elettorale. La mina delle preferenze |
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L’Italia se la vede proprio male, dalle lacrime anti-lavoro della Fornero siamo giunti alla promessa di repressione delle proteste sindacali e degli scioperi della Severino e a un esplicito attacco dello stesso Monti allo Statuto dei lavoratori. Per il professore delegato dalle banche al governo dell’Italia, le regole e le tutele sociali, infatti, “impattano sul gioco del mercato”, sulla santità, cioè, dei profitti e della speculazione, e dunque vanno cancellate. Tuttavia ci sovviene un sospetto. Il desso - pur non brillando certo di genio - non è poi così cieco da non sapere che tali affermazioni sarebbero state accolte, come sono state, da una raffica di critiche da parte della Camusso (Cgil) e dei vari movimenti che, all’inseguimento dei voti di Landini e della Fiom, hanno fondato un demagogico cartello elettorale sull’articolo 18 (dai Di Pietro ai Ferrero, ai Diliberto, al “pentito” Vendola). E allora perché le ha pronunciate? Si sa, siamo “complottisti”. E quindi secondo noi il sasso lanciato da Monti è stato studiato al solo fine di aggregare i vecchi arnesi di partito a sinistra del Pd, per lasciare le mani libere a Bersani nei suoi giochi di convergenza con il centro del “montiano” per eccellenza, Sua Santità Casini. E’ una semplice addizione logica. Non a caso il delegato della Goldman sta “riflettendo” se mantenere o meno le redini dell’esecutivo: dice di avere il timore che i suoi “sforzi” verranno vanificati da un governo “altro”. Insomma: 1+1=2. Repressione delle proteste più maggioranza Pd-Udc fa governo bis. La diversità di vedute, tra Pd e Udc, sulla riforma della legge elettorale potrebbe rimescolare di nuovo le alleanze. Un ritorno delle preferenze e del proporzionale caldeggiato da Casini viene considerato da Bersani come il male assoluto, in quanto portatore delle vecchie logiche del voto di scambio. Nel Pd si accomuna il ritorno alle preferenze ad un sistema di corruttele, dove le mafie tornerebbero ad avere un ruolo di controllo del voto. Eppure non si può certo affermare che il modello che piace a Bersani e company abbia ottenuto dei risultati. Il passaggio dal proporzionale al maggioritario con l’abbandono delle preferenze non ha affatto ristretto il campo delle corruttele, anzi rispetto alla prima Repubblica è cresciuto in maniera esponenziale. E i tantissimi casi di politici e amministratori corrotti non può che far cadere questa aureola del maggioritario, dove le candidature vengono decise nel chiuso delle stanze dei partiti. Meglio quindi tornare alle scelte dei cittadini, soprattutto per una questione partecipativa. Non per niente rispetto alla prima Repubblica con le preferenze, le distanze tra i cittadini e la politica sono cresciute. Non sapendo più con chi prendertela alla fine te la prendi con tutti. Ed è quello che sta accadendo. Non per niente l’area dell’astensione è diventata il primo partito. Quindi è sbagliato dire, come fa la dirigenza del Pd, che un ritorno alle preferenze favorirebbe le mafie e la corruzione. La grande criminalità come la corruzione vive e vegeta con qualunque sistema elettorale. A parte queste considerazioni non si può certo dire che la strada per il superamento del Porcellum sia in discesa. Nonostante le scosse del Colle e le stimolazioni dei due presidenti di Camera e Senato, l’accordo è sempre più lontano. E soprattutto mette a rischio il patto tra centristi e piddini, creando le condizioni di un riavvicinamento tra Pdl, Udc e Lega. Ma le divergenze sorte in questi ultimi giorni non si fermano solo alla questione elettorale. Sono le scelte di Vendola in merito ai matrimoni gay e alla presentazione del referendum per la cancellazione della riforma Fornero a creare ripensamenti nei centristi. La tela dalemiana volta a stringere un patto con Casini rischia di disfarsi per colpa delle posizioni dell’alleato con l’orecchino. Comunque sia non si può pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca. O si sta con Vendola o si sta con Casini. L’uno esclude l’altro. E l’escamotage dell’alleanza dopo il voto non può assolutamente rappresentare una soluzione valida. Sarebbe una truffa, stante l’attuale sistema maggioritario, nei confronti dell’elettorato della sinistra massimalista e di quello centrista. La possibilità che si ricreino le condizioni di un’intesa tra Udc, Pdl e Lega è quindi molto probabile. Non per niente Bersani ha subito lanciato anatemi nei confronti dei centristi. Casini ovviamente ha cercato di non infiammare ulteriormente le polemiche. “Si può trovare la mediazione sul premio alla coalizione e non al partito, come piace a Bersani. Ma lui ceda sulle preferenze. Noi, da sempre, siamo per il modello proporzionale tedesco”. Sulla scelta del modello ormai la dirigenza del Pd sembra aver perso la bussola. Non sanno infatti più dove andare a pescare: una volta il doppio turno alla francese, la volta dopo il modello spagnolo e addirittura quello ungherese. Insomma un bel pasticcio di idee. Poi la storia del Pd a difesa della cosiddetta governabilità ci sembra priva di fondamento. Non è che stabilendo prima con chi ci si allei poi si è certi di restare insieme fino al termine della legislatura. Non è mai stato così né con i governi Prodi né con i governi Berlusconi. Quindi è una balla quella della coalizione solida stabilita prima del voto. Stabilire prima con chi si sta non è affatto garanzia di durata. Solo uno come Di Pietro può restare ancorato a questa balla. A questo punto è molto probabile che i partiti che sostengono Monti finiscano per sorreggerlo per un’altra legislatura. E questa soluzione sarebbe peggiore del male. Le famiglie italiane sono in forte sofferenza con una perdita del potere d’acquisto e con le tasse che soffocano ogni sogno. E questo non può che far crescere il distacco degli elettori da questi partiti al servizio dei banchieri e dei poteri forti. michele mendolicchio |
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