Glenn Gould, musica per la mente
 







di Rosario Ruggiero




Nato a Toronto ottant’anni fa, il 25 settembre 1932, si spegneva, trent’anni ad oggi, nella stessa città, a soli cinquant’anni, il 4 ottobre 1982, Glenn Gould, compositore, direttore d’orchestra, clavicembalista ed organista canadese, ma soprattutto interprete pianistico di primo piano.
Si può facilmente osservare che l’intelligenza umana, nello sforzo di massima comprensione di un fenomeno, è incline a scomporlo in singoli elementi costitutivi, così qualunque immagine tende a ricondurre sostanzialmente a linee e colori, qualunque figura geometrica ad una opportuna combinazione di figure ideali come il quadrato, il cerchio o il triangolo, qualunque persona ad aspetto fisico, capacità intellettive, virtù morali eccetera. Nella valutazione di un pianista concertista, operando alla stessa maniera, potremo allora distinguere quattro elementi fondamentali, a loro volta ulteriormente suddivisibili, la capacità professionale, la capacità tecnica
esecutiva, la capacità musicale e la capacità artistica.
 Diremo capacità professionale quella di padroneggiare un opportuno repertorio musicale sì da riprodurlo con fedeltà e regolarità in contesti anche di grande responsabilità come un concerto pubblico in una importante sala per una prestigiosa rassegna musicale. La carriera di Glenn Gould, per quanto non lunghissima, le sue collaborazioni con insigni strumentisti e direttori d’orchestra, le registrazioni televisive effettuate, i teatri nei quali si è esibito, i successi riscossi e la fama che tutto ciò gli ha conferito testimoniano in tale ambito traguardi sicuramente massimi.
Per quanto riguarda le sue capacità tecniche esecutive, l’estrema velocità, chiarezza, precisione ed eguaglianza digitale (si ascolti già solo la V variazione Goldberg incisa nel 1981, anche visibile in ripresa filmata, un autentico gioiello), e la capacità di realizzare una scelta timbrica estremamente particolare lo fanno entrare
indiscutibilmente nel novero di quegli straordinari pianisti in grado di cavare da un pianoforte non solo quanto di meglio ci aspettiamo, la qual cosa sarebbe già di per sé un gran bel risultato, ma addirittura di sorprenderci. Certo nell’ampia discografia dell’artista canadese mai, se non forse rarissime volte, troveremo le titaniche sonorità, avvolgenti, ampie e morbide, l’affascinante legato belcantistico e l’emozionante effetto illusorio del portamento violinistico cari a tanti grandi virtuosi, ma le particolarissime scelte espressive e di repertorio di Glenn Gould danno in tal senso l’idea non di un manifesto limite, ma di una precipua scelta stilistica, da considerare quindi più congruamente nell’ambito delle sue capacità artistiche.
A favore invece delle capacità musicali di questo artista, ossia la sua competenza del linguaggio sonoro ai fini di saper analizzare accuratamente le creazioni artistiche altrui e coglierne tutti gli elementi che le costituiscono, la sua abilità
di eseguire all’organo, al clavicembalo ed al pianoforte, dirigere l’orchestra, comporre e trascrivere, nonché l’ampiezza e varietà del repertorio musicale acquisito a memoria sono prova più che convincente di una perizia in tal senso inoppugnabile.
È il caso qui di citare sicuramente un episodio, tra l’altro tutt’ora visibile ed ascoltabile, l’esecuzione della Fantasia opera 47 di Schoenberg da parte di Glenn Gould in duo con il violinista Yehudi Menuhin. Musica scomoda da memorizzare per un esecutore questa di Schoenberg, ancor più l’accompagnamento pianistico, per definizione sostegno più che parte principale. La parte violinistica è scritta su un pentagramma ed indica una nota per volta da dover essere suonata, raramente più d’una da eseguire contemporaneamente. La parte affidata al pianista è scritta invece su tre pentagrammi che vanno letti simultaneamente, uno sostanzialmente per le note da eseguire con la mano sinistra, uno per le note da eseguire con la mano destra,
entrambi assai frequentemente con più note da suonare insieme, ed il terzo pentagramma perfettamente identico a quello del violinista perché il pianista, che deve in gran parte sostenere il lavoro dell’altro musicista, possa più facilmente seguirne ogni sua libertà espressiva. Ebbene, nel filmato che documenta questa esecuzione è chiaramente visibile Menuhin, che tra l’altro è violinista di primo ordine, eseguire seguendo attentamente la sua parte su uno spartito, Glenn Gould, al pianoforte, suonare invece tutta a memoria, con il consueto trasporto, una parte che è estremamente ostica da seguire e da ricordare, a prova di una conoscenza sicura ed accurata del testo di tutta la composizione ben più di quanto sarebbe comunemente richiesto, e di una notevolissima capacità di acquisizione mnemonica che sorprende. Se a tutto ciò si aggiunge poi che l’esecuzione avviene in un contesto di documentazione storica di grande prestigio…
 Momento di fusione di tutte le caratteristiche
appena menzionate, e matrice dell’individualità ed efficacia dell’interprete, è infine la capacità artistica che consiste nell’amministrare, esclusivamente secondo la personale sensibilità, tutto quanto dianzi detto. E qui Glenn Gould viene fuori per quell’originalissimo musicista e personaggio che è stato.
Appassionato esecutore di musica di Bach, amava eseguirla al pianoforte.
Esistono sostanzialmente due differenti scuole di pensiero riguardo all’esecuzione al pianoforte di musica nata per il clavicembalo. Una riconduce il pianoforte ai limiti espressivi del clavicembalo contenendone volutamente la sonorità, le possibilità del legato, l’uso del pedale destro e le morbidezze timbriche. L’altra amplia la tradizionale esecuzione clavicembalistica di tutte le risorse espressive possibili del più moderno strumento.
Gould propende evidentemente per la prima maniera sortendo dallo strumento un timbro asciutto, parco di morbidezze, in ciò pare aiutato pure dalla scelta dello
strumento e dalla sua particolare messa a punto, producendo suoni tendenzialmente brevi e staccati l’uno dall’altro, sì da ricordare moltissimo il clavicembalo o i primi pianoforti (si ascoltino ad esempio le sue esecuzioni delle sonate di Domenico Scarlatti).
Ma ci si chiede perché, esistendo tutt’ora clavicembali ed antichi pianoforti ripristinati, e facendo Glenn Gould largo uso della tecnologia nelle incisioni discografiche, sì da poter superare i limiti di intensità sonora di quei primi strumenti, eseguire la musica barocca con un pianoforte moderno anche in occasioni, come i Concerti Brandeburghesi di Bach, dove lo strumento a tastiera non ha neanche una funzione primaria. Al tempo stesso anche nelle rare espressioni del pianista canadese legate alla musica di Chopin, come il quarto movimento della sonata opera 58 del compositore polacco, la predilezione per una sonorità nitida ed asciutta si impone sul più consueto ascolto e sulla più spontanea aspettativa di una massa
sonora cupa e magmatica. Predilezione che però non viene esercitata dal famoso pianista nel  Brahms degli intermezzi.
Altra particolarità di Gould, la scelta estremamente originale delle velocità di scorrimento dei brani, alcune risultando estremamente spedite, altre estremamente contenute rispetto alla tradizione o anche rispetto a sue scelte precedenti (si provi a comparare le due incisioni delle Variazioni Goldberg di Bach fatte a circa trent’anni di distanza).
Tutto ciò, indipendentemente dalle stravaganze del personaggio Gould nell’abbigliamento, l’uso dei guanti, la postura alla tastiera e l’inseparabilità da una vecchia, consunta sedia in luogo di un comune panchetto, rendono il musicista sempre interessante. E dico musicista più che artista perché il primo è colui che signoreggia sulla musica come linguaggio e quindi sui suoi parametri intellettuali di indipendenza e subordinazione delle parti (che siano melodia ed accompagnamento o intreccio contrappuntistico),
sui richiami e le trasformazioni tematiche e quanto più, in tal modo movendo principalmente la mente dell’ascoltatore, l’artista è colui che ne muove l’emotività, colui che suggestiona più che provocare intellettualmente, mira al cuore più che alla testa. Anche il repertorio preferito da Glenn Gould, ricco di musica barocca e moderna ben più che di musica romantica ed includendo encomiabilmente pagine ed autori di raro ascolto non fa che corroborare tale impressione di spontanea inclinazione del musicista ad una certa intellettualità. Infine si aggiunga anche l’uso del pianista di mugugnare durante le esecuzioni discografiche, dove in più punti si sente chiaramente la voce dell’interprete sovrapporsi alle note del brano, la qual cosa lascia sospettare lo sforzo di una ricerca espressiva solitaria più che il dono di un prodotto compiuto e rifinito rivolto ad un ascoltatore esterno, malgrado il fenomeno avvenga proprio nella realizzazione di un documento pubblico quale è un disco da mettere in commercio.
Musica che fa pensare, quindi, quella prodotta da Glenn Gould per quanto emotivamente efficace, capace di muovere il cervello ancor prima che il cuore, sì da rendere il pianista autore di interpretazioni interessanti ancor più che belle, sicuramente affascinanti, al punto tale che una sua esecuzione di una composizione di Bach è stata inserita, come testimonianza di civiltà umana, nel Voyager, la navicella spaziale inviata nello spazio con la speranza di incontrare civiltà extraterrestri; ma interpretazioni,  comunque sia, nel bene o nel male, esemplari sempre.