Corruzione Don Ciotti:il dossier di Libera.10miliardi di euro, la perdita di ricchezza in Italia
 











La corruzione nel nostro paese  è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto,  senza mediazioni,  con volontà politica concreta,  che vada al  di   là delle parole.  Lo confermano   i  dati,   i   fatti,   le   storie  del  dossier   “Corruzione,   le   cifre  della   tassa occulta   che impoverisce   ed  inquina   il  paese” presentato  stamattina da Libera,  Legambiente   e  Avviso Pubblico presso la sede della Fnsi. Numeri drammatici e inquietanti. Un dossier che arricchito di casistica  ,di  storie e di  fatti  avvenuti  negli  ultimi  vent’anni  diventa un  libro dal  titolo “Atlante della Corruzione” a cura di Alberto Vannucci di Edizione Gruppo Abele presente nelle librerie.
E’ possibile tentare di provare una stima, per quanto grezza e approssimativa, dei  costi economici della corruzione. Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di  dollari  di   tangenti  e va  sprecato,  a causa della corruzione,  circa  il  3 per cento del  PIL mondiale.  Applicando   questa  percentuale   all’Italia,   si   calcola   che   annualmente   l’onere   sui bilanci  pubblici  è nella misura di  50-60 miliardi  di  euro  l’anno,  come una vera e propria  tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Ma si può andare oltre: il peggioramento di un punto dell’indice di percezione della corruzione (CPI) in un campione di Paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari
allo 0,39 per cento e del reddito pro capite pari allo 0,41 per cento e riduce la produttività del 4 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Visto che l’Italia nel decennio 2001-2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel CPI da 5,5 a 3,9, si stima una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10 miliardi di euro annui in termini di prodotto interno lordo,  circa 170 euro annui di reddito pro capite ed oltre il  6 per cento in termini  di  produttività.  Ma se il  costo diretto della corruzione,  stimato all’incirca in 60 miliardi di euro, è un fardello pesante per i disastrati bilanci dello Stato, ancora più allarmanti  sono  i  danni  politici,  sociali  e ambientali:   la delegittimazione delle  istituzioni  e della classe   politica,   il   segnale   di   degrado   del   tessuto  morale   della   classe   dirigente,   l’affermarsi   di meccanismi  di  selezione che premiano corrotti  e corruttori  nelle carriere economiche,  politiche, burocratiche, il dilagare dell’ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”,   fatta   di   colletti   bianchi,   tecnici   compiacenti,   politici   corrotti.  È   particolarmente significativo il dato relativo alle esperienze personali di tangenti, ossia alla corruzione vissuta sulla propria pelle dai  cittadini  dei  27 Paesi  dell’Unione Europea.  Nell’ultima  rivelazione di Eurobarometer 2011, il 12 per cento dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8 per cento. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti. 
Particolarmente   allarmante  quella   che  Libera,  Legambiente   e  AvvisoPubblico   chiamano “corruzione ambientale”.  Sempre più spesso,   infatti,  attività  illegali  come  il   traffico  illecito di rifiuti  o  l’abusivismo edilizio,  magari  “rivestito” con  il   rilascio di  concessioni   illegittime,   sono accompagnate da un sistematico ricorso alla corruzione di amministratori pubblici e rappresentanti politici, funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli. I numeri parlano chiaro: dal 1 gennaio 2010 al 30 settembre 2012 sono state 78 le
inchieste relative ad episodi di corruzione  connessi  ad attività dal   forte   impatto ambientale.  Le   inchieste analizzate  hanno riguardato il ciclo illegale dei rifiuti (dai traffici illeciti agli appalti per la raccolta e la gestione dei rifiuti   fino a licenze   edilizie   agli   appalti   pubblici);   le   autorizzazioni   e   la   realizzazione   di   impianti   eolici   e fotovoltaici;   le   inchieste   sulle   grandi   opere,   le   emergenze   ambientali   e   gli   interventi   di ricostruzione. La “corruzione ambientale”, nel senso del suo impatto sul patrimonio naturale, sul territorio e sul paesaggio, è un veleno che attraversa il Paese: sono 15 le regioni coinvolte nelle inchieste, con 34 procure impegnate, omogeneamente distribuite tra Nord (13), Centro (11) e Sud Italia  (10).  Il  maggior numero d’inchieste,   invece,  si  è concentrato  in Lombardia  (15) seguita a pari merito, con 8 inchieste ciascuna da Calabria, Campania e Toscana. Le persone arrestate   complessivamente,   per   reati   che   vanno   dalla   corruzione   all’associazione   a delinquere,  dal   traffico   illecito  di   rifuti  al   riciclaggio,   dal   falso   in   atto   pubblico   alla   truffa aggravata,   sono  state  1.109.  Il  dato disaggregato per   aree  geografiche   evidenzia  da  un  lato  il primato, per numero di arresti, delle regioni dell’Italia Nord Occidentale (esattamente 442, pari al 39,9%) e dall’altro l’incidenza rilevante delle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia,  Calabria   e   Sicilia),   con   409   ordinanze   di   custodia   cautelare   pari   al   36,9%  del   totale nazionale. Numeri che dimostrano quanto sia stretto il legame tra corruzione e mafie. La Calabria guida la classifica nazionale per numero di persone arrestate (224), seguita da Piemonte (210) Lombardia (209), Toscana (154) e Campania (130). Una corruzione ambientale che miete ogni anno   altre   vittime.  Il   settore   dell’edilizia   e   delle   costruzioni   è   conosciuto   anche   per   la   sua vulnerabilità alla corruzione,  che  inesorabilmente si   ripercuote sulla capacità di   resistenza degli edifici agli eventi sismici. Ci si può chiedere quante tra le 27 vittime del sisma in Emilia Romagna nel 2012, le 308 vittime del terremoto in Abruzzo del 2009 (considerato dagli esperti “di magnitudo moderata”), le 30 di San Giuliano di Puglia nel 2001 (evento di modesta intensità), 2914 in Irpinia nel 1980, 989 in Friuli nel 1976, 370 nel Belice nel 1968 – per citare solo gli episodi più gravi degli ultimi decenni  – abbiano perso la vita anche a causa delle tangenti  che avevano dequalificato le scelte urbanistiche, dissuaso un serio controllo sui processi di costruzione, permesso l’impiego di materiali scadenti. Ma non si muore solo per corruzione ambientale. È stata dimostrata una forte correlazione   tra   il   tasso  di  mortalità   infantile   –   riferito   a  bambini   fino   a   5   anni   –   e   la diffusione   della   corruzione,  misurata   attraverso   l’indice   di   percezione   di  Transparency International. Una stima molto prudenziale conduce a  ipotizzare che «circa  l’1,6 per  cento dei decessi  di  bambini  nel  mondo possa essere spiegata dalla corruzione,   il  che significa che,  delle 8.795.000 morti  annuali  di  bambini,  più di  140.000 possono essere  indirettamente attribuite alla corruzione». Il rapporto causa-effetto tra tangenti e morti infantili è evidente, visto che la corruzione ridistribuisce   nelle   tasche   di   corrotti   e   corruttori   quote   di   quei   fondi   che   sarebbero   altrimenti destinate a finanziare programmi di cura, assistenza e prevenzione della malattie. In Italia nel 2010 il   tasso di  mortalità   infantile   è   stato  del   3,7 per mille,  pari  all’incirca  a  12.638  bambini deceduti   in quella fascia d’età.  Applicando  la fatidica percentuale dell’1,6 per cento di  vittime infantili della corruzione,  soltanto in quell’anno in Italia si arriva a stimare la perdita di 202 bambini a causa delle tangenti.
Una Tangentopoli infinita, che cambia aspetto e si rigenera anno dopo anno. Che non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici ma genera un pericoloso deficit di democrazia e devasta l’ambiente in cui  viviamo.  La  corruzione  ci  ruba  il   futuro,   in    tutti   i   sensi.  Una
mega   tassa occulta  che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale. Un male che comporta rischi per la credibilità della nostra economia, per la tenuta della nostra immagine all’estero, per gli
investimenti  nel  nostro Paese.  E che crea disuguaglianze,  massacra  le politiche sociali,  avvelena l’ambiente, tiene in ostaggio la democrazia, inquina l’economia.  In alcuni appalti la rendita della corruzione è pari al 40-50 per cento del prezzo pagato per opere pubbliche, servizi o forniture, in altri   persino   superiore.  È   naturale   che   le   probabilità   di   corruzione   aumentino   quanto  meno trasparente  risulta  l’esercizio del  potere pubblico,  meno  incisivi   i  controlli.  Anche negli  appalti banditi dalla Protezione
civile, tramite strutture di missione costruite ad hoc per gestire emergenze spesso posticce, le inchieste condotte a Firenze, Perugia e Roma hanno documentato una successiva sostanziosa lievitazione di prezzo. Su 33 grandi opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010, il costo sostenuto dalle casse pubbliche è passato dai 574 milioni di euro dell’assegnazione iniziale –   già   in   affidamento   diretto   senza   gara,   presumibilmente   più   elevata   rispetto   agli   standard   di mercato – a 834 milioni di euro. Un onere aggiuntivo per i cittadini quantificato con precisione in 259.895.849 euro, pari al 45 per cento del valore iniziale di aggiudicazione.
Non sorprende che nel 2010 i partiti siano ritenuti dal 56,5 per cento degli italiani “estremamente corrotti”,  percentuale in crescita rispetto al 54 per cento del 2007 e al 44 per
cento del 2006. Nel 2011 il 67 per cento degli italiani ritiene che dare e ricevere tangenti e abusare del proprio ruolo per fini privati sia pratica diffusa tra i politici di livello nazionale (la media europea è del 57 per cento). Per il 57 e il 53 per cento degli italiani le tangenti sono prassi corrente anche per i politici di livello regionale e locale.
Davanti a queste cifre catastrofiche la classe politica di questo paese è chiamata a fare delle scelte chiare, nette e concrete.  Non ci sono più alibi.  Il tempo è scaduto,  come dimostra anche questo dossier. Bisogna approvare il disegno di legge anticorruzione. Bisogna dire basta a chi ruba. E’ quello che hanno chiesto a viva voce oltre un milione e mezzo di   italiani  firmando  le cartoline   con   cui   Libera   ed  Avviso   pubblico   hanno   sollecitato   l’effettivo   recepimento  
delle convenzioni   internazionali   contro   la   corruzione.   Cartoline   consegnate   al   Presidente   della Repubblica, Giorgio Napolitano, che anche in questi giorni ha richiamato più volte le forze politiche presenti in Parlamento all’adozione di provvedimenti legislativi attesi da troppo tempo.
Il   disegno   di   legge   attualmente   in   discussione   al   Senato   cerca   di   attuare   un’importante riforma, ma viene fortemente ostacolato: a parole tutti sono contro la corruzione, tutti si sono indignati   in   questi   giorni   per   alcune   vicende   veramente   disgustose,  ma   non   basta   più indignarsi.  Bisogna muoversi. 
Con   il   disegno  di   legge   anti   corruzione,  per   la  prima  volta   a vent’anni dalle inchieste di “Mani pulite”, la classe politica affronta il problema della repressione penale e alcuni  profili  di  prevenzione dei   reati  di  corruzione.  Nel  testo approvato alla Camera verrebbero   introdotte   nel   nostro ordinamento  fattispecie   già   previste   dalla   Convenzione   di Strasburgo firmata dall’Italia nel 1999, ma mai applicate, come la corruzione privata e il traffico di influenze illecite (ossia le attività di intermediazione a fini di corruzione). Il reato di corruzione per atto d’ufficio verrebbe convertito  in “corruzione per   l’esercizio della funzione”,  coprendo così   i frequenti casi di funzionari o politici “a libro paga” dei corruttori. E’ possibile, insomma migliorare il   testo   approvato   alla  Camera   e   farlo   in   tempi   brevi,   introducendo,   ad   esempio,   il   reato   di autoriciclaggio,   inasprendo   le   pene   per   la   nuova   formulazione   del   reato di   concussione   per induzione,  accelerando quanto più possibile  i   tempi  per   l’introduzione di  norme che prevedono l’incandidabilità  di   chi   è  condannato per   corruzione.  Ma  vanno  evitati  “colpi  di   spugna”  ad personam e soprattutto tattiche dilatorie, che facciano perdere altro tempo. Libera, Legambiente e Avviso Pubblico chiedono, in particolare, che venga definitivamente applicata la confisca dei beni  ai  corrotti    già presente nella Finanziaria del  2007.  Come  i  mafiosi, i corrotti  devono restituire  tutto alla collettività.  Venga  tolto  il  bottino ai   ladri  di   futuro.  C’è bisogno di  un segnale importante nel nostro paese dove siamo ancora molto lontani dal riconoscere la contiguità delle forme di corruzione con quelle della criminalità organizzata.