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Un uomo grigio, tormentato, deluso, un vecchio rapace che ha perso i rostri e che tuttavia continua a imprimere di sé con il suo passo inesausto la vita di questa casa, ospite della pietà della cognata, che lo ha amato senza poterlo avere per sé e, soprattutto, senza riuscire a sottrarlo alla sorella, l’unica signora Borkman. Lui, l’eroe, il potente che si sostituiva a Dio, con quel desiderio patetico e folle di aiutare il prossimo e carpirne la gratitudine, lui, oggi, è anti materia, vive una realtà di ingombrante assenza, mentre appena al disotto della sua aberrante solitudine il mondo degli affetti disperati si agita, vermina pieno di tensioni. Questo è “John Gabriel Borkman” , opera di straordinaria modernità che Ibsen scrisse nel 1896 e che è ora di scena al Teatro Eliseo con Massimo Popolizio nel ruolo del banchiere/bancarottiere che aveva assaggiato il potere con spregiudicatezza senza riuscire però a mantenerlo. Popolizio , mosso dalla regia di Piero Maccarinelli, è un vecchio nevrotico, vinto. Uno dei vinti, perché il dramma di Ibsen è anche la lotta all’ultimo sangue tra due donne, due madri, due archetipi: l’archetipo Gunhild è colei che ha effettivamente portato in grembo Erhart, che ha condiviso le esperienze di vita con il banchiere fallito; l’archetipo Ella( l’eccellente Manuela Mandracchia), è colei che ha vissuto una maternità riflessa impadronendosi di un figlio non suo, facendone il destinatario del profondo desiderio di sopravvivenza che è poi la molla che spinge la macchina perfetta della Natura verso la riproduzione dei suoi individui. Il loro incontro nella notte fatale in cui si condensa l’opera, notte nordica d’inverno e di neve, è all’insegna di uno scontro all’ arma bianca. Ambedue cercano la stoccata definiva, Gunhild ( Lucrezia Lante della Rovere, temperamentosa quanto occorre, ma con il brutto vezzo di arrotolare le parole sulla lingua), la moglie mai amata che rivendica il ruolo, Ella ormai alle soglie della morte, vuole l’amore che le fu tolto, l’amore di John Gabriel e dello stesso Erhart, che ha cresciuto lontano dall’isola quando gli eventi familiari avevano scatenato le tempeste e che ora vive la sua giovinezza innamorato di una donna più grande di lui. Solo, in un disperante tentativo di rinascita, al piano superiore della casa dove i tre personaggi si trovano riuniti, sta il vecchio John Gabriel, rinchiuso nella sua prigione volontaria. Il passato colpevole, che egli crede di avere scontato e che invece ritorna con le sue irrimediabili conseguenze proprio quando si intravede la possibilità di poter ricominciare in qualche modo una nuova vita, sta per assalirlo. Perché non ci può essere riscatto. Non quando si è peccato contro l’Amore, quando lo si è ucciso con arroganza e indifferenza, come gli rimprovererà Ella. Borkman sembrava avesse avuto in sorte dal destino la potenza che odora di denaro, ma ha tradito la legge non scritta che mette al primo posto i sentimenti ed ora vecchio, perdente, sepolto dalla rabbia accumulata e da vaghe aspirazioni di riscossa, dopo avere conosciuto per otto anni le ristrettezze di una cella per bancarotta fraudolenta, si ritrova punto apicale del triangolo formato dalla moglie e dalla cognata, vecchie come lui e disperate, pronte a lottare nel tentativo vampiresco di suggere la giovinezza di Erhart. Tutto si svolge nel breve arco di ore, dall’arrivo della slitta che porta Ella venuta a reclamare l’amore del figlio-nipote, per il quale è disposta a mettere in discussione tutto, anche a vivere nella stessa casa con la sorella gemella doppiamente sua rivale, perché era lei la promessa sposa di John Gabriel e perché Gunhild le impone il suo diritto di madre. In verità, ormai la famiglia Borkman vive della carità di Ella, il cui patrimonio è stato risparmiato dalla rovina. Dramma intenso di perdenti, tutti, anche Erhart, che partirà con Fanny Wilton e con Frida, la figlia di un povero scrivano ( bravissimo Mauro Avogadro) che il fallimento del banchiere ha avulso dalla realtà e relegato in un mondo di sogni irrealizzabili. Essenziale ed elegante l’allestimento con una sala povera e un albero livido nel finale. Ottima la regia di Piero Maccarinelli febbrile, alla quale si contrappone Popolizio con il suo Borkman dalle tinte malinconiche e furenti ad un tempo.Franzina Ancona |
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