Vogliono metterci la museruola
 











Il dibattito politico-giornalistico sulla riforma della diffamazione nata in fretta e furia per salvare dal carcere Alessandro Sallusti (che peraltro fa di tutto per andarci) dimostra anzitutto una cosa: in Italia non c’è riforma che non peggiori la legge precedente. Quella attuale risale al 1948 ed è migliore del progetto e degli emendamenti presentati in Parlamento: non solo le supermulte ai giornalisti e la loro sospensione per anni dalla professione, ma soprattutto l’obbligo di pubblicare rettifiche senza replica, anche non documentate, anche se affermano il falso mentre il giornalista ha scritto la verità. Più che un bavaglio, una museruola.
QUALE DOVREBBE ESSERE l’obiettivo della legge? Ridurre al minimo le diffamazioni e, quando queste si verificano, garantire al diffamato la possibilità di ristabilire al più presto la verità e riabilitare la propria reputazione. Ma, prima di tutto, bisogna intendersi sul concetto di diffamazione. Che, in
Italia, cumula ed equipara due condotte diverse: l’attribuzione di un fatto determinato falso e dunque infamante; e il giudizio anche pesantemente critico, ma pur sempre soggettivo e quindi legittimo, specie se argomentato. La prima condotta è punita in tutto il mondo, pur se solo con sanzioni pecuniarie e disciplinari. La seconda quasi soltanto in Italia. Qualche anno fa il regista americano Michael Moore pubblicò "Stupid white man", un libro sul presidente George W. Bush. Il quale non si sognò neppure di querelarlo o citarlo per danni, essendo pacifico che Moore avesse il diritto di giudicarlo un idiota. In Italia il libro fu pubblicato da Mondadori, cioè dallo stesso Berlusconi che denuncia per molto meno. Dunque la prima riforma della diffamazione dovrebbe depenalizzare tutte le critiche. I tribunali dovrebbero occuparsi solo dell’attribuzione di fatti determinati che il presunto diffamato reputa falsi.
Ma attenzione: non tutte le diffamazioni sono uguali. Nei giornali quella
che oggi appare una notizia vera allo stato degli atti, domani può rivelarsi falsa o incompleta o imprecisa alla luce di nuovi sviluppi. Un conto è chi mente sapendo di mentire, un altro è chi sbaglia in buona fede. Ma la legge attuale non fa distinzioni tra il killer a mezzo stampa e il giornalista che sbaglia in buona fede. Quando basterebbe una seria norma sulla rettifica.
Chi sbaglia in buona fede rettifica e si scusa, dopodichè non deve rischiare pene detentive, ma solo pecuniarie (attenuate dalla riparazione immediata). Invece per il killer che scrive il falso appositamente, magari per screditare un avversario del suo giornale (o del suo editore), non c’è rettifica che tenga: anche perché di solito non viene pubblicata o è accompagnata da commenti che al danno aggiungono la beffa, o comunque non basta a riparare. Se un giornale (uno o due a caso) scrive per anni che Di Pietro è un ladro, come potrà cavarsela con un articoletto in cui si rimangia tutto, tipo "ops, ci siamo
sbagliati"? In casi come questo non c’è altra sanzione che il carcere per dissuadere i sicari e tutelare le vittime.
E’ VERO CHE IN EUROPA la galera per i giornalisti non è prevista. Ma lì gli editori "impuri" hanno vita difficile ed è raro che i giornali vengano usati per regolare i conti con avversari politici o affaristici. In Italia purtroppo è quasi la regola: se rischia solo una multa, il killer sarà disposto a tutto, tanto poi a pagare è il padrone-mandante; se invece rischia il carcere, non potrà mandarci l’editore al posto suo, dunque ci penserà due volte prima di ingaggiare campagne menzognere su commissione. Finché non avremo una seria legge sui conflitti d’interessi e le incompatibilità nel sistema dei media, teniamoci stretta la legge del 1948 (con i ritocchi di cui sopra). Carcere compreso (peraltro virtuale). In fondo, se Sallusti avesse pubblicato la rettifica del giudice diffamato da "Libero", scusandosi e possibilmente evitando di ripetere per mesi le balle sul suo
conto, avrebbe subìto una condanna più lieve con pena sospesa, o il ritiro della querela. Fare informazione onesta è molto più facile di quanto lui creda. Marco Travaglio