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La severa (e tosta) faccia di Mr. Monti
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Il 17 ottobre scorso, in seguito all’approvazione al Senato del disegno di legge “anticorruzione”, il Monti più famoso d’Italia ha affermato solennemente “Io non ho mai usato in vita mia l’espressione ‘metterci la faccia’, ma lo faccio in questa occasione”. A sottolineare quanto sia importante la grande novità sul “male” della corruzione, considerato il primo vergognoso vizio italico nonché primo freno agli investimenti esteri, il capo del governo ha deciso di usare un’espressione un po’ “colorita”, diversa dai canoni integerrimi della sua dialettica. Sarà stato anche un vocabolo pittoresco e rafforzativo, volto a richiamare l’attenzione, ma il dubbio arriva dagli altri atti dell’esecutivo. Le tante sbandierate riforme del suo governo (pensioni, lavoro, imu, revisione della spesa) sono frutto dei ministri relativi che, in ogni caso, fanno riferimento a lui, il padano di Palazzo Chigi. Tutti gli atti del governo portano la sua firma e la sua faccia, nel bene (se c’è) e nel male (finché presa di coscienza elettorale non ci separi). Lo afferma anche la Costituzione e, prima che arrivi Benigni a spiegarcela (a dicembre in Rai), è possibile un richiamo, primo comma art. 95 “Il presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Cosa vuol dire, quindi, che la faccia l’ha messa solo adesso? Tutti gli atti precedenti ne sono orfani? Sembra quasi un voler mantenere un distacco da quelli più impopolari e spietati: quelli per le pensioni, il lavoro, l’imu (fatta rientrare nella cosiddetta “manovra Salva Italia”) e la revisione della spesa. E’ comodo sbilanciarsi su una tematica, quella della corruzione, che di per sé cattura l’attenzione di tutti e non è antipopolare. Perché l’espressione di “metterci la faccia” non è stata utilizzata per pensioni e lavoro? In effetti, sarebbe stato proprio un pericoloso autogol e Monti, tra smentite, conferme e mezze verità, punta a essere un protagonista vero della politica italiana, anche nel prossimo futuro e non solo in veste, raccolta, di “semplice” senatore a vita. Monti rivendica con orgoglio l’averci (letterale) “messo la faccia”, come un suggello di garanzia, un marchio di fabbrica di qualità che, forte della credibilità guadagnata, lo pone su posizioni ferme e decise. Viene da chiedersi quale faccia abbia davvero messo il presidente del Consiglio. Forse quella faccia gemella di chi stabilisce le imposizioni d’oltreoceano o di Bruxelles, in cui periodicamente va per ottenere nuovo consenso e nuove direttive, così avulsa dai visi tristi e senza speranza dei lavoratori italiani? La faccia l’ha messa davvero lui e non, a esempio, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Grilli, il sosia del noto attore di film dell’orrore (tra cui Dracula) Christopher Lee oppure Giarda, ministro per il Rapporti con il Parlamento, accusato di “fare orecchie da mercante” dall’onorevole Grassano. La faccia non l’avrebbe messa neanche il ministro per il Lavoro e Politiche Sociali, la Fornero che, tranne il pianto (che aveva illuso qualcuno) di inizio mandato, ha collezionato, nelle sue esternazioni, una sequela di gaffe; per queste è arduo valutare se siano volute per distrarre l’attenzione (un po’ alla maniera del Cavaliere) o se siano frutto della propria sensibilità per l’attuale situazione del mondo lavorativo italiano. E’ una faccia severa quella che mostra il Monti, una faccia dura, granitica, quasi “tosta”. La faccia “tosta”, ma non risoluta, è quella che ha fornito, a giudicare dalle numerose affermazioni contrastanti. Dichiarazioni (simili a quelle di Berlusconi) sul suo futuro dopo l’esito elettorale. E’ il caso di riportare qualche esempio. Al “Forum Ambrosetti” di Cernobbio, il 9 settembre scorso, Monti ha dichiarato “L’esperienza del governo tecnico è sicuramente episodica, transeunte e limitata nel tempo”. Al Council of Foreign Relations, a New York, il 28 settembre ha affermato “Un proseguimento della premiership? Se ci dovessero essere circostanze speciali, che io mi auguro non ci siano, e mi verrà chiesto, prenderò la proposta in considerazione […] Non prevedo che una seconda occasione sarà necessaria […] Non mi candiderò. Credo che non potrei essere candidato perché sono un senatore a vita e i candidati sono candidati per diventare membri del Parlamento”. La stessa sera ha ricordato, in modo sibillino, in un’intervista a Bloomberg “Non ho piani o desideri specifici per il futuro. Voglio che le forze politiche, i mercati e la comunità internazionale sappiano che sarò sempre lì”. Per lasciarsi aperto un varco ha, tuttavia, tenuto a precisare “Faccio fatica a considerare tecnica la mia azione attuale. Non vorrei che si pensasse che politico debba voler dire essere di parte”. A fine settembre ha dichiarato anche “Non mi presenterò ma sarò là e, se si creeranno le circostanze per cui potrò dare un aiuto dopo le elezioni, non precludo nulla”. Un’altra frase contrastante è la seguente “Nel caso di circostanze particolari, che spero non si verificheranno, potrebbero chiedermi di tornare. Potrei considerare questa ipotesi, ma spero di no”. Le dichiarazioni discordanti si susseguono da mesi, sin da novembre (quando è stato “costretto” all’insediamento): innumerevoli proseguiranno, per settimane, in una noiosa tiritera. La faccia tosta più palese è stata quando, a giugno, ha asserito “Negli ultimi tempi il governo ha perso il sostegno di Confindustria e dei poteri forti”. Il tutto contrasta con quanto enunciato nel discorso inaugurale alla Camera (18 novembre) del suo esecutivo, soprattutto a riguardo dell’esistenza dei poteri forti “Durerò e dureremo poco, dureremo non un minuto di più del tempo nell’arco del quale questo Parlamento ci accorderà la fiducia. La mia intenzione, naturalmente, è di proiettare la mia squadra di governo, la nostra collaborazione, sulla prospettiva che va da qui alle elezioni. Non mi accingerei neanche ad andare oltre, questo l’ho chiarito a tutti […] Un’ultima considerazione a proposito di conflitti di interessi e di poteri forti, e così via. A parte che di poteri forti, lo dico con molto rispetto, in Italia non ne conosco, magari l’Italia avesse un po’ di più qualche potere forte. Se per poteri forti intendiamo quelli veri, ci sono alcuni poteri forti nel mondo ed io ho avuto il privilegio di vederli quasi tutti i veri poteri forti del mondo nelle mie funzioni di commissario alla concorrenza”. Sta al’uomo cosciente, scevro da steccati ideologici e paraocchi di stile equino, tirare le somme. “Mettere la faccia” significa impegnarsi anima e corpo in un progetto diverso, alternativo e rischioso, che possa pure non piacere ai benpensanti e ai poteri forti istituiti, vivi e vegeti; significa specchiarla in quella della povera gente che si costringe ulteriormente in ginocchio. Solo questa faccia, davvero utile al popolo, senza tema di demagogia e populismo, potrà essere degna di ammirazione e di memoria storica. Marco Managò |
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