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Un’Italietta colonia infeudata agli angloamericani |
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La nascita del governo guidato da Mario Monti è la dimostrazione più eclatante della deriva economica e politica del nostro Paese. Una politica nella quale l’Alta finanza internazionale e la finanza italiana sono entrate a gamba tesa, occupando uno spazio che era stata lasciato sguarnito. Che un uomo come Monti sia stato imposto a Palazzo Chigi, come se fosse il salvatore della Patria, la dice lunga sullo stato di degrado nel quale siamo precipitati. Un governo che ha preso il posto di quello di Berlusconi, la cui storia era stata condizionata da una massiccia speculazione operata dalla finanza anglofono operante da Wall Street e dalla City e dai paradisi fiscali dei Caraibi e della Manica. Una speculazione che aveva agito su due piani. In primo luogo attaccando i nostri titoli di Stato decennali, i Btp, con l’obiettivo di farne cadere il valore di mercato, e di riflesso spingere al rialzo gli interessi sulle emissioni future, mettere in pericolo i programmi finanziari dello Stato per gli anni a venire, e soprattutto spingere al rialzo il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi. Quello spread che costituisce ormai il punto di riferimento per gli investitori internazionali sulla affidabilità e sulla solvibilità futura di un titolo. Uno spread che con Berlusconi, nel novembre del 2011 era a 570 punti e che ora è sceso a 330, cifra più cifra meno. Una speculazione che, tra i suoi maggiori interpreti aveva visto la solita Goldman Sachs, una banca che da un ventennio rappresenta una presenza nefasta nelle nostre vicende politiche ed economiche. Il secondo piano sul quale si è svolto l’attacco contro l’Italia è stato quello portato avanti da società Usa presenti nel settore del rating come Moody’s e Standard&Poor’s che emettono giudizi sulla affidabilità degli Stati e delle società finanziarie e industriali nel rimborsare i soldi presi in prestito. Giudizi che risentono della situazione patrimoniale e finanziaria dei soggetti esaminati e che vengono offerti ai clienti che pagano mensilmente per ricevere consigli di investimento. Teoricamente Moody’s e Standard&Poor’s e società similari, come la franco-statunitense Fitch, svolgono un’attività utile e necessaria e soprattutto indipendente. Ma le cose non stanno così perché in molti casi tali giudizi sono dettati da un altro tipo di considerazioni, come la volontà di sostenere una società “amica” e suggerire ai clienti ad investirvi i propri soldi. Un caso a dir poco eclatante è stato quello di Lehman Brothers, banca d’affari Usa, sulla quale a fine 2007 Moody’s garantiva la solidità patrimoniale e finanziaria. Poi è emerso che il colosso di Wall Street era indebitato sopra ogni immaginabile misura e nemmeno un maggiordomo di Wall Street come Barack Obama, è stato in grado di salvarla con prestiti pubblici. Intervento che è stato invece prontissimo a fare con la “amica” Goldman Sachs. Questo modo di agire delle società di rating Usa, attribuire dei giudizi senza legarli alla realtà dei fatti, è stato a più riprese rimarcato dalla stessa Commissione europea e anche dall’ex direttore generale del Fmi, Dominique Strauss Kahn, che lo aveva definito poco serio. Da Bruxelles purtroppo non si era andati al di là delle parole, ventilando l’idea di dare vita ad una società di rating in chiave europea. Da più parti era stata sottolineata la circostanza che i giudizi negativi delle due società di rating Usa coincidevano troppo spesso con i vertici europei nei quali erano stati decisi gli aiuti a Paesi in difficoltà come la Spagna, quindi attribuendo a Madrid un periodo di assistenza finanziaria in grado di calmierare le speculazioni, o in coincidenza con il miglioramento della situazione del disavanzo pubblico come nel caso dell’Italia. Come se le società di oltre Atlantico volessero sempre e comunque creare turbative sui mercati finanziari. In effetti, è proprio quello che da oltre Atlantico si persegue con un accanimento che soltanto ad uno sprovveduto non può non apparire sospetto. L’obiettivo di Mooody’s e di S&P non è quindi quello di tutelare i propri clienti indirizzandoli verso alti investimenti. E non è nemmeno attaccare i Bonos spagnoli e i nostri Btp in quanto tali. Ma è invece quello, tramite tali attacchi, di indebolire l’intero sistema della moneta unica europea e togliere qualsiasi possibilità all’euro di divenire una moneta alternativa al dollaro e alla sterlina come moneta di riferimento nelle transazioni internazionali. Non è un caso che le speculazioni contro i titoli pubblici dell’Europa continentale vengano anche dalla City londinese, da quella Gran Bretagna che non ha mai voluto entrare nell’euro e che nell’Unione svolge il ruolo di cavallo di Troia degli interessi degli Stati Uniti. Un sottile gioco di sponda nel quale, per periodi limitati, gli interessi britannici e statunitensi possono arrivare anche a collidere, ma che rimane contrassegnato dal principio del marciare divisi per colpire uniti. Nel caso specifico dell’Italia, gli attacchi contro i nostri Btp, l’esplodere dello spread con i Bund tedeschi, considerati il punto di riferimento in Europa per la stabilità dei conti pubblici tedeschi, e la successiva caduta di Berlusconi, sono stati dettati da una precisa strategia “atlantica”. Il governo italiano era infatti divenuto una mina vagante non tanto per le intemperanze sessuali del Cavaliere quanto per i legami strettissimi che era riuscito a stabilire con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi. L’accordo a tre nell’autunno del 2010 che aveva visto la Russia stabilire rapporti con la Libia nel petrolio e nel gas non era andato giù a Washington e Londra che non hanno mai accantonato l’idea di accerchiare la Russia da Ovest e da Sud, in un aggiornamento del Grande Gioco che nell’Ottocento vide contrapposti russi e inglesi. Soprattutto non poteva essere accettato dagli anglofoni il fatto che Mosca si affacciasse di nuovo nel Mediterraneo, considerato una loro riserva di caccia. Nel caso dell’Italia, di Berlusconi si potrà pure dire tutto e il contrario di tutto ma il Cavaliere aveva sicuramente capito che il ruolo che l’Italia deve recitare è nel Mediterraneo. Come piattaforma tra l’Europa del Nord e il Nord Africa e il Vicino Oriente e che il gas costituisce un elemento fondamentale in tale rapporto. Soprattutto perché il gas, che vanta giacimenti inesauribili, è destinato a soppiantare progressivamente il petrolio nei prossimi decenni come fonte energetica primaria. La guerra degli angloamericani alla Libia, in questo caso appoggiati dai francesi, è stata la tappa inevitabile. Alla caduta e alla morte di Gheddafi è seguita poi la caduta e la morte politica di Berlusconi. Che sia questa la chiave di lettura di tali avvenimenti è dimostrata da un fatto. Eric Knight, dirigente del fondo di investimento Knight Winke azionista dell’Eni con il 2% delle azioni, si lasciò sfuggire l’anno scorso che per la finanza Usa lo scorporo della Snam Rete Gas dall’Eni era molto più importante della riduzione del debito pubblico. Uno scorporo per realizzare un gestore indipendente svincolato dal controllo dello Stato ed indebolire l’Eni. Non è un caso che sotto il governo Monti sia stato avviato tale scorporo con la vendita del 29,99% di Snam dall’Eni alla Cassa Depositi e Prestiti che è l’azionista di controllo dello stesso Eni. La CDP, per quella che era una operazione interna al settore pubblico, ha scelto un consulente non da poco. Quella Goldman Sachs che ha speculato contro l’Italia. Quella Goldman Sachs che nella seconda metà degli anni novanta partecipò alla privatizzazione di circa un 70% delle azioni Eni. Quella Goldman Sachs della quale Mario Monti è stato consulente, prestando pure i propri consigli ad un’altra società nemica dell’Italia, come Moody’s. Basterebbe questo a dimostrare che c’è del marcio in Italia e che la situazione di sudditanza ad interessi esteri nella quale ci troviamo è sicuramente originata dall’altissimo debito pubblico, che non è però soltanto colpa di Berlusconi, ma che trova la sua ragione di essere in una precisa strategia geopolitica e strategica contro il nostro Paese. Una deriva aggravata dall’inconsistenza di una classe politica che si è fatta commissariare da un governo di banchieri scelto per concludere la stagione delle privatizzazioni avviata con la Crociera del Britannia del 2 giugno 1992 e con la speculazione contro la lira nell’autunno successivo partita dalla City di Londra. Quello che in Italia è impressionante è la pochezza dei politici italiani di destra e di sinistra che si sono succeduti al potere e che, oltre a varare le privatizzazioni chieste dagli anglofoni, si sono limitati più che altro a gestire l’esistente senza alcuna memorabile impennata in campo economico-sociale ed in quello della politica internazionale. Politici che si sono trovati tra le mani un potere molte maggiore delle proprie possibilità e della propria cultura. Per colpa loro, il nostro Paese ha smarrito il senso della propria identità e del proprio ruolo in Europa e nel Mediterraneo. Filippo Ghira |
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