Politica energetica e sovranità nazionale. Il caso Lituania
 











Le linee di faglia geopolitiche fra opposti blocchi continentali sono in continuo divenire. In questo periodo, una frattura che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore è quella incuneata fra i Paesi baltici. Nonostante la sua pericolosità, o forse proprio a causa di questa, la sotterranea incrinatura dell’apparentemente monolitico blocco eurocratico viene grandemente svalutata dalla stampa nostrana.
Eppure, i destini dell’UE passano anche per i tre Paesi affacciati sul Mar Baltico e per le relazioni da questi intessute con il potente confinante eurasiatico. S questo aspetto, il “nodo” energetico appare in grado di condizionarne la postura strategica. Esemplare il caso della Lituania, destinata a divenire il principale terreno di scontro fra gli attori interessati ad asserire la propria influenza sul bacino baltico. Casus belli è la ventilata costruzione della centrale nucleare di Visagina, scelta che affonda le sue radici nello shutdown di
Ignalina, avvenuto il 31 dicembre 2009 in ottemperanza agli accordi di adesione all’UE.
A favore del progetto si è spesa la presidente Dalia Grybauskaite, impegnata in un processo di disancoraggio dalla Federazione Russa dagli esiti ancora incerti, che ha a più riprese affermato come le decisioni in materia energetica siano la suprema espressione della sovranità nazionale. Non a caso, a suo parere, tale progetto sarebbe osteggiato da alcuni Paesi confinanti (leggi Russia), gelosi di un eventuale smarcamento del Paese dai tradizionali flussi energetici. La iron lady baltica ha slineato come la dipendenza da un unico fornitore di energia – situazione attuale con la Gazprom monopolista sul mercato Lituano – pregiudichi la possibilità di esercitare una politica estera autonoma. Conclusione del suo ragionamento è che diverse fonti energetiche e canali di approvvigionamento garantirebbero immediati benefici anche nei prezzi dell’energia. Nell’imminente stagione fredda gli analisti hanno
previsto aumenti record per la bolletta del gas dei tre Paesi baltici, che dovrebbe raggiungere il massimo storico. Oltretutto, il gas lituano si conferma come il più caro.
Tuttavia, due fattori intervenienti sembrano poter scompaginare il disegno presidenziale di matrice euroatlantica. Un referendum consultivo sulla costruzione della centrale, tenutosi parallelamente alle elezioni parlamentari, si è concluso con una netta affermazione dei “no”. Su un milione e quattrocentomila votanti, il 65% ha optato per l’abbandono dell’avventura energetica. Ancor più significativo l’esito delle elezioni parlamentari, tenutesi in doppia tornata il 14 e il 28 bre. La coalizione di centro-destra del premier Andrius Kubilius, che ha “traghettato” il Paese fuori dalla crisi del 2008, è stata severamente punita dagli elettori. A trionfare sono stati i due principali partiti d’opposizione di sinistra.
Il Lietuvos Socialdemokratu Partija (LSDP), guidato da Algirdas Butkevicius, ed il Darbo Partija
(Partito Laburista), piazzatosi al terzo posto dietro il premier uscente Kubilius. La condicio sine qua non per la formazione di un governo di centrosinistra è un’intesa fra i socialdemocratici ed i laburisti del russofono Uspaskichas (cognome in lingua originale Uspasskih), controversa figura politica con alle spalle qualche torbido finanziario che l’ha portato a riparare per qualche anno in Federazione. L’intesa fra i due leader è stata tuttavia stigmatizzata dalla Grybauskaite, che ha dichiarato di voler estromettere il DP dalla compagine governativa.
La lotta sull’agone politico per la composizione del nuovo governo è pallido simulacro del ben più importante scontro sulla definizione di una coerente geopolitica energetica. Le posizioni di Butkevicius in materia hanno fatto spesso da contraltare a quelle della iron lady. Il premier in fieri aveva già osservato durante la permanenza all’opposizione come il progetto della centrale poggiasse su basi fragili, con la carenza di
documentazione tecnica approfondita (lungamente promessa dal primo ministro uscente Kubilius) da un lato e la tendenza a far firmare accordi sulla centrale a “seconde linee” del governo dall’altro.
Anche il Seimas (parlamento), aveva gettato acqua sugli ardori presidenziali, decidendo poche settimane fa di rinviare la ratifica dell’accordo con l’investitore strategico nella costruzione della centrale, la (guarda caso) nippo-statunitense General Electric-Hitachi. Ancora, Juozas Olekas (ex ministro in quota LSDP) aveva ottenuto un voto del Seimas che ha sospeso discussioni e progetti di legge legati a Visagina.
L’ex primo ministro Kubilius, con sommo scorno, aveva addirittura richiesto un’indagine sui promotori della “pausa di riflessione”, azione a suo dire caldeggiata da “forze straniere”.
Il rovescio elettorale subito dai conservatori non ha fatto altro che esacerbare i toni dello scontro, alzando la posta in gioco. In un’intervista rilasciata il 31 bre, Butkevicius – oltre
all’intenzione di non concedere a Uspaskichas alcun dicastero – ha ribadito le ragioni per cui il suo Paese non ha bisogno dell’atomo. Si tratterebbe di un impegno economicamente insostenibile e contrario alla linea del partito, che intenderebbe addirittura cancellare la figura del Ministro dell’energia, attualmente Sekmokas.
Secondo il leader del LSDP, l’operato del titolare del dicastero è stato ambiguo ed incoerente. Butkevicius non ha preso una posizione definitiva sul prolungamento dei negoziati con Hitachi, ma la linea del suo partito contemplerebbe la chiusura del dialogo con l’investitore strategico per concentrarsi sul progetto del rigassificatore GNL. La Lituania non ha, infatti, le dotazioni necessarie per portare avanti quattro o cinque grandi progetti infrastrutturali ed energetici del costo di miliardi di euro.
Da un punto di vista più generale, il fabbisogno energetico costituisce evidentemente un alibi pretestuoso per la costruzione della centrale. Il progetto è
figlio di importanti interessi economico-finanziari che si sono tentacolarmente estesi sull’area baltica. Alcuni opinionisti hanno (ovviamente) rimproverato al leader del LSDP che le linee guida del suo partito potrebbero costituire un servigio reso alla Federazione Russa, ad oggi unico reale supplier energetico della Lituania. Tuttavia, Butkevicius ha probabilmente inteso dar risposta alla domanda più sottile inerente la costruzione della centrale, ovvero la sua sostenibilità demografico-economica.
L’invecchiamento della popolazione e la fuga dei giovani stanno impattando persino su costumi e stili di vita, con una contrazione dell’utilizzo di acqua e gas. Nel 2021, anno in cui la centrale dovrebbe essere avviata, tali cambiamenti avranno un effetto ancor più pervasivo sul mercato energetico. Costi che già oggi paiono incerti andranno spalmati fra un minor numero di contribuenti (quest’anno la popolazione, per la prima volta dal 1991, è scesa s i tre milioni di abitanti).
La
GE-Hitachi potrebbe rivestire il ruolo dello “squalo” che privatizzerà profitti, socializzando costi ed eventuali perdite. Inoltre, in un progetto di così lunga implementazione, macrovariabili quali costo delle materie prime, ripresa economica globale, tenuta della zona euro potrebbero segnare la differenza fra un trionfo ed una catastrofe dalla quale la piccola economia difficilmente riuscirebbe a risollevarsi, considerando oltretutto l’impatto enorme che tale operazione avrebbe sul debito pubblico – che il premier in fieri ha assicurato di voler tenere s stretto controllo. La costruzione della centrale potrebbe avvincere la Lituania con legami asfissianti, privandola – questa volta sì, in maniera definitiva – della possibilità di poter determinare il proprio futuro quale nazione. Come brillantemente osservato dal leader del LSDP, il Paese baltico sta correndo il rischio che “la tanto ventilata indipendenza energetica dalla Russia si trasformi in una schiavitù permanente nei confronti degli investitori globali.” La tirannia del denaro può esser più pervasiva della tirannia degli eserciti. Alessandro Di Simone