L’economia europea resterà in recessione pure nel 2013
 











La Commissione europea vede nero nel futuro dell’economia continentale. La ripresa tanto auspicata non ci sarà nemmeno nel 2013, semmai solo nel 2014. Serviranno quindi a poco la disciplina di bilancio nei conti pubblici e le riforme strutturali. Le prime che sarebbero dovute servire ad un risanamento. Le seconde che avrebbero dovuto contribuire a creare un mercato del lavoro più elastico, ossia con licenziamenti più facili, e rassicurare le imprese sulla possibilità di ridurre i dipendenti.
Per i tecnici di José Barroso, la situazione nella zona del’euro resta fragile.
Il rapporto di Bruxelles, con le previsioni sul prossimo biennio, non lascia molto spazio a speranze di alcun tipo. Nel loro insieme, i Paesi dell’euro registreranno una diminuzione del Prodotto interno lordo di circa lo 0,4%.
La leggera ripresa che si avrà nel 2013 (+0,1%) e nel 2014 (uno sperato + 1,4%) serviranno a recuperare ben poco delle perdite subite negli ultimi
quattro anni di recessione. Senza contare che tali previsioni non sono espresse in termini reali e che non scontano il peso dell’inflazione. Così, grazie al solito gioco dei bussolotti fatto con l’econometria, a Bruxelles stimano un graduale ritorno alla crescita l’anno prossimo e un suo rafforzamento nel 2014 che tale però non si può considerare.
L’unica nota positiva, almeno nell’ottica di Bruxelles, verrà dalla riduzione del rapporto tra disavanzo pubblico e Prodotto interno lordo che a fine anno calerà al 3,3%, sopra il 3% richiesto dal Patto di Stabilità, e comunque meglio del 4,1% di dicembre 2011. Nel 2013 scenderà al 2,6% e nel 2014 al 2,5%. Al contrario, il rapporto tra debito pubblico e Pil salirà al 92,9% rispetto all’88,1% di fine 2011. Salirà ancora al 94,5% nel 2013 per poi scendere al 94,3% nel 2014.
Si tratta degli effetti dello smantellamento dei meccanismi dello Stato sociale, come per il taglio delle pensioni che ha inciso sul disavanzo. Ma al tempo stesso la
recessione, con il calo di entrate fiscali e contributive, ha inciso pesantemente sul debito pubblico ed è prevedibile che tale trend, senza un miglioramento dell’economia, quindi di una crescita, continuerà ancora a lungo. Del resto, la recessione, con la chiusura di migliaia di imprese che ha lasciato tante famiglie senza una entrata mensile, ha inciso pesantemente sulla domanda interna in un meccanismo che ricorda il classico cane che si morde la coda. A tutto questo, ha seguito l’aumento delle tasse patrimoniali, tipo quella sulle case, vedi l’italiana Imu, che ha ulteriormente drenato soldi dalle tasche dei cittadini, destinati così a ritrovarsi sempre più poveri.
La disoccupazione resta così la questione più drammatica. Quest’anno nell’Eurozona si toccherà l’11,3% che salirà all’11,8% nel 2013 e calerà all’11,7% nel 2014. Ma anche in questo caso il rimbalzo del 2014 non consentirà di riassorbire gli effetti della perdita di posti di lavoro degli anni passati. Unica nota
consolante è quello rappresentato dall’inflazione che, a fronte del 2,7% dell’anno scorso e del 2,5% attuale scenderà all’1,8% l’anno prossimo e all’1,6% nel 2014.
Per l’Italia resta notte fonda. Il calo del Pil del 2,3% di quest’anno è eclatante se comparato allo 0,4% in meno dell’Eurozona. Nel 2013 il Pil calerà dello 0,5% per poi, sperabilmente, salire al più 0,8% nel 2014. Cresceranno le esportazioni (+3,1%) nel 2013 e nel 2014 con un più 4,1% che dipenderà più che altro dal deprezzamento atteso dell’euro che, ma la Commissione sembra non pensarci, comporterà maggiori oneri, e quindi più inflazione, per l’importazione di petrolio e di gas.
Quello che sembrava essere un fenomeno più europeo che italiano, ossia la disoccupazione, si attesterà quest’anno al 10,6% contro il 9,6% del 2011 per poi subire una impennata nel 2014 all’11,8%. La Commissione spiega questa nuova realtà con l’aumento della forza lavoro. Un fenomeno innescato da un lato dal fatto che il calo del reddito
disponibile delle famiglie spinge giovani e donne a cercare con impellenza un lavoro e mettersi ufficialmente sul mercato. E dall’altro, dipende dalla riforma delle pensioni, con l’aumento dell’età di quiescenza, che spinge i lavoratori più anziani a rimanere più nel mercato del lavoro.
Il commissario europeo all’Economia, il finlandese Olli Rehn, si è detto preoccupato del livello di debito pubblico dell’Italia e del fatto che non si riduce. Da quando c’è Mario Monti, novembre 2011, il debito è passato dal 120,1% al 126,1%. Un bel traguardo non c’è che dire per Monti e soci. Un insuccesso che imbarazza non poco Rehn che deve prendere atto che il debito sta aumentando senza freni. Così Rehn ha osservato che l’Italia dovrà proseguire negli sforzi, finora infruttuosi, di consolidare i conti pubblici anche dopo il 2013, quando dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere azzerato il disavanzo con il pareggio di bilancio.
E dovrà farlo “in coerenza con il patto di crescita e
stabilità”. Affermazione che prelude alla nascita di un Monti Bis, l’unico esecutivo che a Bruxelles, come a Wall Street e alla City, viene considerato in grado di riuscirvi.Filippo Ghira