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Ultime ore di vita del governo lacrime e sangue? |
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Forse potrebbero essere le ultime ore di vita del governo Monti. Tutto è legato al Cdm dove si dovrebbe dire una parola definitiva sull’election day. Accorpare o no il voto delle regionali e delle politiche? L’ultimatum del Pdl è chiaro: o si anticipano le elezioni politiche per svolgerle assieme al voto del Lazio, della Lombardia e del Molise oppure si spostano queste ultime in coincidenza del voto di aprile. In caso di un no secco dei tecnici, il Pdl potrebbe staccare la spina. Ci crediamo poco che si possa arrivare a tanto coraggio, anche perché di ultimatum ne abbiamo visti fin troppi. E tutti svaniti nel nulla. Che sia una cosa giusta staccare la spina a questo governo di presunti taumaturghi dell’economia e della rinascita del Paese l’andiamo sostenendo da tempo, purtroppo finora non è accaduto. Se per competenze e capacità intendiamo le misure che hanno attuato in questo primo anno di vita del governo dei professori, beh allora non resta che rispedirli alle loro precedenti attività. Il fallimento accomuna l’uno e l’altro schieramento. Non è che dando la colpa di tutto a Berlusconi ci si possa poi sentire delle verginelle. Ha fallito Berlusconi ma ha fallito anche Prodi, D’Alema e le rispettive coalizioni di centrodestra e centrosinistra. A quanto pare molti hanno ancora le idee poco chiare. Come si può votare il Pd? Ha le stesse identiche responsabilità del Pdl. Se si toglie la fiducia al partito del Cavaliere la si deve togliere anche al partito di Bersani. Non c’è alcuna ricetta diversa rispetto a quella del centrodestra, se non nelle sfumature. Lo sanno anche i sassi che le decisioni vengono prese altrove, quindi è incomprensibile questo fervore verso le primarie e verso la coppia Bersani-Vendola. Non decidono un bel niente, né nel sociale né sul lavoro né sulle misure economiche. Tutti, da Berlusconi a Bersani e Vendola debbono seguire l’agenda Ue e della Bce. E’ pura ipocrisia dire: andremo oltre l’agenda Monti. Non ci saranno affatto misure per i disoccupati, per rendere più congrui i salari o per dare più sostanza alle pensioni minime e più soldi alla ricerca e all’istruzione. Ci sarà solo una maggiore spalmazione della povertà. E’ inutile che Fassina, Vendola e altri prendano le distanze dall’agenda Monti perché da quel solco imposto non se ne esce. Solo con scelte forti, come l’uscita dall’euro, si potrà davvero voltare pagina. E se questa dovesse essere una delle priorità del M5S non potremmo che appoggiarla. Comunque sia meglio sostenere un movimento che si ripropone di togliere di mezzo questi due contenitori-camerieri centrosinistri e centrodestri piuttosto che assistere ai soliti banchetti e alle solite portate. Ma torniamo alla questione dell’election day. Se su questo fronte i due segretari del Pdl e del Pd si dividono nettamente, sul fronte del no al Monti bis sono uniti. “Non scommetterei nemmeno un centesimo -chiosa Alfano- Le nostre posizioni sono estremamente differenti e credo che entrambi siamo contenti delle nostre diversità perché costituiscono le basi per i nostri ideali e il nostro programma. L’esperienza Monti ha il carattere dell’eccezionalità”. E lo stesso pensiero viene espresso dal segretario del Pd. Anzi per ribadire la propria netta contrarietà ad una permanenza di Monti a Palazzo Chigi ci mette il carico da 90 ovvero non scommetterebbe neanche il centesimo ventilato da Alfano. Queste cose le hanno espresse dinanzi all’assemblea della Cna che si è tenuta all’Auditorium di Roma. Francamente non ci punteremmo nemmeno quel centesimo, in quanto siamo convinti che sia proprio il contrario di quanto sostengono i due mistificatori della realtà. Figurarsi se saprebbero dire di no alla Bce, a Bruxelles e all’amministrazione americana. A Bersani comunque interessa di più il filone del no al voto anticipato. “Mi misurano il tasso di montismo tutte le mattine, ma io sono sempre lo stesso, quello che ha sempre detto arriviamo fino in fondo senza scherzi e arriviamo fino in fondo con lealtà”. Ah è vero c’è un altro giuramento più importante: quello nelle mani di Napolitano. E così per non essere sgridato dal nonno il nipotino fa il compitino fino in fondo. Il terzo incomodo Casini o meglio quello che resta al centro del fiume senza bagnarsi, stranamente si dice favorevole al voto anticipato. Mentre sul Monti bis dice di affidarsi alla provvidenza ma nello stesso tempo liquida la soluzione del bipolarismo, sostenendo “che si trattava di grandi armate per vincere le elezioni che poi non riuscivano a governare”. Il fatto è che nemmeno tutti assieme appassionatamente al servizio di Monti si riesce a governare. Non per niente finora dai tecnici sono venute solo riforme e misure totalmente sballate e non certo al servizio dei cittadini. Nemmeno il governo Berlusconi è stato capace di tanto. E li chiamano pure professori… michele mendolicchio Il premio di maggioranza contro lo sbarramento Il disegno di legge n. 3557, del 2 novembre scorso, formulato dal senatore Malan (Pdl), della commissione affari costituzionali del Senato italiano, ha previsto un premio di maggioranza per il partito (o la coalizione) che raggiunga il 42,5% dei voti. Nel dettaglio, il testo prevede ciò che segue “Quanto, infine, al premio di governabilità, la cui attribuzione e la cui entità sono pure oggetto di discussione fra le forze politiche, il presente testo prevede che sia costituito da 76 seggi alla Camera e 37 al Senato e vada attribuito al partito o alla coalizione vincente, purché abbia conseguito almeno il 42,5 per cento dei voli validi totali”. In questa nuova e provvisoria versione, quindi, l’87.5% dei parlamentari è scelto per due terzi con il sistema delle preferenze, per un terzo con il sistema del listino bloccato. Il premio di maggioranza è ciò che resta: quel 12,5% pari a 76 seggi alla Camera e 37 al Senato. Il premio del 12,5% si sommerebbe al 42,5% sino ad arrivare al 55%. La soglia fatidica ha ricevuto diversi commenti pesanti, tra cui quello di Grillo che ha definito l’idea come un “Colpo di Stato”, per metterlo il più possibile in condizioni di non governare e di non nuocere. Ipotesi esagerata? In effetti, il presidente del Senato, Schifani, non si è nascosto e non ha negato (da apprezzare per la schiettezza) l’impegno vigoroso per impedire a Grillo di arrivare all’80%. Le reazioni sdegnate, soprattutto quella del convincente Bersani, hanno portato l’asticella a una quota di poco inferiore al 42,5%: con l’“emendamento Calderoli” del 13 novembre è al 40%. Il segretario del Pd ha utilizzato un termine un po’ inusuale, parlando di “premialità”, la declinazione dell’aggettivo “premiale”, per definire questa regalia che il partito o l’alleanza più amati dagli italiani dovrebbero ricevere. La legge del più forte si concretizza in un “ritocco” del presunto premio che dovrebbe ricevere il primo partito (una percentuale di “ricompensa” attestata al 20%), in caso di non raggiungimento del 40%. I partiti sono discordi anche in questo: il Pd, nell’emendamento (o lodo) Calderoli, vuole il 30%, la Lega il 25% e il Pdl il 20%. Povero Bersani: stretto fra primarie non agevoli, programmi da inventare, fine dell’antiberlusconismo e accerchiamento di tecnici e di Grillo, vede l’ennesimo ostacolo alla vittoria elettorale che ha in pugno. Un anno fa, quando gli spodestarono quell’avversario che mai avrebbe battuto alle urne, certo non immaginava che si frapponessero tutti questi intoppi per la strada. I seggi ottenuti da Berlusconi all’inizio dell’attuale legislatura furono il 55%, con un premio alla Camera calcolabile intorno all’8,2% (i voti arrivarono al 46,8%); al Senato stessa percentuale di seggi e un premio di 7,7% (contro un 47,3% di voti). Con le elezioni del 2008 il centrodestra, quindi, ottenne 344 seggi alla Camera (contro i 247 del centrosinistra), al Senato ne ebbe 174 (contro 134). “Governabilità” è la parola magica alla quale tutti aspirano e per la quale si snodano alleanze elettorali da calciomercato. I partiti tradizionali, “tirati per la giacca” dal governo tecnico e ai minimi consensi, cercano l’appiglio per garantirsi la maggioranza parlamentare. L’esecutivo tecnico, alle spalle del centrosinistra probabile vincitore delle politiche, sarà un “governo ombra” anomalo: non all’opposizione ma alla guida del Paese (pur non figurando e attraverso l’uso dei politici allineati e coperti). Il premio, dunque, a fronte di un partito incapace di ottenere la maggioranza assoluta, deve compensare questo divario e andare a sostenere le alleanze (o i partiti) vincenti. Definire “premio” questa elemosina, è abbastanza singolare. A livello simbolico e onorifico, andrebbe riconosciuto al popolo astensionista. La questione dei seggi in Parlamento e ciò che ne consegue a livello di deliberazioni e voti connessi, non è affare di poco conto. La maggioranza relativa è quella data dal maggior numero di voti ottenuti da un parlamentare o da una proposta rispetto alle altre; quella assoluta è ottenuta con il maggior numero di voti dei parlamentari presenti e votanti; quella qualificata richiede un tetto minimo specifico. Tanta attenzione, dunque, per i numeri che devono “salvare” questa barca di candidati, i quali non godono di fiducia da parte del popolo, non sono in grado di formulare una legge elettorale decente e chiara né sono precisi nel definire le alleanze e i programmi. Del resto non si poteva attendere molto di meglio da strutture che non sono chiare nemmeno nel definire e organizzare le proprie primarie: una questione che ha rasentato il ridicolo pur di scopiazzare i cari amici statunitensi. Lo svolgersi delle primarie era decantato come un atto di libertà, di scelta democratica della base che sceglie i propri candidati; le polemiche, i veleni, i tatticismi e le regole astruse che le hanno accompagnate, non depongono, ancora una volta, a favore dei partiti. Ampia eco mediatica, quindi, alla questione del premio di governabilità, con appelli accorati di politici e di giornalisti al seguito, preoccupati di un esito potenzialmente indesiderato. La stessa “voce” e preoccupazione per il buon esito elettorale non si è palesata, invece, per quanto riguarda la “soglia di sbarramento”, ossia quel limite vigliacco che impedisce, alle formazioni “piccole” e meno pubblicizzate dai media, di emergere. Tradotto in termini più chiari: l’impedimento ufficiale e matematico, il divieto di partecipare alla vita parlamentare del Paese per le formazioni minori, a favore solo dei grandi partiti. Nessuna voce turbata si è alzata a difesa di questo difetto della democrazia (il termine che tanto piace) e che andrebbe eliminato. Escludere a priori (in sostanza) una formazione politica è atto vile e sa tanto di terrore; è un attentato al vero voto di protesta. La legge elettorale attuale fissa la soglia in termini non bassi: alla Camera c’è il quorum del 10% alle coalizioni e del 4% per i singoli partiti, al Senato 20% e 8%. Il fatto grave è che nessuno dei relatori abbia formulato un ripensamento e si sia redento, proponendo l’eliminazione dell’assurdo vincolo. La bozza suddetta prevede, infatti, una contorta soglia di sbarramento. Testuale “Per quanto riguarda la soglia di sbarramento nazionale, sono individuate, sia alla Camera sia al Senato, le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 5 per cento dei voti validi espressi, ovvero il 4 per cento se facenti parte di una coalizione, o che abbiano conseguito, in circoscrizioni comprendenti complessivamente un sesto della popolazione, almeno il 7 per cento dei voti validi espressi, ovvero le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, e che abbiano conseguito almeno il 15 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione; solo le suddette liste sono ammesse pertanto al riparto dei seggi effettuato in sede circoscrizionale”. La legge elettorale ad personam, anzi “ad listam” è pronta, servita su un piatto d’argento per far sì che la vittoria a tavolino non corra alcun rischio. La governabilità ufficiale ed esteriore si sta costruendo con acrobatici artifizi matematici, mentre quella ufficiosa e “tecnica” è nell’ombra pronta a impartire ordini. Le opposizioni minori sono messe a tacere, escluse da ogni premio subiscono, come tremenda beffa, anche il paradossale castigo dell’esclusione. Marco Managò
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