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INDEBITATI E VENDUTI Lo sporco affaire di Mr. Monti |
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Alcuni eventi vengono dati per scontati, come se sempre fossero stati tali e sempre dovranno esserlo, come a sottolineare l’assurdità di ipotesi alternative. Il “modello occidentale”, il sistema capitalista, la società multietnica, sembra che siano stati posti nella storia del mondo da una mano divina... soltanto i “periodi oscuri” della storia ne avrebbero causato il momentaneo occultamento. Chiunque volesse metterli in discussione, è fuori. Fuori dal limes, fuori dai diritti di cittadinanza politica, fuori dal consesso civile. A questo ristretto cenacolo di valori immortali è poi assurto, negli ultimi anni, anche lo spettro del debito pubblico. Con cui occorre convivere, a cui sacrificare le nostre grame esistenze. Tutto ciò è stato possibile attraverso una sistematica campagna di profonda disinformazione. Una qualunque persona cara a cui rivelassimo di avere un debito, sarebbe naturalmente portata a porci due domande: una inerente l’ammontare di questo inerente l’identità del creditore. Col debito pubblico questa logica non vale: sui grandi quotidiani, sulla stampa specializzata, in tutti i mezzi di informazione radiotv si parla con costanza del debito pubblico in termini quantitativi: a quanto ammonta, a quanto ammontava, a quanto ammonterà nell’ipotesi A, nell’ipotesi B e nell’ipotesi C. Mai, se non di sfuggita, un accenno alla natura e all’identità del creditore. Debito pubblico, quindi. Debitore, si sa, sono lo Stato e i suoi cittadini; e il creditore? Il Sole 24 Ore, La Repubblica, Il Corriere della Sera, Italia Oggi, i vari tg, i blasonati “esperti” ed economisti d’ogni risma non reputano doverlo dire. Meglio, molto meglio, che il popolo continui a ritenere che la nostra situazione debitoria sia stata determinata dalla “casta” dei politicanti, dalla mala gestione della cosa pubblica, dai ladri di galline, da una non meglio definita “crisi” e dai fumosi algoritmi del mercato finanziario. Guai a parlare, ad esempio, di banche. Guai ben peggiori a parlare di perdita della nostra sovranità monetaria. Si va fuori dal limes, si viene relegati al mondo dei sognatori complottisti. Questa disinformazione, meglio: “non-informazione”, non è la sola tara che grava sull’impostura finanziaria che incatena la nazione. Ad essa si aggiungono le menzogne della nostra classe dirigente, dal nuovo governo “bancario” che ha soppiantato la vecchia allineata classe politica. Mario Monti non fa altro che ripeterlo: stiamo uscendo dalla crisi, state calmi, tutto si aggiusterà. Intanto il Paese balla sull’orlo del baratro: generale disoccupazione, stato sociale annientato, apparato produttivo della nazione dismesso... E con la fola della “ripresa” vogliono tenere buono un popolo già bue, almeno fino a quando una certa parte di cittadini potrà vivacchiare con l’eredità dei genitori e dei nonni. Quando i giovani di oggi saranno genitori e nonni a loro volta, si vedrà, nel frattempo continuano a strozzarci con manovre “lacrime e sangue” che non hanno portato né porteranno ad alcun risultato dato che il debito, così concepito, è e resterà inestinguibile fin quando non verranno messi in discussione gli elementi cardine che lo hanno generato: la perdita della sovranità monetaria e la perdita del controllo, da parte dello Stato, sull’economia. Non hanno più neanche il senso del ridicolo: è stato sempre il Monti che, in visita ufficiale nei Paesi del Golfo (Qatar, E.A.U., Oman, Quwait) ha fatto il “piazzista” di società commerciali nazionali e a coronamento della sua missione (oltre ad aver rassicurato che i prossimi governi, checché ne dica il “popolo delle primarie”, faranno come e peggio di lui). E ha pure sentenziato: “non stiamo svendendo l’Italia”. Certo, signor presidente: quella l’avete già svenduta; ora state piazzando le briciole cadute sotto il tavolo dopo il lauto pasto della finanza internazionale. E dove si è recato, il nostro professor bocconiano, a fare svendite? Chiaro, dove i soldi ci sono: nei Paesi produttori di idrocarburi che sono riusciti ad accumulare dei fondi dotati di un considerevole attivo. Cosa hanno quindi fatto gli emiri del Golfo col surplus incamerato così? Lo hanno investito per il benessere dei rispettivi popoli? Hanno ridistribuito la ricchezza attraverso servizi e stato sociale? No: hanno investito, anche grazie a un Monti e a una Cassa depositi e prestiti diventata il deus ex machina, nel mercato finanziario. Come si conviene a Stati che dello “Stato” hanno solo la linea del confine tracciata sulle mappe geografiche, e tutto il resto li configura quali meri uffici commerciali e finanziari. La Norvegia, ad esempio, ha seguito una strada differente: l’attivo della sua bilancia commerciale (anch’essa fortemente determinata dal mercato petrolifero) è destinato al Fondo pensioni governativo, con cui si garantisce il benessere dei propri cittadini e non il sostentamento ai titoli del “mercato del lusso” che il buon Monti è andato a promuovere nelle sue soporifere conferenze qatariote. Ma per seguire l’esempio norvegese serve una coscienza nazionale, un senso dello Stato, una precisa volontà politica. Qualità che nella penisola italica devota di Mammona, al pari che nelle petro-monarchie, latitano.Fabrizio Fiorini |
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