Pianeta a rischio sulla via di Bali
 







di Guglielmo Ragozzino




Ieri è stato presentato in tutto il mondo il Rapporto 2007-2008 sullo sviluppo umano. Si trattava del 18º volume della serie, iniziata nel 1990. Come di consueto il Rapporto è pubblicato in Italia dall’editore Rosenberg & Sellier. In copertina c’è sempre un’immagine che richiama il tema trattato. Quest’anno il tema è il cambiamento climatico, suggerito da una Terra schiacciata e deformata da forze provenienti da tutte le parti e in apparente difficoltà.
Da sempre un Rapporto è diviso in due parti: la prima riguarda un tema specifico: l’anno scorso era «L’acqua tra potere e povertà», l’anno precedente, «La cooperazione internazionale a un bivio», nel 1995 la «Parte delle donne», nel 1999 «La Globalizzazione». Messa a punto la globalizzazione, ecco in questo decennio, «I diritti umani», «Come usare le tecnologie», «La qualità della democrazia», «Le azioni politiche contro la povertà», «La libertà culturale in un mondo di diversità». Quest’anno
la prima parte descrive la «crisi del clima nel XXI secolo, poi i rischi e le vulnerabilità in un mondo disuguale, mentreo il terzo e il quarto capitolo trattano di mitigazione e di adattamento, i classici temi sui quali si è svolta la discussione sia alla Conferenza voluta dal ministero dell’ambiente italiano in settembre che al più recente vertice sui cambiamenti climatici dell’Onu a Valencia in novembre.
La seconda parte del Rapporto contiene un apparato statistico che consente anche di seguire l’evoluzione, nei vari paesi e nel pianeta, dei temi al centro dei rapporti precedenti. Come si può notare, la scelta dei temi fatta dall’Undp (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) è molto sensibile alle scelte del discorso pubblico mondiale e agli sviluppi dell’agenda che ne deriva. Non si tratta di seguire o anticipare le mode, ma piuttosto di offrire argomenti e valide riflessioni e numeri, quanto più precisi e completi, alla discussione pubblica.
La presentazione di
Roma, dove non esiste più un vero ufficio dell’Onu (anche se a Roma ha sede centrale la Fao, una tra le agenzie più importanti delle Nazioni unite), è stata aperta da Antonio Vigilante, direttore dell’Undp alla sede di Bruxelles. Questi ha posto tre dilemmi, attinenti ai diritti, alla politica e alla geografia. Il primo dilemma è tra il diritto delle generazioni future e l’obbligo dei viventi (quelli che hanno l’età per decidere) di rispettare i diritti dei non nati; il secondo è tra i cicli del carbonio e quelli della politica. Quest’ultima dura cinque anni, al massimo dieci. Al carbonio servono così varie generazioni di governanti; infatti è molto più lento delle stagioni politiche: i tempi necessari al suo riassorbimento durano secoli. Perciò le scelte umane non devono cambiare ogni elezione.
Il terzo dilemma deriva dalle differenze tra globale e locale. Una tonnellata di carbonio è una tonnellata di carbonio; quel che decide un governo, in un senso o nell’altro, ha conseguenze
molto oltre i confini dello stato in questione. Per sciogliere i dilemmi, il consiglio pressante dell’Undp è quello di acquistare subito un’assicurazione contro i rischi di qualche calamità. Certo il premio da pagare sarà alto, ma in ogni caso conviene coprirsi, nell’intento di evitare guai. Il linguaggio dell’economia, diffuso in ogni luogo, vuole significare che prendere delle precauzioni contro eventi catastrofici o conseguenze, lente e inesorabili, come la desertificazione o la perdita di paesi e città costiere a causa dell’innalzamento del livello marino è conveniente anche se comporta un costo immediato in termini di mancata crescita e di ridotto prodotto interno lordo. Questo è appunto il premio pagato all’assicurazione ambientale.
La parte più insolita della presentazione di Vigilante è in una diapositiva sulle buone notizie. la prima buona notizia è la fine dello scetticismo e della tendenziosità: la linea dell’Ipcc avrebbe avuto totalmente la meglio; vi è poi un nuovo
impeto al negoziato in attesa del Kyoto due che aprirà a Bali a metà dicembre; vi sono sempre più frequenti azioni ambientali che coinvolgono regioni, città, comunità locali; il Nobel ad Al Gore e all’Ipcc ha offerto una visibilità nuova ai temi ecologici; vi sono sempre più frequenti innovazioni tecnologiche che possono mitigare o adattare il Pianeta al calore umano; vi è il successo ottenuto nel caso del buco dell’ozono che prova la possibilità di fare qualche cosa; vi è la disponibilità di risorse finanziarie e tecnologiche per svolgere ulteriori interventi; insomma, può avere un senso pensare che non è troppo tardi. Subito dopo, l’uomo dell’Onu butta anche la cifra necessaria per svolgere il processo inverso, verso la salvezza del pianeta dell’umanità: 300 miliardi all’anno e ci assicura, sono dollari assai ben spesi.
Poi Vigilante ci presenta una cifra decisiva: 1.456 (gigatonnellate di carbonio). Questo è il livello da non superare mai, in modo da consentire nel corso del XXI
secolo il riassorbimento del carbonio in eccesso, sotto forma soprattutto di CO2. E’ indispensabile stabilizzare un bilancio di emissioni per tutto il secolo e definire un percorso sostenibile.
Un adattamento soltanto avrebbe un po’ il significato dell’inerzia, che favorisce i ricchi contro i poveri. La scelta virtuosa è quella della mitigazione. Per ottenere il risultato, occorre un percorso virtuoso dei paesi dell’Ocse, in vista del taglio del 50% globale nelle emissioni entro il 2050, da dividersi per l’80% a carico dei paesi sviluppati - che storicamente hanno sporcato di più l’ambiente - e per il restante 20% per i paesi in via di sviluppo.da Il Manifesto