La mia prima volta alla Camera
 











Roberto Saviano

Il 29 novembre 2012 per la prima volta sono entrato alla Camera dei deputati. Dal portone principale, non da un ingresso secondario, per sicurezza o privacy. Ero stato invitato dalla Fondazione Icsa alla presentazione del Rapporto sul narcotraffico 2012, una sorta di Stati Generali italiani sul lavoro delle forze dell’ordine, un ragionamento congiunto sui risultati ottenuti nel contrasto alle organizzazioni criminali in tema di traffico di stupefacenti. Si è parlato di coordinamento con polizie internazionali, di metodi e prospettive. Parlare di narcotraffico in Italia è la cosa più normale e allo stesso tempo rivoluzionaria che esista e il fatto che una conferenza si tenesse proprio alla Camera su un tema troppo spesso alieno alla politica italiana, colpevolmente assente dai dibattiti, già di per sé mi sembrava una piccola rivoluzione. Peccato - mi dicevo - che tutto fosse relegato a una platea di soli addetti ai lavori.
ERANO LE CINQUE di
pomeriggio quando sono arrivato a Montecitorio. Era già buio e pioveva. Nella piazza era in corso un corteo. Sapevo che si trattava di operai dell’Ilva arrivati a Roma da Genova, Taranto, Novi Ligure, Racconigi perché a Palazzo Chigi era in corso un vertice tra governo e parti sociali sul futuro dell’Ilva di Taranto le cui sorti avrebbero condizionato a catena gli altri stabilimenti. «Siete voi la rovina dell’Italia», dicevano i manifestanti rivolti ai politici, «siamo qui per il nostro lavoro e per il nostro futuro, che voi ci state rubando». E poi ancora: «Parassiti», «ladri», «assassini».
Incredibile, pensavo, mentre entravo alla Camera, ero lì per una questione che reputavo della massima importanza e accanto a me, dietro di me, c’erano operai che manifestavano per il loro diritto al lavoro, compromesso da politiche inadeguate, distratte, ladre. Avevo preparato il mio intervento, sapevo che parlare di narcotraffico e di legalizzazione come unica prospettiva reale di per sé
sarebbe già stato un atto rivoluzionario in questa Italia e in quella sede. Eppure mi sono stretto nelle spalle sperando che le decisioni davvero questa volta venissero prese tenendo come punti saldi salute, diritto al lavoro e ambiente. Sperando che non possa mai accadere a Taranto ciò che è accaduto a Bagnoli. Devastazione, null’altro che devastazione. Niente più occupazione e niente bonifica. Varcata la soglia, facce rassegnate, come a dire: ogni giorno la stessa storia, siamo abituati a manifestazioni di protesta. Ieri per la scuola, oggi gli operai dell’Ilva, domani toccherà ad altri. Ormai ci siamo abituati.
COME SI FA , mi domando, ad abituarsi a essere chiamati ladri. A essere considerati la cappa infame che soffoca la vita normale, non dico felicità o addirittura realizzazioni personali, no, che soffoca proprio il normale svolgersi di vite che nulla chiedono se non un lavoro e dignità.
Stringevo mani e poi salivo le scale con uno strano sapore in bocca e una strana
sensazione appiccicata addosso. Non era la pioggia, non era il freddo.
Secondo i dati forniti da Sos Impresa, il fatturato delle mafie è di 140 miliardi di euro, cioè 25 miliardi in più rispetto alla manovra finanziaria di un paese. L’economia mafiosa quindi è la prima economia del paese. Cifre che dovrebbero portare il problema al centro del dibattito nazionale da considerare non come uno dei temi, ma come il tema della politica italiana, paragonabile al dibattito sulla crisi, al dibattito sull’occupazione. Ma la cosa più triste è che le uniche forze economiche nel nostro paese in grado di rilevare l’Ilva, di bonificarla e di rimetterla sul mercato, sarebbero proprio le organizzazioni criminali. Volevo parlare di quanto le mafie condizionino le nostre vite, ritenendo questa una priorità, e mi sono trovato al cospetto di un’altra priorità che in questo momento divide il nostro paese e che riguarda futuro e presente di migliaia di persone. E ho pensato che quella fosse l’unica
provocazione possibile.
Ma le provocazioni stanno a zero, mi sono detto. Il rischio maggiore è che a essere chiamati ladri, prima o poi ci abitueremo tutti. Colpevoli e innocenti.Roberto Saviano