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L’ASSIOMA ANOMALO Bellezza e Costituzione |
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Questo articolo è scritto prima di vedere la trasmissione, annunciata da tempo, in cui Benigni illustrerà la Costituzione (formale) vigente. L’occasione di scriverlo è data dalle ripetute uscite mediatiche con cui il comico ha anticipato l’angolo visuale e i criteri di cui si servirà per valutarla e illustrarla. Che sono due: il primo è che la costituzione “è bella” e come tale va apprezzata. Solo che è quantomeno curioso che si valuti una costituzione “bella”, cioè per il criterio-principe del giudizio estetico. Ogni attività umana ha un proprio criterio-principe di giudizio: un’azione può essere valutata, sotto il profilo morale, buona o cattiva, un atto giuridico valido o non valido (al limite giusto o ingiusto); una scoperta scientifica vera o falsa (o meglio verificabile/falsificabile) e così via. Della costituzione il criterio-principe è (almeno) duplice: uno, anticipato da de Bonald, quello storico che una costituzione è “congrua” se dura da tanto tempo e se ha consentito di proteggere l’indipendenza della comunità “costituita”. L’altro se è conforme a dei principi, norme, valori cui si pensa che dovrebbe conformarsi. Anche qua poi la soluzione è ulteriormente differenziata: se i principi debbano essere pensati astrattamente, tesi di cui Hegel pensava che “fa grossa la testa, grossa di vento” (cioè di aria fritta); ovvero che siano principi condivisi dalla comunità. In questo caso, se difforme, si refluisce sul criterio “storico”: poiché in genere costituzioni siffatte durano poco (l’ultimo caso ne è stato quello dei paesi del “socialismo reale”). Ma considerare una costituzione “bella” quando non agevola azione ed esistenza politica della comunità; o quando addirittura – è il caso di quella del Regno di Polonia su cui scrissero (tra gli altri) Rousseau e Mably – ne determina la fine (la Polonia del ‘700 fu tutta spartita tra Russia, Austria e Prussia), è, a dir poco, bizzarro. Sarebbe come giudicare “buona” la Venere di Milo o la Nona Sinfonia. É lo stesso criterio che, conseguentemente osservato, ha portato talvolta a coprire “le vergogne” delle opere d’arte, perché stimolavano pensieri non casti nè elevati. Quanto all’altro, Benigni ha affermato di voler leggere le disposizioni costituzionali che tutelano i diritti più vari, e di cui la costituzione – come tutte le costituzioni del secolo scorso, abbonda (assai più di quelle ottocentesche) – e dovuto al fatto che, nelle stesse (non solo nella costituzione italiana) si garantiscono non solo i diritti “borghesi” tradizionali, ma anche quelli derivanti da ideologie “socialiste” oltre che da dottrine religiose. Per cui ai diritti delle costituzioni moderne si può applicare il motto della RAI “di tutto, di più”. Anzi dato che, a opinione del comico, il tanto è bello, sarebbe il caso che la RAI gli proponesse un intero corso di diritto costituzionale comparato, con lettura e commento delle altre costituzioni moderne. In particolare suggeriamo la lettura di quella sovietica del ’77, al cui confronto quella italiana è quasi racchia. Ad esempio l’art. 32 della nostra Costituzione (I comma) tutela la salute (gratis per gli indigenti) con quattordici parole, mentre l’art. 42 di quella sovietica ne impiega oltre 100 e con dettagli virtuosi e poetici. E così via per 174 articoli (a fronte dei nostri 139).Peccato che una costituzione così bella sia durata tanto poco; nel 1991 l’Unione Sovietica si scioglieva, senza che nessuno prendesse le armi (e neppure si agitasse tanto) per difendere l’opera d’arte e con essa lo Stato sovietico. Quello che conta infatti per la gente non è che quei diritti siano enunciati solennemente nei testi costituzionali, ma (e non sempre basta) che siano effettivamente garantiti: scriverli nella costituzione è qualcosa: fruirne quotidianamente è tutto. Ancor più, che questi siano quei diritti tali per aspirazioni e convinzioni diffuse e maggioritarie (condizioni evidentemente non ricorrenti). All’urto con la Storia l’opera d’arte è andata in frantumi, e con essa l’Unione sovietica e l’illusione del comunismo marxiano.Teodoro Klitsche de la Grange La “Bella Carta” e i suoi manutengoli Che la nostra Carta Costituzionale, fatti salvi alcuni manifesti orrori “provvisori” o meno, sia “bella”, potremmo affermarlo anche noi. Che sia in gran parte un libro di piccoli e grandi sogni, con qualche incubo al margine, lo dovrebbero sapere tutti. Se sia “esteticamente” gradevole, lo abbiamo già ieri sfatato in premessa, con Teodoro Klitsche de la Grange che ricordava come fosse... molto più bella la Costituzione sovietica del 1977, inapplicata anch’essa e poi, colpita da un barattolo di Coca Cola, affondata nel 1991. Sulla “diretta” condita da satire cotte stracotte, con la fissa dell’antiberlusconismo, e dispensata ai teledipendenti dal doppio Oscar Roberto Benigni - i giullari italiani vanno per la maggiore, sia a Hollywood che a Stoccolma - proponiamo oggi un commento al vetriolo di Antonio Serena, nelle pagine interne (e siamo sodali con lui per aver retto impavido al suo monologo). In ogni caso è una “carta” che dovrebbe disegnare il “contratto legale” tra italiani, gli indirizzi politici, morali, civili a fondamento della Repubblica. Una “carta” da valutare non soltanto nei suoi termini scritti (eticamente buona o cattiva, un atto giuridico valido, non valido, equo o iniquo...), ma, soprattutto oggi, vista la sua veneranda età, nel suo stato di salute, e cioè di corretta applicazione. E la nostra Costituzione - forse “bella”, mah... - è un fatto che giace per la massima parte inapplicata. O inapplicabile in uno Stato a sovranità limitata che partecipa alle guerre altrui ma le “ripudia”, che è fondato sul “lavoro” ma privilegia la disoccupazione e le rendite da usura, che dichiara di fatto la proprietà pubblica delle aziende strategiche ma le privatizza, che inventa controlli trasversali dei poteri e i controllati diventano controllori. Un libro falso. Niente più.Ugo Gaudenzi
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