Monti trova una sponda amica in Marchionne
 











La politica economica del governo Monti è stata fallimentare, aveva detto Berlusconi. L’austerità porta alla recessione e alla depressione. Bisogna cambiare radicalmente registro. Se si va avanti così saremo costretti a uscire dall’Euro perché andremo incontro alla bancarotta. Noi del centrodestra , aveva successivamente aggiunto,  potremmo anche sostenere Monti se si presentasse alle elezioni come candidato premier di uno schieramento moderato da opporre alla sinistra. Considerazioni molto sul confuso quelle del Cavaliere sia perché troppo ondivaghe sia perché sarebbe necessario dare un significato alle parole “moderato” e “sinistra” che  non lo hanno più da un bel pezzo con la sinistra italiana ormai schierata su posizioni ultra liberiste in materia di politica economica. Semmai, la tendenza di Monti sarebbe quella di fare da nume tutelare ad una lista centrista catto-tecnocratico-bancaria, con i vari partitini centristi e con personaggi politicamente lessi come Casini e Fini ed esperti di pubbliche relazioni come Montezemolo. Così, grazie ad un’altra giravolta, un Monti sceso in campo politico si è trasformato per il piccolo Berlusconi in “un piccolo protagonista” e i suoi possibili compagni di viaggio in “piccolissimi leader che faranno vincere la sinistra “.
Ieri il “piccolo protagonista” è andato a visitare lo stabilimento Fiat di Melfi dove, narrano le cronache, gli iscritti ai sindacati collaborazionisti (Fim-Cisl, Uilm, Ugl e Fismic) lo avrebbero accolto con applausi scroscianti per avere contribuito a salvare la fabbrica, la produzione e i posti di lavoro. Ma quando mai. A salutare l’ex consigliere di amministrazione (guarda, guarda) di Fiat Auto non c’erano infatti gli iscritti al primo sindacato per numero di iscritti tra i lavoratori metalmeccanici, ossia la Fiom-Cgil. Il sindacato guidato da Maurizio Landini è stato l’unico ad opporsi fieramente al nuovo modello contrattuale imposto dal governo e ai
contratti capestro aziendali fatti passare dalla Fiat a Mirafiori e Pomigliano sotto la minaccia della chiusura. Una svolta grazie alla quale sono state tagliate le pause e le buste paga hanno mutato di identità risultando sempre più condizionate dall’incidenza degli straordinari e dei premi di produzione. Una svolta grazie alla quale si è innescata una corsa frenetica allo stakanovismo. Una svolta grazie alla quale gli operai verranno messi gli uni contro gli altri in nome di una divisione che vedrà contrapposti quelli super produttivi a quelli sbrigativamente indicati come lavativi ma che in realtà sono e saranno quelli non disposti a trasformarsi in schiavi. Ed anche se la Fiat di John Elkann e del manager in pullover Sergio Marchionne ha dato disdetta al contratto nazionale dei metalmeccanici, presto sostituito da uno dell’auto, e se la Fiat è uscita da Federmeccanica  e quindi da Confindustria, la linea Fiat sta risultando vincente a viale dell’Astronomia dove le imprese non possono che guardare con favore ad una realtà dove non ci saranno più quei rompiballe della Cgil a cercare di difendere i diritti più elementari di chi lavora ed un minimo di decenza.
In questo ambiente assai disponibile ad ascoltare quanto aveva da dire, Mario Monti ha difeso il suo operato, sostenendo che “sarebbe irresponsabile dissipare i tanti sacrifici che gli italiani si sono assunti”. Evidentemente un riferimento all’Imu che sarebbe irresponsabile togliere, come Berlusconi vorrebbe fare, in realtà soltanto a parole.
’L’azione del governo è soltanto all’inizio, ha sostenuto Monti, anche se quella di questo governo è terminata. In ogni caso, ha puntualizzato, siamo soltanto all’inizio delle “riforme strutturali”.  Come il lavoro reso più precario grazie alla riforma Fornero. Un’altra svolta assai apprezzata in Fiat in quanto va di pari passo con la gestione di Elkann  di Marchionne all’insegna della compressione dei diritti di chi lavora. L’agenda Monti “mostra
coraggio e lungimiranza”, ha detto Marchionne, in vena di ricambiare la cortesia. Noi, come Fiat, gli siamo riconoscenti.
Invece noi, come cittadini, siamo perfettamente coscienti di assistere ad una svolta epocale, ad un ritorno all’epoca dei “Padroni delle Ferriere” di fine Ottocento quando il sindacato di fatto era messo nelle condizioni di non difendere i diritti e le imprese avevano mano libera grazie ai mazzieri assunti dai padroni e alle forze militari e di polizia pronte a reprimere qualsiasi tipo di protesta.
La Fiat è oggi l’emblema più significativo della protervia padronale. Così a Melfi, presenti i due principali leaders sindacali collaborazionisti, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, il manager svizzero-tedesco ha illustrato i piani aziendali per Melfi dove verrà prodotta una 500 L e una mini Jeep, marchio della controllata Chrysler. Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di riadattamenti di modelli già esistenti che confermano come l’approccio della Fiat nei
riguardi dell’Italia sia quello del progressivo disimpegno, della chiusura delle fabbriche e del trasferimento della produzione all’estero. Laddove ci sono aiuti pubblici (Usa) o dove il costo del lavoro è molto minore (Brasile, Polonia e Serbia) che in Italia. Del resto le due nuove vetture saranno inserite nel segmento B, quello delle utilitarie  (la Punto) sul quale da sempre la Fiat basa il suo punto di forza unitamente a quello A, le cittadine, a cui appartiene la Panda e la 500. Settori che assicurano bassi profitti. E questo, oltre alla mancanza di modelli vincenti nei segmenti superiori è la causa della crisi senza fine della Fiat che Monti sta avallando. Come sta avallando la svendita del Paese agli interessi delle banche italiane ed estere.Filippo Ghira