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F35, 13 miliardi a scatola chiusa |
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Ai tempi di Carosello una vecchia pubblicità declamava: "Arrigoni si compra a scatola chiusa". E adesso lo stesso sta accadendo con il supercaccia F35, un programma da almeno tredici miliardi di euro per i contribuenti. Finora infatti nessun pilota italiano si è alzato in volo sull’aereo più costoso della storia, l’unico che abbia innescato un dibattito politico nel nostro paese sulle spese militari. Non è che sull’F35, ribattezzato Lighting ossia Saetta, siano saliti in pochi: dal dicembre 2006 ben sessantacinque piloti hanno preso i comandi del jet delle meraviglie. La lista completa è stata pubblicata dal magazine online della Lockheed: nomi, foto e biografie di tutti gli assi che si sono cimentati alla cloche. Nello stile dei topgun, li hanno numerati da Lighting One a Lighting 65. Sono soprattutto i test pilot della casa produttrice, ufficiali dell’Us Air Force e dei Marines. Nell’elenco però ci sono anche due collaudatori della Bae, azienda britannica e secondo partner industriale del programma, e due comandanti della Royal Air Force di Sua Maestà. Ma nessun italiano, né di Alenia (Finmeccanica), né della nostra Aeronautica, che pure sono al terzo posto nel finanziare e sostenere il progetto dal valore globale stimato in mille miliardi di dollari. Rispetto al preventivo iniziale, che ipotizzava l’acquisto di 131 F35, la spending review ha ridotto il totale a novanta, destinati agli stormi di Aeronautica e Marina. Senza che un solo ufficiale delle due forze armate abbia provato il gioiello tecnologico. Eppure la fase di sperimentazione del supercaccia è talmente avanzata che gli americani hanno già completato l’addestramento del primo pilota operativo, senza che un solo asso tricolore abbia potuto staccarsi da terra. Questo dipende in parte da una delle caratteristiche dell’aereo, concepito secondo criteri rivoluzionari: l’F35 è il primo reattore della storia senza versioni con doppi comandi. Finora tutti i jet militari hanno sempre avuto una versione biposto, con due sistemi di pilotaggio identici per permettere l’addestramento delle reclute facendole decollare assieme all’istruttore. Ogni macchina volante, soprattutto quelle più sofisticate, si comporta in modo diverso: nessuna manovra è standard e a mille chilometri l’ora non si può sbagliare. I biposto scuola però hanno capacità operative limitate: costano quanto gli altri jet, ma spesso non possono andare in missione o hanno comunque autonomia e armamento ridotto. Nel caso di caccia pagati parecchie decine di milioni di euro, si tratta di uno spreco. Così per l’F35 non sono state previste varianti biposto: l’addestramento si farà tutto sui simulatori di volo, congegni di ultima generazione "a realtà virtuale" che riproducono perfettamente le reazioni ai comandi in ogni fase del volo. Una preparazione tecnologica, per risparmiare il carburante delle missioni di prova ed evitare di mettere in linea macchine con prestazioni limitate a causa della doppia cabina. Proprio la concezione innovativa del Lighting, il primo caccia progettato dopo la fine della guerra fredda, ha convinto le nostre forze armate a ritenerlo indispensabile. L’F35 nasce per operare "in rete", secondo la filosofia dei conflitti futuri in cui i sistemi bellici si scambieranno automaticamente informazioni: non più squadriglie che combattono insieme, ma singoli aerei che saranno al centro di un network di apparati ?€“ satelliti, droni, veicoli terrestri o singoli soldati sul campo ?€“ portando a termine la missione ovunque. Inoltre il Lighting promette di essere invisibile ai radar e avere costi di gestione bassi, oltre a potere operare con piste ridotte o decollando verticalmente: l’ideale per situazioni come quella afghana o irachena. Ma l’assenza di piloti italiani chiamati a provarlo, evidenzia anche l’altro aspetto fondamentale del programma: si tratta di un aereo progettato negli Stati Uniti, in cui il nostro paese è sostanzialmente un osservatore con una rilevanza limitata: tecnicamente siamo "un partner di secondo livello". Non accadeva dalla fine degli anni Sessanta, quando si decise l’acquisto dei leggendari F104 Starfighter prodotti su licenza americana a Torino. Tutti i jet successivi adottati sono stati Made in Italy (cacciabombardieri Amx, addestratori Mb339 e M346) o Made in Europe (come il cacciabombardiere Tornado o l’intercettore Eurofighter). Aerei che nascevano con l’industria nazionale protagonista sin dall’embrione iniziale. E che però si sono trascinati spesso con tempi lunghissimi e costi dilatati all’inverosimile. La scelta di aderire al programma F35 è nata in un contesto politico diverso, con i governi guidati da Silvio Berlusconi che guardavano più a Washington che a Bruxelles, e la speranza, condivisa anche dall’ultimo esecutivo di centrosinistra, di entrare in un progetto che ? sulla carta ? prometteva tecnologie superiori e spese ben definite. Insomma, una sorta di reset: un nuovo inizio, ripartendo dagli States con la prospettiva di avere migliore efficienza. I piani però sembrano superati dalla realtà: il prezzo di ogni esemplare del Lighting rischia di passare dagli 80 milioni di euro ipotizzati a ben 99. E la ricaduta tecnologica per l’Italia pare alquanto limitata, forse proporzionale alla picchiata del peso politico del nostro paese. Come sembra dimostrare anche l’assenza di uno solo italiano tra i 65 piloti che lo hanno già portato in volo. Gianluca Di Feo-l’espresso
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