Filosofie della salute tra arte e scienza
 











Da Ippocrate, il grande medico dell’antichità, deriva ancora tutto l’orientamento concettuale della medicina moderna. I principi del metodo ippocratico sono due. Essi consistono: nella negazione dell’intervento soprannaturale nei processi naturali; e nell’idea dell’unità dell’uomo con la natura. Il medico ippocratico non cerca la ragione della malattia in eventi estranei al mondo fenomenico. Rivolge la propria attenzione non solo al paziente, ma a tutto l’ambiente nel quale questo si trova inserito. Secondo la metodologia ippocratica, quindi, non sono più gli dèi irati che provocano la malattia. Bensì gli umori alterati o le perniciose influenze ambientali. Con Ippocrate, pertanto, nasce l’orientamento empirico e razionale della medicina; che rappresenterà molti secoli più tardi un fattore essenziale per fare dell’arte di guarire una scienza sperimentale. A lungo tuttavia la medicina sarà costituita da uno strano miscuglio di precetti razionali, di pratiche empiriche, di credenze astrologiche e di riti quasi magici.
L’avvento della medicina scientifica ha liberato l’arte del guarire da ogni residuo magico o metafisico. Ma ha reciso anche il legame con la filosofia durato secoli. Eppure oggi l’interesse per i problemi filosofici (e non solo bioetici) della medicina cresce. Perché non bastano sofisticati macchinari per giungere a una diagnosi valida. Il medico, ad esempio, deve saper interpretare i dati delle analisi. Per giungere a conclusioni coerenti. Senza incorrere in errori logici. Per spiegare la malattia di un paziente si fanno dei ragionamenti. La disciplina alla quale si ricorre per condurre ragionamenti corretti è la logica. Essa fornisce schemi di ragionamento affidabili. Le cui conclusioni possono essere certe oppure probabili.
In medicina, osserva il filosofo Antonio Moretto (Università di Verona), “dobbiamo molto spesso accontentarci di proposizioni la cui verità può essere altamente probabile, senza poter mai
dire che raggiunga il grado della certezza”. Ad esempio la proposizione “tutti i soggetti tiroidei sono bradicardici” può trovare delle eccezioni.  Per via osservativa/sperimentale non si possono ricavare proposizioni assolutamente certe.
Si sente dire spesso che, a differenza della fisica, scienza esatta, la medicina è inevitabilmente affetta dall’approssimazione. Quest’affermazione rischia di essere fuorviante. L’esattezza si può avere in alcune discipline matematiche, come l’aritmetica e la geometria. Così pure in meccanica razionale. Non è il caso della fisica sperimentale. Nella quale la possibilità di avere delle approssimazioni si introduce fin dal livello della misura. Inoltre, le metodiche che essa utilizza permettono delle conclusioni soltanto probabili. La fisica sperimentale è senza dubbio una scienza; ma non è una scienza “esatta”. La medicina parte da una base osservativa sperimentale. E da questa trae delle conclusioni: che pur non essendo certe, sono tuttavia
probabili. “Non presenta sotto questo punto di vista una significativa differenza dalla fisica sperimentale”, rimarca Moretto, nel volume da lui curato: “Temi di filosofia della medicina” (Edizioni Universitarie Cortina).
In fisica si cercano leggi di carattere generale. Com’è il caso della legge galileiana della caduta dei gravi, valida nel vuoto. Nel caso in cui la caduta avvenga in un mezzo resistente, sarà necessario fare correzioni alla legge. Per spiegare come mai un pezzo di metallo giunga a terra prima di un pezzo di carta. Qualcosa di analogo avviene anche per la medicina. In cui bisogna render conto dello stato di salute o di malattia di un soggetto ben determinato. Occorre pertanto, partendo da considerazioni generali, formulare diagnosi che rendano conto del caso particolare che si ha davanti; e in modo analogo formulare una proposta di cura.
Le argomentazioni della logica induttiva sono particolarmente importanti per le discipline mediche.  Il medico utilizza
anche schemi deduttivi. Specie nelle situazioni di urgenza. Resta però sempre un margine di incertezza. Da tener presente quando c’è da valutare l’errore medico.
Il libro comprende vari saggi. Loana Liccioli, medico e docente all’Università di Verona, interviene sul tema “Corporeità e medicina”. Per Aristotele, ricorda Liccioli, l’anima rappresenta uno strumento naturale che è forma del corpo. Quindi corpo e anima non sono due sostanze separate, ma elementi separabili di un’unica sostanza. Cartesio introduce un’impostazione nuova, con la distinzione tra res cogitans e res extensa. Nello studio della biologia per Cartesio è molto importante dimostrare la relazione esistente tra le due sostanze; piuttosto che la loro separazione. Il corpo umano, così, “rivela una notevole complessità per quello che concerne il suo significato e non può essere ridotto a un manufatto anatomico, pena la reificazione della corporeità quale espressione dell’identità personale”. Il corpo non è solo
biologia. Ha sempre un significato esistenziale complesso e articolato. Importante, secondo Liccioli, è l’accettazione dei limiti del corpo. Inoltre, “il corpo è nostro, ma non è a nostra completa disposizione, nel senso che non abbiamo il diritto di farne un uso pericoloso o dannoso”.
A sua volta, Sebastiano Castellano, medico e direttore sanitario all’Ospedale di Mondovì, approfondisce la nozione di contagio e la genesi dell’innovazione scientifica. Castellano ripercorre la vicenda problematica del medico ungherese Ignaz Semmelweis, che a metà Ottocento scoprì la natura della febbre puerperale. E lottò inutilmente per l’adozione di misure preventive. L’ipotesi che esistano esseri viventi tanto piccoli da non essere visibili è antica, anche se non ha mai goduto di molto credito nel pensiero medico. La teoria microbica introduce un modo di pensare le dinamiche salute-malattia e prevenzione-cura assai promettente. Del tutto in contrasto con i modelli precedenti. La scienza, conclude
Castellano in accordo con Karl Popper e Thomas Kuhn, “è il regno delle certezze provvisorie e la comunità scientifica vive in una condizione di rivoluzione permanente in cui la più produttiva disposizione è l’esercizio del dubbio e la ricerca di soluzioni migliori”.
Nella pratica medica si tende a dimenticare il ruolo del linguaggio. Non di rado il medico parla in maniera incomprensibile al paziente.  Linda Perfranceschi, dell’Università di Verona, illustra il progetto di integrazione del linguaggio scientifico-matematico con altre competenze. È un progetto portato avanti da Stephen Loftus e Joy Higgs, ricercatori della Charles Sturt University (Australia). La professionalità del curante implica un atteggiamento etico, di ascolto rispettoso e attento nell’accogliere i racconti della persona assistita. L’operatore sanitario deve essere formato anche sull’uso, non solo tecnico-scientifico, delle proprie competenze linguistiche. Con Wittgenstein egli deve abituarsi a entrare e
uscire da giochi linguistici nuovi e sempre differenti.
Sulle questioni del metodo verte anche il contributo di Rita Riolfi, docente all’Università di Verona. Assistiamo alla “spersonalizzazione del rapporto tra pazienti, divenuti clienti, e medici-manager occupati nella gestione delle risorse e nella promozione di sistemi di qualità aziendale”. Ciò impone l’urgenza di riflettere sui modi e sui metodi dell’attività clinica. Per evitare che l’imporsi di tecniche manageriali faccia dimenticare “le dimensioni della sofferenza che richiedono una visione diversa della cura e dell’impiego delle risorse”.
I medici confondono di frequente la verità della conclusione con la validità del ragionamento: tuttavia esse sono in realtà due cose assai diverse fra loro. Un ragionamento può essere corretto e giungere a una conclusione falsa. All’opposto un’altra argomentazione può essere scorretta e giungere a una conclusione vera. Il progresso della scienza e della tecnica non ha reso superfluo il
ragionamento diagnostico. Poiché le sole immagini e gli esami di laboratorio difficilmente consentono la diagnosi. Recentemente è stato pure rivalutato il ruolo della componente emotiva nei processi decisionali. Sono in molti perciò a ritenere che “l’arte medica del giudizio clinico e della cura della persona si fonda anche sull’intuito, l’esperienza e le percezioni olistiche”.Pasquale Rotunno