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Monti, la Chiesa frena l’entusiasmo |
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"Sinceramente credo ci vorrebbe e ci sarebbe voluta più discrezione da parte delle autorità ecclesiastiche, vaticane e non, nel fare interventi che possono essere letti come sostegno aperto per qualcuno". Parola di monsignor Luigi Negri, ciellino Vescovo emerito di San Marino e ora di Ferrara (con interessanti possibilità di passare a Bologna diventando cardinale) che così si esprimeva sul governo di Mario Monti e l’entusiastico endorsement della Gerarchia il 29 dicembre scorso sulle pagine di Papalepapale.com. E aggiungeva: "Non credo che il Papa si voglia esprimere nel senso di appoggiare un determinato partito o candidato. Quelli che sono a mediare tra lui e il resto della Chiesa e della società dovrebbero vivere con molta più prudenza questa responsabilità". ORA INIZIANO I DUBBI- Insomma, il forte endorsement dato dalla Chiesa a Monti ed alla sua lista non ha convinto tutti. E anzi adesso le voci critiche iniziano a farsi sentire. Prima solo un venticello, ora con una certa costanza. No, Monti ha preso a turbare le sicurezze di vescovi e monsignori che prima avevano visto in lui il possibile cavallo vincente. Per tre motivi, dicono ad Affaritaliani da Circonvallazione Aurelia (la sede della CEI): il primo è che il Professore ha scelto di "salire" in politica, esponendosi a una lotta che lo ha reso parte e non quel soggetto super partes che, in caso di crisi di un eventuale nuovo governo Bersani, avrebbe potuto prendere in mano le redini del Paese; il secondo è dato dalla linea politica espressa nell’Agenda Monti. Che sì, avrà anche i matrimoni omosessuali come problema secondario, ma comunque non sembra più offrire quelle garanzie di cattolicità DOC che avrebbe potuto dare prima. DI NUOVO FRAMMENTATI- Il terzo motivo è rappresentato da un fatto nuovo. Un fatto inatteso, successo la settimana scorsa: il Partito Democratico, con un colpo di scena, ha arruolato tra le sue file quattro cattolici DOC, due dei quali di montiana simpatia, proprio per erodere consenso al Professore. Un colpo politico niente male, visto che i quattro nomi non sono affatto di secondo piano. Eccoli: sono Emma Fattorini, Edo Patriarca, Ernesto Preziosi e Flavia Nardelli Piccoli. Il tutto mentre Todi3, che avrebbe dovuto segnare un ulteriore passo del movimento cattolico, è saltata. Con uno sfogo di Natale Forlani, ex portavoce del Forum, che dalle colonne del Corriere ha tuonato: "Resta il fatto che pochi giorni dopo Todi 2, qualcuno ha deciso di trasformare questa idea e questo progetto in un impegno diretto di tipo partitico e di allearsi per questo con Italia Futura e Montezemolo. Scelta del tutto legittima in sé, per carità, ma che è stata fatta senza che gli esponenti più importanti delle associazioni ne sapessero nulla". Un colpo di mano? "Beh sì, un colpo di mano. Contro di me dissero che mi ero dimesso perché volevo fare da spalla al Pdl..., anzi perché ero uno del Pdl, un uomo del centrodestra". SANT’EGIDIO AVANTI TUTTA- Chi è quel qualcuno? È Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, insieme ad Andrea Olivero delle ACLI. Sant’Egidio, l’"Onu di Trastevere" come l’hanno chiamata, in questo periodo si è data molto da fare in politica. E quest’attivismo avrebbe quantomeno lasciate perplesse le altre realtà che avevano partecipato a Todi. A proposito: Sant’Egidio ha piazzato un discreto numero di simpatizzanti come candidati, circa una decina, nelle liste per Camera e Senato con cui Monti ha deciso di correre. Monti che peraltro, ieri sera, ha chiarito su Sky che "I parlamenti possono trovare ’strumenti’ per altre forme di convivenze", ma ha detto chiaramente no a un matrimonio tra omosessuali. Poco importa: è un’apertura al Partito Democratico, che con Pierluigi Bersani parla di "unioni alla tedesca" (ossia con tutti i diritti degli sposati, eccetto regime fiscale e possibilità di adozione dei bambini), benedette da Rosi Bindi. Attenzione: Monti ha tenuto a ricordare che nel suo movimento "ci sono forme pluraliste". FISICHELLA NON CI STA- E le dichiarazioni di alcuni prelati sono sintomo del fatto che l’endorsement a Monti forse è stata una scelta troppo affrettata. Ecco monsignor Rino Fisichella, che alla Stampa all’inizio di gennaio così dichiara: "La presenza trasversale dei politici cattolici in tutti i partiti è un dato ormai acquisito. La Chiesa ha a cuore i principi non negoziabili e chiede ai credenti di impegnarsi a loro difesa nella vita pubblica, a prescindere dallo schieramento nel quale si trovino ad operare". Un richiamo e un ritorno alla linea voluta negli anni ’90 da Camillo Ruini e ampiamente appoggiata da monsignor Mariano Crociata, segretario CEI e numero 2 del cardinale Angelo Bagnasco. Fisichella ricorda i valori non negoziabili, espressi in una nota dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2002: "Aborto ed eutanasia non possono essere considerati dei diritti perchè contravvengono ai principi fondamentali della legge naturale. E la famiglia va giuridicamente difesa dalla mera equiparazione ad altre forme di vita comune. E’ su questo campo che si misura il grado di coerenza di un politico cattolico, non sulle dichiarazioni a priori". MOGAVERO NON CI STA- E una bordata Monti se l’è presa anche da monsignor Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo e membro della Commissione CEI per le migrazioni (nonché presidente del Consiglio per gli affari giuridici dei vescovi italiani), che a Repubblica negli stessi giorni è andato giù pesante: "Mi chiedo perché dovrei pubblicamente appoggiare un Monti, un Casini o un Bersani? Certe benedizioni la Chiesa non le deve assolutamente dare. Specialmente oggi che tutte le ideologie sono cadute, anche se solo Berlusconi adombra pericoli imminenti legati all’avvento del comunismo. Ormai nessuno più lo sta a sentire". Poi, pur apprezzando gli sforzi della Lista Monti, ha aggiunto: "È un fatto ormai acquisito che i cattolici si trovano in varie formazioni politiche. Ormai è storicamente assodato che l’ unità politica dei cattolici non c’ è più. E qualsiasi tentativo di resuscitarla è destinato a fallire perché la Chiesa non deve essere mai ingabbiata". E infine si è mostrato critico sull’Agenda Monti, definita: "Un quadro generale. Del resto, poi, non vi ho visto una grandissima attenzione ai più poveri, agli ultimi. È vero che il premier Monti era stato chiamato in fretta e furia per far fronte, con un governo tecnico, ad una situazione tragica. E per evitare il tracollo ha imposto agli italiani una cura da cavallo, tagliando le gambe ai ceti più deboli. Non vorrei che per tentare di salvare l’ insieme, i più deboli vengano dimenticati". Cambiali in bianco della Chiesa a Monti? Molto probabilmente no. Forse un certo entusiasmo per il Professore poteva essere evitato. Antonino D’Anna MARIO MONTI E IL SUO VECCHIUME LIBERISTA “Liberare l’Italia, riformare l’Europa, Un’agenda per un impegno comune. Primo contributo a una riflessione comune”: è’ questo il titolo dato da Mario Monti al suo programma, manifesto anzi elettorale, annunciando la sua inaspettata candidatura. Liberare l’Italia? Ma da chi? Forse dal diktat della famigerata triade F,M.I.- B.C.E.-U.E. o dalla tirannia pangermanica, che hanno reso un Paese una volta opulento preda oggi della miseria e il suo popolo ridotto alla fame? Ma quel “liberare”, sulla bocca d’un bocconiano (ci si perdoni il bisticcio) non sta per “render libero, togliendo da impedimenti, sciogliendo da vincoli e simili”, sta per “liberalizzare”, ossia per “conformare, adeguare ai principi del liberismo”. Il liberismo altro non è che una teoria fondata sul postulato che il libero gioco delle forze economiche sia sufficiente a regolare nel modo migliore tanto i fatti della produzione che quelli della distribuzione delle ricchezze. Il postulato trae origine dalla teoria dei fisiocratici e trova la sua sintesi nella nota formula “Laissez faire, laissez passer”, che ha ispirato poi tutta l’azione della cosiddetta scuola di Manchester. Sul terreno concreto il liberismo si risolve nel sostenere l’agnosticismo dello Stato di fronte al fatto economico. In pratica mai alcuno ha sostenuto l’applicazione integrale del lasciar fare, lasciar passare. Le discussioni e le applicazioni si sono sempre svolte in una predicazione del libero commercio internazionale. Un altro campo in cui la teoria è stata usata è stato quello della legislazione del lavoro, dove gli industriali hanno tentato di opporsi all’applicazione dei provvedimenti igienici e sociali a favore dei lavoratori, mascherando i loro interessi dietro la teoria suaccennata, cosa che ha contribuito non poco al discredito della teoria stessa, tanto più che di frequente industriali e agricoltori, che si professavano liberisti nel campo della tutela del lavoro, si mostravano poi protezionisti, cioè avversi alla libertà, nei riguardi del commercio internazionale. Il liberismo prese piede ed ebbe periodi di successo nella prima metà del sec. XIX, affermandosi particolarmente come reazione al sistema vincolistico e di controllo che fino ad allora aveva dominato tutta la vita economica. Si deve riconoscere che tale periodo coincise con un’epoca di prosperità senza precedenti, ma è certo che lo spirito di libertà, che aveva pervaso i rapporti tra gli uomini, non tanto nel campo economico, ma soprattutto in quello politico fu, se non l’esclusivo, sicuramente uno dei maggiori fattori del benessere, pur se più morale che materiale, che caratterizzò tale epoca. Due fatti sono da rilevare: •che il liberalismo integrale, quale oggi lo si ripropone, mai ebbe applicazione; •che pertanto esso rimase un siatema utopistico, come lo sono stati sociale. Anche nel campo astratto il lassismo liberista, che il Monti ripropone si presta a critiche di carattere fondamentale. Basta accennare a questo fatto: che, se è possibile isolare il fenomeno economico, per esempio per ragioni di indagini e di studio, esso è anche un fenomeno politico e sociale. In secondo luogo il quadro delle suggestive armonie economiche prospettateci da Mario Monti non tiene conto della inerzia che si accompagna a tutti i fenomeni economici, politici e sociali, per cui le relazioni mai possono essere istantanee o complete, il che introduce nel sistema un grave fattore di turbamento e di crisi politica e sociale. In tempi a noi vicini il concetto di liberismo è andato perdendo quota, specialmente per il riconoscimento della necessità dell’intervento dello Stato in numerosi fatti anche di carattere prevalentemente economico. Solo si è chiesto che l’intervento dello Stato avvenisse in forma tale da non incidere sulla libertà dell’individuo di usare, come meglio crede, dei fattori economici che sono a sua disposizione. Solo in questo senso il concetto di libertà economica è in antitesi con quello di pianificazione, che caratterizza la politica opposta. Si deve rilevare, a questo proposito che in un mondo di relativa libertà economica molti problemi, anche politici, di carattere nazionale, continentale e internazionale, possono trovare una soluzione più facile che tanto in un regime di assoluta libertà economica quanto in uno di vincolismo, sia pure entrambi razionalmente organizzati. In entrambi si formano essenzialmente gruppi di privilegiati, ciò che fa sorgere la necessità di interventi statali per neutralizzare i privilegi e impedire che si trasformino, come è già avvenuto e ancora e più oggi avviene, in ingiustizie. Nel campo internazionale, poi, non si oppongono più individui o gruppi di individui a individui o gruppi, ma Stati o gruppi di Stati a singoli Stati o gruppi, il che rende molto difficili gli accordi, più facile l’acuirsi dei contrasti, che possono degenerare facilmente in questioni di prestigio o di influenza politica o portare di conseguenza a conflitti e a sempre nuove guerre, pur quando dissimulate da “missioni di pace”. Le libertà, come tradizionalmente intese, non devono ritenersi, come ritengono i neo-liberisti, l’alfa e l’omega della libertà. Questa perpetuamente si rinnova, come la vita: problemi antichi si affievoliscono e problemi nuovi sorgono. Aspirazioni fino a ieri lasciate in ombra si fanno valere con accento imperativo; alle libertà politiche ed economiche si riannodano le libertà sociali. Si parla di liberare l’umanità dalle insidie ricorrenti del bisogno, delle crisi e della guerra, flagelli della nostra società. Queste libertà dalla schiavitù del bisogno e dal timore delle crisi e della guerra, insieme con le sempre insidiate libertà di parola e di religione sono le quattro libertà fondamentali formulate da Franklin Delano Roosevelt nel suo celebre messaggio del 6 gennaio 1941 al Congresso degli USA. Ma sono esse efficacemente perseguite da coloro, cui spetta più direttamente il grave compito e la responsabilità immane di mantenere l’ordine sociale e quello internazionale o ad assumere tali compito e responsabilità aspirano? Comunque sia, spetta a ciascuno di noi il dovere di lottare per la libertà e quindi per quelle libertà particolari che le nostre esigenze morali, politiche, economiche e sociali reclamano. Come per il passato, così per l’avvenire la fede morale della libertà ci assisterà, ci conforterà, susciterà le energie languenti. Moltiplicherà i nostri sforzi. Essa sola può elevare ed educare gli uomini, farne dei cittadini consapevoli di una libera Patria, degli esseri devoti alla causa di una più umana umanità, della giustizia sociale. A interpretare questa nostra volontà non possono essere i propugnatori di un disumano neo-liberismo, né cavalieri d’industria né tecnocrati. Il verdetto delle urne sarà per essi impietoso. PRAETOR URBANUS |
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