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-Kosovo, il presidente Napolitano sbaglia- |
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di Tommaso Di Francesco
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«È davvero uno stallo, anche per l’Italia e purtroppo il presidente Napolitano sbaglia». Parla il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo sulle «ombre» del ruolo italiano per l’inestricabile nodo balcanico nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, dopo le «luci» della moratoria sulla pena di morte. Il ministro degli esteri D’Alema, presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ha relazionato sul cosiddetto fallimento del negoziato per lo status, e allo stesso tempo ha tentato di inserire nel quadro della legalità delle Nazioni unite, la missione che si chiama «civile e di polizia» decisa dall’Unione europea. Ma è tornato a mani vuote: non c’è stato compromesso, ha detto. Perchè? Innanzitutto perché la missione europea non è vista bene soprattutto dai kosovari albanesi i quali hanno una lobby fortissima negli Stati uniti, anche sul riconoscimento di un eventuale dichiarazione unilaterale d’indipendenza. La promessa dell’indipendenza fatta da Bush a marzo era chiara. E quindi si sentono forti. I kosovari albanesi vogliono gli americani, non vogliono gli europei. D’altra parte, una nuova missione europea che riguardi una parte della ricostruzione e una parte delle questioni giuridiche e di polizia, è una missione minimalista che non affronta i grandi problemi ed è senza appoggi internazionali molto forti. E poi c’è il no della Russia che minaccia il veto. Ma ora si mostra anche disposta ad aprire alla «missione Ue» solo se rispetta la 1244, cioè il riconoscimento della sovranità della Serbia sul Kosovo... Giuridicamente la missione Ue potrebbe essere proponibile, nel senso che se una organizzazione internazionale, ancorché regionale, si offre volontaria può farlo ma con l’accordo delle parti, serba e albanese in questo caso - ovviamente l’accordo per ora non c’è. Ma potrebbe farla soprattutto con l’accordo internazionale, per un mandato di almeno una parte non indifferente dell’Onu. E anche questo non è il caso, per ora. D’altra parte bisogna riconoscere che la 1244 - con cui l’Onu assumeva la pace di Kumanovo dopo i raid della Nato sull’ex Jugoslavia - metteva veramente un vincolo secco che era quello del riconoscimento della sovranità della Serbia sul Kosovo. Questo non è stato mai messo in discussione, anzi la 1244 rimandava ad un accordo tra le parti, non ad una imposizione dall’alto sullo status finale. C’è stata polemica tra il presidente della Commissione esteri della Camera Umberto Ranieri e il ministro degli esteri britannico Miliband che sosteneva che la 1244 garantisce l’indipendenza... Ha fatto bene Ranieri, perché non è vero, è falso, anzi in un certo senso è vero il contrario. Dirò di più: i serbi si sono veramente molto arrabbiati, anche per un fatto fondamentale che un articolo nell’appendice della Risoluzione Onu 1244 stabilisce che ci possa essere l’intervento di forze di polizia o comunque forze di sicurezza serbe in Kosovo soprattutto per dare sicurezza ai siti patrimoniali e religiosi. Non è mai successo. Ma non crede che l’ambiguità vera sia rappresentata dalla motivazione con cui si vuole avviare la missione Ue, quella di preparare e gestire l’indipendenza? E’ una pregiudiziale che non fa onore al tentativo, nel senso che qualsiasi traccheggiamento verso l’indipendenza è visto male dai serbi i quali non l’approveranno mai perché è una perdita di sovranità. Per il Kosovo una soluzione immediata non c’è, non bisogna dunque avere fretta. Le commissioni esteri e difesa della Camera sono andate in Kosovo, anche a Decani. Lì padre Sava ha detto di sentirsi in un «limbo»... Anch’io penso al Kosovo come ad un limbo. Ma non credo che a padre Sava o al vescovo Artemje di Gracanica, dove vive la seconda grande enclave serba, siano contenti del limbo. Non ne possono più, però si rendono conto da realisti quali sono che la soluzione che gran parte della comunità internazionale vuole è soltanto quella dell’indipendenza. Per adesso. C’è dunque una situazione di stallo per la diplomazia italiana. Con un Parlamento che dice cose diverse dal governo e, in aula, impegna all’unanimità il governo a non riconoscere proclamazioni d’indipendenza unilaterali... Se uno stato vuole rimanere stato e quindi vuole rimanere ente che fa parte del consesso internazionale vigente, con tutto quello che è sancito dalla Carta delle Nazioni unite, questo stato deve essere sovrano e quindi la sovranità gli deve essere riconosciuta. La Comunità internazionale, della quale l’Italia fa parte, non può pertanto riconoscere quello che sta per accadere in Kosovo, vale a dire una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Altrimenti si smantellerebbe il sistema degli stati. C’è stato in questi giorni un allarme dei Servizi europei e dell’intelligence italiana su una precipitazione nei Balcani. Non vedo la lotta armata immediata e deflagrante. Quello che vedo è invece una lotta armata strisciante, nel senso che ci saranno di sicuro delle forze estremiste che vorranno premere sui pochi serbi rimasti in Kosovo e quindi ci saranno ancora espulsioni, possibilità di larvate od occulte pulizie etniche, così come da parte serba soprattutto nazionalista ci saranno anche dei tentativi di instaurare organizzazioni clandestine in Kosovo. La situazione è difficilissima da gestire e non vorrei essere nei panni dell’Ue che va lì con un mandato di supervisione senza poteri effettivi. Napolitano ieri si è rivolto ai militari di Pristina dicendosi sicuro del loro buon lavoro «affinché il problema dello status del Kosovo si realizzi nelle condizioni previste, dal punto di vista della pace e della collaborazione tra le diverse etnie, come d’altronde indica il piano dell’Onu»... Sono un po’ perplesso. Sono sette anni che andiamo avanti con queste parole ma i fatti non dicono così. I kosovari albanesi non vogliono assolutamente uno stato multietnico, a parole lo dicono sempre, di fatto non lo vogliono. Così come dall’altra parte anche i serbi non riconoscono molti diritti agli albanesi rimasti nella parte a nord dell’Ibar di Mitrovica. Quindi il Kosovo multietnico è una speranza, è veramente qualche cosa nella quale potremmo sperare perchè tutti dobbiamo essere multietnici, tutti gli stati dovrebbero esserlo. Il fatto fondamentale è che però i soldati in questo hanno poche possibilità. Perché il piano dell’Onu non c’è. Il fatto che le Nazioni unite non abbiamo mai tentato seriamente di costituire un Kosovo multientico è nella realtà. I rientri dei profughi serbi sono falliti. Anzi sono stati boicottati. Quando io parlavo di fare rientrare due comunità piccolissime vicino a Pec, ho trovato veramente ostacoli solo nell’amministrazione Unmik-Onu. Non volevano rischiare. O non c’erano soldi, andavano solo a chi volevano loro. Il Kosovo multietnico nel piano dell’Onu non c’è mai stato.de Il Manifesto |
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