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Richard Wagner, una vita per l’arte |
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Rosario Ruggiero
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L’osservazione comparata di non pochi tra i massimi capolavori dell’arte di tutti i tempi permette di evidenziare tre elementi fortemente determinanti e caratterizzanti: l’elevata capacità tecnica dell’artefice; la grandiosità del progetto; l’alto senso etico che motiva l’opera. Che infatti la Divina Commedia venga fuori dalla penna di un principe della lingua e della versificazione è osservazione abbastanza pacifica, come lo è la generosa ampiezza progettuale del componimento. Circa poi il senso etico di una creazione che è in tanta sua parte giudizio morale di comportamenti, nella storia e nella mitologia, è superfluo persino accennare. Così come la presenza dei tre succitati elementi negli affreschi della Cappella Sistina è addirittura lapalissiana. Anche una pagina musicale come la quinta sinfonia di Beethoven non può non tradire le massime capacità tecniche di un compositore tra l’altro affetto da sordità, la grandiosità del progetto di un’opera che, utilizzando gli elementi precipui della sua forma, appunto la sinfonia (divisione in quattro parti, di cui la prima dialettica, la seconda lirica, la terza di suggestioni cinetiche, come un minuetto o una marcia, ed un’ultima di brillante efficacia conclusiva), finisce col rappresentare attraverso le emozioni generate dai suoni la condizione drammatica, terrena, sofferta, ferina dell’umanità, un rasserenamento dell’animo poi raggiunto o vagheggiato, un orgoglioso slancio di riscatto ed una apoteosi di gloria, in tal modo simboleggiando anche, complessivamente, il meraviglioso valore catartico e nobilitante dell’arte. Né tante grandiose costruzioni dell’antichità sono meno felice prova della coesistenza in esse di alte capacità tecniche, magnificenza del progetto e senso etico. Da tutto ciò viene anche fuori che, specialmente nell’arte, il genio non è solo intelligenza, ma una armoniosa moltitudine di virtù umane che vanno dalla tenacia alla volontà, all’umiltà nei confronti dei risultati già raggiunti per volerne perseguire di maggiori, alla solida fede nelle proprie idee, all’abnegazione, al desiderio di dono all’umanità e tanto altro ancora. Al tempo stesso, difficilmente si potrà negare che il genio, volente o nolente, finisca con l’essere nutrito dalle circostanze che lo caratterizzano, ogni uomo essendo anche figlio del suo tempo, ed essendo stato certo più possibile e stimolante esprimersi ad esempio come architetto nell’Italia rinascimentale che nascendo, vivendo ed operando esclusivamente nel cuore dell’Africa equatoriale o tra gli esquimesi. Tutta questa ampia premessa è utile strumento per la lettura della vita e dell’opera di una tra le personalità più significative della musica di tutti i tempi, Richard Wagner, musicista e letterato, nato a Lipsia due secoli fa, il 22 maggio 1813, morto settantenne a Venezia, il 13 febbraio 1883. Cresciuto in una famiglia dove regnava la passione per il teatro, fu avvicinato all’arte del palcoscenico sin da bambino. Svolse studi letterari, di inglese e di greco, per amore di Shakespeare e della classicità ellenica, e musicali dall’età di dodici anni. Si interessò anche di filosofia attraverso il pensiero di Feuerbach, Schopenhauer e Nietzsche. Tutte queste sue conoscenze furono rivolte alla nascita di una nuova maniera di intendere il teatro musicale, dove la temperie romantica indirizzò la sua attenzione sulla mitologia germanica, la musica si svincolava da mere pretese edonistiche o di fatuo spettacolare virtuosismo per diventare fortemente funzionale alla rappresentazione scenica, il testo rappresentato fondeva momenti di alta poesia a grandi e significativi intenti morali. Nascono “Le nozze”, “Le fate”, “Il divieto d’amare”, “Rienzi, l’ultimo dei tribuni”, ma soprattutto “L’olandese volante”, “Tannhäuser”, “Lohengrin”, “L’anello del Nibelungo” nelle sue quattro parti “L’oro del Reno”, “La Valchiria”, “Sigfrido” e “Il crepuscolo degli dei”, “Tristano e Isotta”, “I maestri cantori di Norimberga”, “Parsifal” e vengono adottati i procedimenti tecnici del leitmotiv, ossia del frammento musicale associato ad un personaggio o ad una situazione sì da evidenziarla, della melodia infinita, ossia di un fluire incessante del discorso melodico che elude formule conchiuse e ripetitive, arditezze armoniche e la utilizzazione del golfo mistico, ossia dello spazio dove nascondere allo spettatore la visione dell’orchestra per non disturbare l’attenzione rivolta alla rappresentazione scenica. Un immenso sforzo creativo che vedeva l’artista autore delle musiche e dei testi, persino inventore di uno strumento musicale, la tuba wagneriana, fino all’esigenza e la creazione a Bayreuth di un teatro espressamente concepito per quelle rappresentazioni, tentando di barcamenarsi, nel contempo, in una quotidianità umiliante fatta di grandi difficoltà economiche, fughe dai creditori, prigione, trasferimenti da città in città, da Paese in Paese, operando anche come direttore d’orchestra, saggista e critico musicale. Una vita sofferta ma appassionata, votata all’arte intesa nella sua accezione più nobile, a dispetto di tutto e di tutti, un esemplare capolavoro di dedizione e felicità di esiti, in fondo non minore della sua stessa produzione. |
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