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Mentre i pupazzi incravattati e i loro galoppini elettorali continuano a macinare chilometri e promesse in vista della carnevalata elettorale di fine febbraio, la miseria azzanna migliaia di famiglie campane, sbranandone il futuro, morso dopo morso. Il dossier regionale sulle povertà della Caritas, presentato presso la Curia di Napoli, attesta con numeri che sembrano chiodi il disastro sociale in atto. Un dato balza subito agli occhi e squarcia l’aria come un urlo improvviso carico di dolore: gli “avventori” dei centri diocesani di ascolto sono passati dai 4712 del 2008 agli 8504 dell’ultimo rapporto. Si sbriciola anche un’altra consueta “equazione”: per la prima volta, infatti, sono più gli italiani che gli stranieri: 56,5% rispetto al 43,2%. Una svolta epocale, se si considera che appena tre anni fa gli autoctoni erano al 38,2%. Terrificante, non può essere definito altrimenti, il salto percentuale registrato nell’ultimo anno: ben dieci punti. La presenza di immigrati è cresciuta, anche se in misura più contenuta: dai 2901 nel 2007 ai 3677 del 2011. Numeri che nascondono persone, cifre che lastricano l’inferno quotidiano di tanti. Paura e impotenza spadroneggiano incontrastate. L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, ha esortato le istituzioni a non chiudere gli occhi, prendendo di mira l’inconsistenza delle politiche sociali. “È dovere di chi rappresenta la comunità, rincara la dose Sepe, non utilizzare soldi pubblici per mangiare caviale o per spenderli immoralmente, ma di pensare al bene comune, andando oltre la sua persona e il suo partito”. Non per fare i guastafeste, ma il cardinale originario dell’agro aversano farebbe bene ad indirizzare un richiamo anche ai suoi colleghi, schierati pubblicamente con Mario Monti e la sua squadra di untori della miseria. Nelle strutture della Caritas, gli utenti che vivono nel proprio nucleo, sono balzati dal 65,6% al 71,5% in un anno; i coniugati dal 45,7% al 50,7%. E si ingrossano le fila dei nuovi poveri, inglobando anche chi ha una dimora. L’identikit della miseria, coincide sempre di più con il ritratto di nuclei monoreddito con almeno due figli a carico. Nei centri, si registra anche una forte presenza di donne: 61,7%. Le classi d’età più a rischio sono quelle che un tempo erano più in salute: gli utenti dai 35 ai 44 anni sono il 28,1%, tra i 45 e i 54 il 26,4%. Cause della povertà incalzante sono, neanche a dirlo, le problematiche economiche (60,3% per gli italiani, 44,3% per i migranti) e l’occupazione (38,6% e 35,8%). Agli addetti viene chiesto ormai di tutto, a volte con rabbia, altre con il tono di una lacerante preghiera: lavoro, beni e servizi materiali ma anche sussidi economici. Gli italiani privilegiano i sussidi (35,3%), i migranti il lavoro (41,2%). Anime dannate in un lembo di terra al collasso, come dimostrano anche la variazione negativa del Pil (-0,6)%) e i ben 12mila posti di lavoro andati in fumo tra il 2011 e il 2012. Ma guai a dirlo ai mestieranti delle urne: hanno ben altro a cui pensare. Ernesto Ferrante
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