L’Americano
 











Sorpresi? L’ambasciatore americano in Italia, David Thorne, ha espresso, senza mezzi termini, il gradimento, anzi, qualcosa di più, dell’Amministrazione Usa per una maggioranza forte ("strong"), per un prossimo governo italiano capace di dare continuità al programma di "riforme" varato da Mario Monti. Un programma che ha avuto il solo difetto di essere durato troppo poco.
L’endorsement per una futura coalizione di governo Bersani-Monti non poteva essere più esplicito. Ed autorevole, poiché non si tratta di un’intemerata del diplomatico il quale, prima di parlare, ha avuto modo di consultarsi col Dipartimento di Stato del suo paese.
Thorne si è espresso in questi termini inequivoci a New York, davanti ad una platea di operatori che - come spiega oggi Federico Rampini su Repubblica - vengono dal mondo del business (uomini dell’industria e della finanza, gestori di fondi di investimento, etc.). Gente che bada al sodo, insomma.
Fra qualche
giorno, Obama incontrerà alla Casa Bianca un ospite d’eccezione, il nostro Presidente, quel Giorgio Napolitano che Il Presidente degli Stati uniti non ha esitato a gratificare come "uno stretto alleato ed amico dell’America". Un posto d’onore e una "credibilità" che il Presidente della Repubblica si è guadagnato sul campo e che vanta da gran tempo, per l’antica e consolidata frequentazione con ambienti politici e culturali statunitensi, intrattenuta nei decenni, quale che fosse l’amministrazione a capo degli States.
Fu Napolitano, nella primavera del 1989, ad accompagnare - in qualità di responsabile della sezione esteri del Pci - Achille Occhetto in un celebre viaggio negli Usa per informarne l’establishment dei grandi mutamenti che di lì a qualche mese egli avrebbe impresso al suo partito con la svolta della Bolognina, innescando il processo che avrebbe portato allo scioglimento del Partito comunista italiano.
Ed è ancora Napolitano, questa volta in proprio,  a svolgere
oggi il ruolo di mallevadore e garante di un’altra svolta epocale, quella che prepara e inaugura l’alleanza organica fra Democratici e Liberali italiani, per un governo del tutto immune dalle più pallide ascendenze socialiste.
L’attivismo di Napolitano è stato in queste settimane a dir poco frenetico.
Prima il lungo, meditato intervento pronunciato all’Istituto per gli studi internazionali di Milano. Poi quello affidato all’Osservatore romano. Dove, in un crescendo rossiniano, il Presidente della Repubblica ha rovesciato calce viva su tutta la storia comunista, non lasciandone in vita un solo filo d’erba. Non soltanto quella del "socialismo reale", liquidata in blocco con espressioni da Libro nero del comunismo, ma dell’intera tradizione del movimento operaio (ivi compresa quella del partito di cui egli fu per quarant’anni uno dei massimi dirigenti) accomunata in un giudizio liquidatorio e consegnata al "museo degli orrori".
Orbene, la cifra del rapporto che gli Stati Uniti
intendono stabilire col futuro governo di Centrosinistra è limpidamente emersa nel summit di ieri, ospitato al Peterson Hall del Council of Foreign Relations. Lì è spuntata un’agenda (ohinoi, un’altra!), quella che gli investitori americani vorrebbero realizzata in italia per risolversi a fare shopping nel nostro disastrato paese.
Insomma, Napolitano come De Gasperi e il Partito democratico come la Democrazia cristiana nel ’48: argine alla sinistra e protettorato americano in cambio, forse, di qualche investimento. Non un nuovo Piano Marshall, beninteso. I tempi (e le risorse) non sono più quelli. Ma tanto basta. E poi oggi certe cose si possono fare gratis. Dino Greco