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La7 e par condicio, paradossi italiani |
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In tv non ci vogliono andare (o fanno tira e molla), ma sullle tv se le suonano di santa ragione: paradossi italiani. E’ rovente la polemica dopo l’annuncio di Telecom di voler vendere La7 a Cairo (considerato vicino a Berlusconi) rifiutando l’offerta del Fondo Clessidra (Diego Della Valle). Così la questione televisiva irrompe nella campagna elettorale e si torna a parlare di conflitti d’interessi (chi se ne ricorda?), cordate di potere e assetti politico-editoriali senza che però venga seriamente affrontata la questione di fondo: la qualità dell’informazione in Italia. L’operazione Telecom è guardata con sospetto da Bersani: perché proprio adesso? Che fretta c’era? «Siccome siamo in una settimana cruciale - dice il candidato premier del Pd - tendo a ragionare come se fossi già al governo. Devo prima preoccuparmi che le decisioni avvenagno in assenza di conflitto di interessi. E senza costituire posizioni dominanti». Già, perché Cairo ha iniziato la sua carriera nella comunicazione proprio con il Cavaliere, dal quale si è "separato" nel 1995. E lo stesso Berlusconi non ha remore a dire: «Con l’avvento di Cairo ho una speranza, può darsi che La7 diventi meno di sinistra». Figurarsi se Bersani, in procinto di diventare presidente del consiglio, può accettare una cosa del genere: con il Cavaliere che ancora non molla la presa sulla Rai, una La7 berlusconizzata affiancata dalle corazzate Mediaset sarebbe una jattura. Berlusconi replica a stretto giro: «Bersani ha lanciato un avvertimento mafioso dicendo: aspettate e vedete, perché se sarò io al governo interverremo a fare non so che a Mediaset e la La7 varrà di più». La verità (secondo il Cavaliere) è che in questo momento, causa crisi della pubblicità, non si fanno affari con le televisioni (quindi Cairo è un buon samaritano?) e che lui non sa assolutamente nulla della trattativa con Telecom. E’ la sinistra che come al solito agita lo spauracchio del conflitto d’interessi. Controreplica: «A Berlusconi le regole fanno venire l’orticaria. E’ curioso perché tutte le volte che uno parla di regole Berlusconi si offende, ma io non ho nominato né lui né La7». Bersani, però, sa bene che non ce n’era alcun bisogno. Così come sa che uno dei terreni di scontro post elettorale sarà proprio quello televisivo. Basta vedere cosa si agita in casa Rai. Luigi Gubitosi, l’attuale direttore generale nominato da Monti, è preso di mira da Berlusconi e tenuto d’occhio dal leader Pd. Il primo non ha apprezzato affatto che il dg dell’azienda pubblica (diventato, nell’ottica berlusconiana, il portavoce di Monti) non abbia accondisceso alla sua richiesta di fare un confronto tv elettorale solo con Bersani (mentre è ancora fumante la rabbia per la decisione di non spostare il festival di Sanremo) e ora tutti i suoi sforzi sono concentrati a far saltare il banco delle prossime nomine (sono in ballo ben 12 vicedirettori di rete). Il secondo, proprio per questo (cioè per il fatto che il Cavaliere non vuole mollare l’osso della tv pubblica) manda a dire a Gubitosi che non può permettersi di fare sgarbi al Pd (dunque non si sogni di organizzare confronti elettorali senza tutti e sei i candidati); il quale Pd ha appoggiato la sua nomina solo perché proposta da un governo che era tecnico e ora non lo è più. Come si vede, la vicenda La7 non fa che attizzare il fuoco che cova sotto la cenere dell’informazione. E già qualcuno pensa che sia solo manfrina gattopardesca e che, tempo qualche mese, la partita potrebbe avere un altro finale. Bernabé, dicono i bene informati, aveva fretta di liberarsi di un peso (economico ma anche politico), ma come sottolinea Tarak Ben Ammar, consigliere franco-tunisino di Telecom, «il messaggio è che abbiamo preso una decisione prima delle elezioni nel solo interesse dell’azienda» e «non abbiamo parlato dell’offerta di Della Valle», che potrebbe però rientrare nella partita «se Cairo non compra: se Della Valle vuole, si mette d’accordo con Cairo». Tanto rumore per nulla? Romina Velchi |
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