La tecnocrazia europea teme il contagio italiano
 











Il risultato delle elezioni italiane ha lasciato di stucco sia la tecnocrazia europea legata a filo doppio agli ambienti dell’Alta Finanza sia la politica ufficiale che ha immediatamente colto il segnale giunto da Roma. Gli elettori italiani hanno voluto dare un messaggio chiaro: basta con la politica dell’austerità e dei sacrifici che non fa altro che aggravare la recessione economica in corso, favorendo il diffondersi di una povertà di massa, un fenomeno che era assolutamente sconosciuto prima. Al contrario, la tecnocrazia che siede a Bruxelles ha difeso a spada tratta la necessità dell’austerità e dei sacrifici e ha ammonito i cittadini italiani ed europei a non farsi trascinare dal populismo. Insomma, se non ce la fate ad arrivare alla fine del mese, se state diventando poveri, cosa volete che sia? Bisogna fare i sacrifici e poi il futuro, all’insegna del Libero Mercato, sarà roseo per tutti.
Il reale messaggio emerso dalle elezioni è stato
colto immediatamente dal presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz. Si tratta di un chiaro messaggio di protesta contro la politica europea e l’austerità imposta prima di tutto dai governi nazionali. Si deve prendere atto che c’è stato un massiccio voto di protesta contro la politica di consolidamento fiscale. Per tale motivo, ha avvertito, si deve lavorare per coniugare la disciplina di bilancio e il rigore fiscale con la crescita e la lotta alla disoccupazione, in particolare quella giovanile. I cittadini, ha ammesso, non hanno gradito la politica d’austerità, la quale, ha ricordato, è stata imposta in primis dai governi nazionali e non da Bruxelles. In Europa, c’è una insoddisfazione diffusa. I cittadini, ha sostenuto, sono disposti a fare sacrifici, ma non a tutti i costi.
In particolare, quelli italiani hanno visto nell’Europa la prima responsabile delle loro difficoltà. Da qui l’auspicio di Schulz di un compromesso tra le forze politiche
italiane da raggiungere attraverso il dialogo. L’Italia, ha concluso, ha bisogno di stabilità ma allo stesso tempo si deve rispettare la scelta degli elettori che hanno inviato un appello che va ascoltato.
La Commissione europea ha preso atto del risultato elettorale e poi ha assicurato che da Bruxelles si lavorerà a stretto contatto con il nuovo governo per favorire e rilanciare la crescita economica  e la creazione di posti di lavoro. Barroso e soci hanno messo le mani avanti per ribadire“piena fiducia” (grazie tante!) nel processo democratico italiano, ma subito dopo hanno sostenuto che i mercati finanziari sono
liberi di reagire come ritengono opportuno. Il fatto che lo spread tra Btp e Bund tedeschi sia passato dai 270 di lunedì ai 350 di martedì dimostra ancora una volta che l’Italia, condizionata ancora da Grillo e da Berlusconi, resta sotto osservazione. La Commissione europea, interprete anche degli umori della speculazione internazionale, auspica la nascita di un
governo sorretto da una maggioranza forte e stabile che continui a portare avanti la politica economica avviata da Monti.
Dagli Stati Uniti, il premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman, ha ironizzato sulle pretese della finanza internazionale che il voto degli italiani fosse all’insegna della maturità e del realismo. Un auspicio sostenuto dal settimanale Economist, l’organo della speculazione della City, al momento delle dimissioni di Monti, a seguito dello sgambetto fatto da Berlusconi. Dove la maturità e il realismo consistevano nel fare tornare Monti che, ha ricordato Krugman, è stato imposto al nostro Paese dai “suoi creditori”. Una maniera elegante per indicare gli speculatori di Wall Street e della City che giocano al ribasso sul valore di mercato dei nostri Btp italiani per portare al rialzo lo spread con i Bund tedeschi. Una operazione che nel novembre del 2011 riuscì perfettamente tanto da portare lo spread a 570 punti e provocare la caduta del governo Berlusconi. A
giudizio di Krugman gli effetti dell’austerità imposta da Monti, da lui definito il proconsole installato dalla Germania per imporre l’austerità fiscale su un’economia già in difficoltà, sono stati disastrosi. Ed anche la cosiddetta “rispettabilità” da ottenere da parte dei circoli politici europei risiede soltanto nel perseguire l’austerità senza limiti. Una austerità che non ha funzionato ma che non sembra preoccupare i suoi sostenitori, specie i funzionari europei, che sembrano sempre più petulanti e deliranti. Gente che non si sono minimamente preoccupati del fatto che il taglio della spesa e l’aumento delle tasse in una economia depressa come quella italiana, potesse peggiorare le cose con una percentuale sempre più alta di disoccupati. E l’aspetto paradossale è che l’austerità non ha aiutato a raggiungere l’obiettivo minimo di ridurre il debito che in Italia è aumentato dal 120% con Berlusconi al 126% attuale sul Pil.
Se l’analisi di Krugman ha il pregio del realismo, si deve
però osservare, allo stesso tempo, che essa risente di una impostazione di tipo keynesiano favorevole al deficit spending, usare cioè la spesa pubblica in disavanzo per sostenere la crescita economica. In questa fase taluni ambienti di oltre Atlantico cercano di spingere l’Europa a fare come gli Usa dove il debito pubblico è costantemente sopra il 100% del Pil. Lì’applicazione del principio del “più indebitati siete voi, meglio stiamo noi”. Una tendenza che gli Usa possono permettersi per il ruolo del dollaro come moneta di riferimento nelle transazioni internazionali. Mentre per l’euro questo non è possibile.
Interessante è semmai la conclusione di Krugman, laddove osserva che i “populisti” sono in aumento nell’Europa del Sud proprio perché la tecnocrazia di Bruxelles non vuole ammettere che le politiche economiche imposte ai Paesi con alto debito (Grecia, Spagna Portogallo e Italia)  sono un fallimento disastroso. Se questo atteggiamento non cambierà, prevede l’economista, le
elezioni italiane saranno solo un assaggio della pericolosa radicalizzazione che verrà in tutta Europa.Filippo Ghira