15 miliardi di tagli. Nessuno se ne preoccupa
 











Il dibattito politico dei prossimi giorni rischia di apparire irreale. Lo scenario confuso non è favorevole alla definizione di un programma chiaro, tutte le forze coinvolte sono interessate a capire come finirà il grande gioco di Palazzo per la creazione di una maggioranza di governo.
Nessuno sembra disposto a parlare di temi concreti. Eppure, ne esiste uno che non può essere eluso. Parliamo della necessità di una manovra correttiva da quasi quindici miliardi. Il calo del Prodotto interno lordo e l’aumento della disoccupazione hanno causato un buco nel bilancio pubblico. Situazione che potrebbe aggravarsi dopo la recente impennata del differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi. Il servizio del debito è destinato a mangiarsi una par
te consistente di questi quindici miliardi, economie che saranno realizzate – con tutta probabilità – tagliando ulteriormente la spesa pubblica. Un Esecutivo non sostenuto da un’ampia maggioranza
non potrebbe pretendere di innalzare ulteriormente la pressione fiscale. Si potrebbe tentare la strada della questione di fiducia ma al Senato ogni voto avrà un risultato imprevedibile. Qualunque sia la formula politica prescelta, la nuova squadra di governo che guiderà il nostro Paese dovrà subito fare i conti con l’agenda europea: vincoli e tappe obbligate su conti pubblici e riforme per tentare di rilanciare la crescita. Una ripresa che – purtroppo – dovrà essere perseguita con le teorie propinate dai “soloni dell’austerity”, personaggi smentiti da larga parte della dottrina economica. Dal patto di stabilità passando per il semestre europeo, dal Fiscal compact fino al Six Pack e al Two Pack, che entrerà in vigore a breve, sono cinque i pilastri della governance economica che tracciano la rotta. Un’eredità lasciata dal governo tecnico di Mario Monti. Tutti ricordiamo una sua dichiarazione resa con una sicumera disarmante: “Chiunque verrà dopo di me non potrà fare a meno di seguire la strada indicata dalle nostre riforme”.
Il primo banco di prova per Palazzo Chigi sarà la definizione del Def (Documento di economia e finanza) e del Programma nazionale di riforma, che dovrà essere presentato a Bruxelles entro il 30 aprile. Una data vicinissima se consideriamo che le nuove Camere saranno impegnate il 15 aprile con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e le consultazioni rischiano di essere tra le più complicate della storia repubblicana. Maggioranza ed opposizione non avranno scampo. Qualunque siano le scelte di politica economica dovranno essere rispettati il pareggio di bilancio ed i vincoli del Fiscal compact. Norme votate ed approvate, a larghissima maggioranza, da Pdl e Pd. Gli stessi che oggi vorrebbero smarcarsi favoleggiando a proposito di piani alternativi. Ci dovevano pensare prima, piangere sul latte versato non servirà a nulla.
Se vogliono cambiare sul serio, si devono mettere in testa di presentarsi a Bruxelles e Francoforte con un piano
di politica monetaria alternativo. Se la Bce continuerà a “vendere” denaro e maturare utili non si riuscirà a pretendere un cambio di rotta. Servono regole in grado di favore il ruolo dell’investitore pubblico. Solo così si potrà sostenere la domanda ed aumentare il gettito fiscale. Chi non affronta questi temi sta semplicemente cercando di vendere un prodotto difettoso. Bersani vorrebbe pagare subito i debiti della pubblica amministrazione e attuare politiche del lavoro più incisive. Tutto bene. Spieghi cosa intende tagliare nel giro dei prossimi quaranta giorni.Matteo Mascia