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Globalizzazione bancaria, nemico nr. 1 |
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C’è stato un tempo, nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ‘60, in cui la circolazione dei capitali tra un Paese e l’altro non era per niente libera. La proibizione era diffusa soprattutto tra le piccole nazioni, normalmente quelle con valuta debole, ma è stata praticata anche da grandi paesi capitalisti. Gli Stati Uniti la attuarono per un breve periodo negli anni ‘60, ma in Gran Bretagna rimase in vigore fino al 1979. Altri grandi Paesi con forti valute (come l’Italia) mantennero questa limitazione fino agli anni ‘80. Ma è stato a partire dagli anni ‘90 e, soprattutto, dopo la creazione dell’euro all’inizio del nuovo millennio, che questa pratica è andata largamente in disuso. In un mondo che si apriva sempre più alla globalizzazione (un sistema che sta conducendo alla miseria intere nazioni ed è volano di una trasformazione sociale, in tutte le società connesse, foriera della cristallizzazione di due sole classi economiche: i ricchi e i poveri, nota di Rinascita) quelle limitazioni alla circolazione del denaro rallentavano le operazioni e avevano ovviamente anche un costo, legato a tutti gli adempimenti burocratici necessari per completare quelle pratiche di esportazione, diventando una forte limitazione agli scambi commerciali. Per il sistema capitalista quei vincoli erano un peso da eliminare. L’aspirazione era quella di raggiungere un mercato totalmente libero da impedimenti, dove l’unico limite doveva essere quello imposto dalla libera concorrenza. Un obbiettivo che con il nuovo millennio è stato sostanzialmente raggiunto. Visto con gli occhi di oggi però quel “sogno” degli iper-liberisti anni ‘80 e seguenti, mostra tutte le sue crepe. La verità è, come dice Krugman, che questi illimitati movimenti di capitali tra i Paesi e tra i Continenti sono un esperimento fallito. E fa l’elenco delle gravi crisi di intere nazioni che sono riconducibili proprio agli eccessi di movimenti di capitali in ingresso in quei Paesi. Nel 1982 sono stati colpiti il Messico, il Brasile e l’Argentina. La Svezia e la Finlandia nel 1991. Ancora il Messico nel 1995 e poi la Thailandia, la Malesia, l’Indonesia e la Corea nel 1998. Di nuovo l’Argentina nel 2002 per arrivare ai giorni nostri con la crisi iniziata nel 2007 negli Usa, e poi “sbarcata” in Europa quattro anni dopo. Come in un domino di dimensioni globali si sono viste prima l’Islanda, l’Irlanda, la Grecia, poi il Portogallo, la Spagna, l’Italia, e adesso Cipro, cadere tutte nel vortice della libera circolazione dei capitali. Come si può notare dal suddetto elenco, queste crisi hanno toccato tutte le latitudini e tutti i Paesi economicamente evoluti. Ma da una seria analisi si può notare che c’è una causa comune a tutte queste crisi. No, dice Krugman, non è la spensierata propensione agli eccessi di spesa di Paesi “cicale” la causa principale, forse questo lo si può ravvisare solo nel caso della Grecia. In quasi tutti gli altri casi la causa principale della crisi è stata l’eccessiva libertà di movimento del denaro data alle banche. L’abbondanza di denaro disponibile e trasferibile senza ostacoli ha consentito una vera e propria corsa degli investitori, pilotati da una speculazione senza scrupoli e per il tramite di banche senza freni, a investire in un determinato Paese, che naturalmente era allettato da questo interesse e da questa fiducia che determinava all’interno del Paese stesso un periodo di piacevole “abbondanza”. Ma poi arrivavano i segnali di saturazione, e i capitali cominciavano a prendere la direzione opposta e a regredire con progressiva rapidità, lasciando l’intero Paese attaccato al gancio di un debito che non poteva essere cancellato con altrettanta rapidità. Il problema però è che, dopo aver agito con totale libertà e nessuna cautela, gli investitori vorrebbero ora recuperare non solo il loro capitale per intero, ma anche i cospicui interessi che le banche applicano al debito con la complicità delle agenzie di rating, che misurano solo l’affidabilità del debitore e mai quella dell’investitore per differenziarlo dallo speculatore puro. Il caso di Cipro, dove anche gli investitori verrebbero chiamati a pagare lo scotto di operazioni avventate sarebbe utile a far diventare anche loro più saggi. Secondo Krugman l’eccesso di libertà nella movimentazione dei capitali produrrà nel tempo (ma non in tempi brevi) un ritorno almeno parziale a nuove restrizioni nella libera circolazione dei capitali. Roberto Marchesi (Allen- Texas) |
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