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Yolanda Betancourt: -Sinistra, intervieni- |
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di Geraldina Colotti
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«La responsabilità è del presidente Uribe. La sua chiusura nei confronti della guerriglia mette in pericolo la vita di mia figlia e quella di tutti gli altri ostaggi, e impedisce il processo di pace in Colombia». Non usa mezzi termini, Yolanda Pulecio Betancourt, madre della senatrice dei verdi Ingrid, rapita dalle Forze armate colombiane quasi sei anni fa. Nella sede del manifesto, accompagnata da Gianni Minà, dice di non riuscire a immaginare un altro anno «senza mia figlia e con questo dolore», ma non fa spettacolo dei sentimenti. Lucida e composta, preferisce appellarsi alla ragione e al buonsenso per «coltivare la speranza». Si capisce che i duri meccanismi della politica non le sono estranei. Racconta, infatti, che da giovane è stata eletta alla Camera e al Senato colombiano, ha fatto parte della diplomazia, prima come inviata a Parigi e in seguito come ambasciatrice in Guatemala. Oggi, però, preferisce ricordare l’attività sociale a favore dei minori abbandonati e «i cinque istituti per orfani» che ha costruito. «Il rapimento di Ingrid - dice ora - mi ha restituito alla politica. Lei ha un’autentica vocazione per la politica. Quando l’hanno presa, ho dovuto chiedermi perché fosse toccato proprio a lei, che si batteva contro la corruzione e il malaffare e aveva a cuore gli stessi ideali di giustizia sociale che dicono di avere le Farc. Allora ho voluto conoscere quelle persone». Perciò, «fra mille ostacoli e difficoltà», la signora Betancourt si reca nelle carceri colombiane, dove i detenuti politici subiscono il trattamento duro delle carceri speciali. «In prigione - dice - ho incontrato i comandanti della guerriglia, persone colte e intelligenti. Mia figlia è considerata prigioniera di guerra, anche se non aveva armi. Spiegano di non avere niente a che fare col narcotraffico e con tutte le nefandezze di cui li accusa Uribe». E allora gli undici ostaggi morti, che una perizia avrebbe attribuito al fuoco della guerriglia? «Ho accompagnato i deputati a vedere i corpi di quegli ostaggi - racconta Betancourt - quando ho visto i cadaveri mi sono sentita mancare, pensavo che avrebbe potuto succedere a mia figlia. Onestamente, tutta quella faccenda è molto strana. Sono in molti a pensare che, dietro, ci siano mercenari che lucrano sui soldi dei riscatti. C’è il sospetto che possa trattarsi di qualche scheggia dei servizi segreti israeliani, che allenano l’intelligence colombiana. Uribe ha mentito troppe volte perché gli si possa credere». Il presidente della Colombia Alvaro Uribe non crede alla pace, dice Betancourt, «ma controlla gran parte dei media. Sembra che l’80% della popolazione stia con lui, eppure io parlo con la gente comune, con i tassisti, con i giovani e nessuno crede che faccia una buona politica per il paese». Chi lo ha eletto, allora, questo presidente della Colombia coccolato da Bush ma anche da buona parte dei paesi europei? «Su 40 milioni di colombiani - risponde Betancourt - solo in 7 milioni sono andati a votarlo. E nei municipi capita che i censimenti vengano fatti prima del tempo, che i voti vengano comprati e i cittadini minacciati dai paramilitari. I giovani sono senza futuro». Eccezione Colombia, nel panorama latinoamericano dei Morales, dei Chavez o dei Lula. Come mai? Betancourt elenca l’intreccio di interessi legati al mantenimento di un clima di guerra e all’assenza di spazi di agibilità democratici: «I piani privatistici finanziati dagli Stati uniti», la miriade di figure e di apparati che campano sulle spese militari. Eppure, la manifestazione «mille voci contro le Farc», che si è svolta recentemente in Colombia, ha raccolto evidenti consensi. Perché le forze popolari non riescono a fare altrettanto? E come spiega, Betancourt, che una degli ostaggi appena liberata dalle Farc, Clara Rojas - che aveva avuto una relazione (e un figlio) con un guerrigliero e che in un video salutava i suoi sequestratori con le lacrime agli occhi - abbia definito «grandiosa» la manifestazione anti-Farc? «Rojas viene da una famiglia di accesi uribisti - risponde Betancourt - uno dei suoi fratelli è venuto a insultarmi pubblicamente solo perché noi familiari li abbiamo scongiurati di pensare alla pace e alla vita degli altri ostaggi. Ma Uribe continua a compiere operazioni militari nella zona della guerriglia, impedendo la liberazione degli altri sequestrati?». Di chi si fida, allora, Betancourt? «Senz’altro della senatrice Piedad Cordoba, che sta subendo minacce e attacchi per la sua attività di mediazione. E’ stata aggredita fisicamente all’aeroporto. L’hanno denunciata come traditrice e ha dovuto difendersi in senato. Anche la vita di suo figlio è in pericolo. Ma con chi si deve trattare in una guerra se non con l’avversario?». Fra chi si adopera per una soluzione umanitaria c’è anche una parte della chiesa: «Io sono cattolica - dice Betancourt - e ringrazio monsignor Luis Augusto Castro, presidente della conferenza episcopale colombiana, che lavora in quella direzione. Ringrazio moltissimo anche il presidente Chavez. Senza la sua mediazione non si sarebbe arrivati a nulla». Betancourt apprezza anche l’intervento del presidente francese Sarkozy e «il prezioso lavoro di Jacques Chirac». E spera che, dagli Usa, arrivi un cambio di governo: «I democratici ci hanno ricevuto - dice - e ci hanno assicurato che sosterranno una soluzione umanitaria del conflitto in Colombia». Ma, soprattutto, dopo la visita in Italia in cui ha incontrato anche il papa, Betancourt confida nei rappresentanti delle forze politiche di sinistra e dei sindacati, con cui ha parlato: «A loro - dice - ho chiesto di sostenere l’attività di mediazione del presidente Chavez e della senatrice Cordoba. Se Uribe riconosce le Farc come controparte, mia figlia e gli altri potranno tornare a casa. La pace in Colombia sarebbe a portata di mano. Al di là dei problemi politici, conta l’intervento umanitario. L’Italia, a differenza della Colombia, conosce il valore dei diritti umani».de Il Manifesto |
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