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Sergej Rachmaninov, il fascino della malinconia |
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di Rosario Ruggiero
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Il percorso geografico della vita di Sergej Rachmaninov, nato ad Oneg, nel governatorato russo di Novgorod, il primo aprile 1873, e morto nella sua residenza estiva di Beverly Hills, in California, negli Stati Uniti, il 28 marzo 1943, riproduce, in qualche modo, il percorso della sua stessa carriera. È opinione comune degli psicologi che gli anni più significativi per la formazione della personalità di un individuo siano i primi. Per quanto riguarda Rachmaninov, l’infanzia fu vissuta in un’atmosfera legata ad un mondo di vecchia Russia terriera, in una regione ad economia agricola isolata politicamente e culturalmente dal resto di una nazione, tra l’altro, non ancora raggiunta dall’incalzare del progresso industriale. Di buona famiglia, con il padre musicista dilettante, il nonno paterno che era stato allievo di John Field, l’inventore del notturno pianistico, ed una sorella che, seppur finita prematuramente, non prima di aver mostrato qualità di cantante, Sergei ricevette i primi insegnamenti musicali in famiglia. Studiò poi al conservatorio di Pietroburgo, quindi in quello di Mosca. Fu allievo, per il pianoforte, del cugino Alexander Siloti, celebre virtuoso, per il contrappunto di Sergej Taneev e per la composizione di Anton Arenskij, musicista che fu molto influenzato dalle musiche di Cajkovskij. Lo stesso autore de “Il lago dei cigni” e de “Lo schiaccianoci” apprezzerà molto Rachmaninov appena ventenne, già da due anni diplomato in pianoforte, vincitore della medaglia d’oro per la composizione dell’opera in un atto Aleko, alla rappresentazione di questa, nel 1893, al teatro Bolšoj. Tutti questi elementi incideranno sulla figura artistica del maestro caratterizzandone la vena russa della sua musicalità, i modi conservatori del suo stile creativo, l’isolamento artistico rispetto ai fermenti musicali della sua epoca, la carica melodica e sentimentale delle sue composizioni più legata a riposante consonanza di suggestioni naturalistiche che a stridenti dissonanze rievocative della frenesia e del dinamismo delle grandi città, nonché lo straordinario virtuosismo esecutivo al pianoforte. A ciò si aggiungeranno le difficoltà degli inizi della carriera e le delusioni dei primi insuccessi che lo porteranno ad un grave stato depressivo favorendo probabilmente poi nelle sue composizioni e nelle sue interpretazioni pianistiche un’affascinante aura di mestizia, malinconia, persino tragicità. Nota e significativa la genesi di una delle sue pagine più celebri: il secondo concerto per pianoforte ed orchestra. L’avvilimento per il fallimento della prima esecuzione della sua prima sinfonia aveva indotto Rachmaninov a rivolgersi al dottor Nikolaj Dahl, medico psicanalista sostenitore della terapia ipnotica. La cura di fiducia ed autostima proficuamente praticata dal medico porterà il paziente alla creazione di una delle pagine maggiormente conosciute ed eseguite del repertorio pianistico tecnicamente più impegnativo ed al medico la dedica della composizione. Da tutte queste esperienze verrà fuori definitivamente la figura di un artista epigono della tradizione romantica ottocentesca per lo strepitoso virtuosismo esecutivo, l’afflato lirico e la scelta estetica che, in un periodo in cui la musica, con le varie scuole nazionali, non certo ultima quella russa, attingeva a piene mani e proponeva modi locali e popolari con orgoglioso spirito di campanile, non gli impedirà, alla maniera di Cajkovskij, di occidentalizzare semplicemente la sua ispirazione russa che diventerà colore, non sostanza della pagina, esotismo non affermata nazionalità, effusione lirica non provocazione intellettuale, rendendo il compositore portatore di una musicalità ancora humus vitale nella Russia rurale zarista di fine Ottocento, semplicemente vaghezza oleografica nell’America tecnologica del XX secolo. Forse anche per questo non è peregrino che il catalogo delle sue opere si arricchirà di pochi lavori dal periodo degli strepitosi successi pianistici statunitensi. Come interprete alla tastiera (Rachmaninov fu anche direttore d’orchestra) il suo pianismo di estrema eccezionalità tecnica per gamma di intensità dei suoni, morbidezza timbrica, incisività ritmica, magnifica velocità e chiarezza, straordinaria malia nelle fluttuazioni di tempo, personalità squisitamente individuale ed irresistibile fascino, fa rivivere gli incantesimi che, stando ai racconti, si attribuiscono ai massimi interpreti del passato, che nel loro caso potranno anche essere solo leggende, ma per Rachmaninov, ampiamente documentato dalla discografia, si rivelano incontestabile realtà. Ed il musicista, come interprete e come creatore, resta così, complessivamente, il simbolo di un mondo, l’Ottocento musicale europeo, che, ribadendosi con lui, si estingue, ma che trova l’autorità di questa sua ultima apparizione in una capacità di fascinazione che resta prepotentemente immortale.
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