L’Egitto vicino al tracollo economico e finanziario
 











Oltre alla profonda crisi politico-istituzionale, umanitaria e sociale, l’Egitto sta ad un passo dal tracollo economico e finanziario. Nonostante l’annuncio del rinvio al prossimo autunno delle elezioni legislative, inizialmente previste per la fine di aprile, non sembrano placarsi le tensioni nelle città egiziane. L’elezione dell’esponente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi avvenuta diversi mesi fa, non sembra rispondere alle aspettative e alle speranze della rivoluzione che nel 2011 provocò la resa del faraone Hosni Mubarak. A meno di un anno dalla sua vittoria elettorale, l’attuale capo di Stato egiziano non ha fatto altro che consolidare le spaccature di natura religiosa e sociale all’interno del Paese invece di portare avanti un programma di riconciliazione nazionale.
La “nuova Costituzione” che protegge e tutela il presidente e il suo partito, il coprifuoco, la presenza evidente del vecchio apparato istituzionale, l’indebolimento della
magistratura e l’islamizzazione silenziosa della società, hanno scatenato istintivamente in questi mesi la rabbia dei cittadini nei confronti della Confraternita. Un malcontento legato inevitabilmente all’assenza di reali riforme economiche volte a far ripartire la produzione nazionale, l’import/export e i consumi. Recentemente l’agenzia di rating internazionale Moody’s ha perfino declassato la valutazione delle riserve in valuta locale di cinque banche egiziane: la Banca nazionale d’Egitto, la Banca del Cairo, l’istituto di credito Misr e la Commercial International Bank (Cib), passano da B3 a Caa1; mentre la Banca di Alessandria è stata declassata da B3 a B2. Un “downgrade” ulteriore giunto a margine di quello del governo egiziano, portato dalla stessa agenzia a B3 a Caa1. Secondo quanto riferito da Moody’s i principali fattori che hanno determinato il declassamento sono stati sia la scarsa capacità dell’esecutivo di sostenere le banche, in particolare quelle di proprietà della Stato, sia lo stretto collegamento tra i bilanci delle banche.
Tuttavia la crisi non sembrerebbe legata solamente alle banche e all’economia reale del Paese, ma anche all’esaurimento delle riserve in dollari e alla moneta nazionale, la sterlina egiziana, che è stata svalutata in pochi mesi dell’11 per cento. I tentativi della Banca Centrale Egiziana di mantenere il cambio stabile sono stati un fallimento, tanto da provocare le dimissioni del suo presidente. Il problema delle riserve è invece vitale per una popolazione che importa con valuta statunitense. Queste raggiungevano la somma di 36 miliardi di dollari durante l’era Mubarak, oggi superano di poco i 13 miliardi. “Per importare bisogna pagare in dollari e questo provoca un aumento della domanda – spiega il titolare di un negozio di cambio valuta -, gli importatori recuperano dollari sul mercato, accelerando la svalutazione della sterlina egiziana”. Mentre il problema della svalutazione, legato al fatto che l’importazione è
vincolata al dollaro, sta creando la perdita del potere d’acquisto e un impoverimento generalizzato dei cittadini, che con difficoltà (e a caro prezzo) riescono a convertire la moneta locale in dollari.
Mentre le riserve si svuotano rapidamente (in due anni sono diminuite di tre volte rispetto al governo precedente), Il Cairo sta aspettando un prestito di quasi 4,8 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Nonostante l’iniziale opposizione degli islamisti al prestito - quando ad essere in trattativa era il governo dei militari - il presidente Morsi ha ripreso e intensificato negli scorsi mesi le negoziazioni, che però il Fmi ha bloccato per mancanza di garanzie di fronte all’instabilità del Paese. Tra i pre-requisiti richiesti dal Fondo, infatti, ci sarebbero l’introduzione di nuove tasse - approvate dal governo a dicembre - e una riforma radicale del sistema dei sussidi su gas, carburante e pane. Misure che, appunto, danneggerebbero soprattutto i ceti
medio-bassi, i quali difficilmente riuscirebbero a sopportare un innalzamento dei tributi (che servirebbero poi a pagare gli interessi sul prestito).  Sebastiano Caputo