Belgrado si oppone agli accordi-capestro con Pristina
 











La Serbia respinge qualsiasi ipotesi di accordo con gli occupanti del Kosovo. Elemento questo considerato dai tecnocrati di Bruxelles come la condizione sine qua non per l’avvio di negoziati volti all’integrazione di Belgrado nell’Unione europea. E in questo momento sono tutti uniti in Serbia contro l’accordo con lo staterello fantoccio del Kosovo: non soltanto il governo, ma soprattutto la chiesa, il popolo e gli stessi studenti. Una decisione questa particolarmente sentita, tanto da rappresentare la prima volta da vent’anni a questa parte.
Tuttavia, il governo serbo ha anche sottolineato che intende continuare a negoziare con Pristina. “Il governo della Serbia non può accettare i principi presentati verbalmente al suo team negoziale a Bruxelles, dal momento che non garantiscono una piena sicurezza e protezione dei diritti umani per i serbi che vivono in Kosovo”, ha sottolineato il primo ministro di Belgrado, Ivica Dacic . In poche parole ilgoverno serbo respinge ufficialmente qualsiasi diktat imposto dalla Commissione di Bruxelles, ma non vuole chiudere le porte alle trattative con l’Unione europea, come ha sempre sostenuto il presidente serbo Tomislav Nikolic, durante e dopo la sua elezione allo scranno più alto della Repubblica di Serbia. Ma non sono soltanto i serbi ad opporsi al recente accordo, dietro le quinte si muovono altri interessi ben più elevati e potenti che sperano di mantenere sempre alta la tensione in tutta l’area. Interessi questi denunciati proprio dal premier Dacic, che ha accusato gli Stati Uniti di voler bloccare qualsiasi potenziale accordo territoriale con il Kosovo che, afferma, avrebbe potuto mettere fine anche al conflitto nelle enclavi serbe. In un’intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha sottolineato che una possibile soluzione per la normalizzazione delle relazioni sarebbe stata quella di dare il controllo del Kosovo alla maggioranza albanese nella regione dellavalle di Preshevo nel sud della Serbia e in cambio Belgrado riceverebbe il controllo sulla regione del Nord del Kosovo a maggioranza serba. “In realtà ritengo che i serbi e gli albanesi potrebbero facilmente accettare uno scambio di territori. Ma questo non sarebbe accettabile per Washington. L’opinione è che questo potrebbe portare ad una guerra in Macedonia”, ha osservato il premier serbo, sottolineando che proprio il governo macedone ha creato il rischio di un conflitto tra la sua “minoranza” etnica albanese (pari al 27 per cento della popolazione complessiva) e la sua maggioranza macedone, in primo luogo attraverso il riconoscimento del Kosovo.
“Perché la Macedonia dovrebbe sentirsi minacciata da una soluzione?”, ha osservato il premier. È molto semplice ha proseguito: “Il governo di Skopje ha creato questa minaccia in violazione della legge, riconoscendo l’indipendenza del Kosovo dichiarata unilateralmente”.
Per questo potrebbe accadere l’irreparabile, tanto che Dacic haaggiunto: “Che cosa accadrà se le aree popolate dagli albanesi in Macedonia dichiarano ora l’indipendenza? Spero di no”. E poi ha proseguito ribadendo le posizioni espresse dal suo governo sul pericolo che corrono i serbi del Kosovo settentrionale ricordando che, nella fase finale dei colloqui, la Serbia ha invece proposto che nel nord i serbi del Kosovo devono essere governati da un’associazione autonoma di Comuni in grado di controllare e di avere le proprie forze di polizia e i propri tribunali: una soluzione questa respinta sia dagli Stati Uniti che dagli occupanti del Kosovo. Tuttavia ora sorge un altro problema, ha ricordato Dacic, poiché se non vi sarà un accordo tra Belgrado e Pristina entro il prossimo 16 aprile, data di scadenza della relazione della Commissione europea sulle relazioni Ue-Serbia, l’esecutivo comunitario è improbabile che proponga ai paesi dell’Ue di aprire per quest’anno i negoziati di adesione con la Serbia. Il premier non ha mancato di menzionare gli altrinemici di Belgrado nei colloqui con Pristina. Uno di questi è l’Alto rappresentante per le relazioni estere dell’Ue, la britannica Catherine Ashton, che lunedì scorso ha deplorato le decisioni della Serbia. Piuttosto andrebbe sottolineato che la Ashton sarebbe particolarmente felice se il dialogo tra i due proseguisse oltre il suo mandato formale, visto l’avversione che ha la Gran Bretagna nei confronti dei serbi. “Credo – ha osservato Dacic nella sua intervista – che tutti gli elementi per un accordo sul Kosovo settentrionale sono sul tavolo ... mi auguro che il Kosovo e la Serbia non perdano l’opportunità di lasciarsi il passato alle spalle”, ha detto. Ma Dacic, al quotidiano tedesco, si è lamentato del ruolo svolto dalla la Germania nel processo di adesione della Serbia all’Ue. “La Germania sta imponendo condizioni non necessarie in aggiunta a quelle che sono già state espresse. È il momento di andare finalmente a formare dei partenariati strategici ... Purtroppo, la Germaniarappresenta insieme a uno o due dei suoi vicini dell’Ue coloro che stanno prendendo una linea particolarmente dura contro la Serbia”, ha chiosato Dacic, facendo riferimento all’Olanda – senza menzionarla – per le posizioni assunte da tempo quale avversaria del governo di Belgrado. “C’è un equivoco che si possono risolvere tutti i problemi dei Balcani costantemente esercitando pressioni sulla Serbia”, ha voluto precisare giustamente il premier serbo visto che nell’area non vivono soltanto i cittadini di Belgrado ma continuano a compiere rivendicazioni soprattutto i fautori della “Grande Albania”, diffusi un po’ ovunque in tutta la regione dei Balcani occidentali e pronti a qualsiasi azione anche militare pur di ottenere ciò che vogliono. A preoccupare è l’influenza dell’impero a stelle e strisce, che ha condotto insieme ai Paesi della Nato la campagna di bombardamenti contro la Serbia nel 1999, che è ancora enorme ed è coadiuvata molto spesso dai suoi maggiordomi dell’Occidenteeuro-atlantico. E qui Dacic ha fatto anche alcuni nomi dei diplomatici Usa, come quello dell’ex ambasciatore americano a Pristina, Christopher Dell, che dopo pur avendo lasciato il suo posto la scorsa estate, è conosciuto localmente come il “Re del Kosovo”, in riferimento alla sua presunta influenza sul governo fantoccio del premier kosovaro Hashim Thaci. Alti diplomatici americani, come Philip Reeker, che dirigono l’ufficio Balcani nel dipartimento di Stato Usa e che regolarmente hanno visitato a Bruxelles e parlato con Thaci, alla vigilia del suo incontro ai vertici sulla questione riguardanti i confini del Kosovo con la Ashton e il premier Dacic, in quello che la rappresentanza dell’impero a stelle e strisce presso l’Unione europea ha definito “parte del nostro crescente sostegno in questo processo”. Un ruolo quello della “diplomazia del dollaro” che vuole mantenere intatta l’attuale situazione di stallo tra serbi e albanesi, facendo in modo così di poter accusare di tutte lemalefatte i cittadini di Belgrado che continuano la loro battaglia per il riconoscimento dei loro diritti nelle enclavi serbe del Kosovo settentrionale.  Andrea Perrone










   
 



 
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