Era davvero il 1861, vale a dire suppergiù centocinquanta anni fa? Leggo. «La morte del conte di Cavour non ha fatto cangiare la tattica. Gli stessi uomini, ed altri ancora, seguono le stesse evoluzioni d’incontro al barone Ricasoli. Che questi cada domani, e la stessa manovra comincia col suo successore. La strategia dei Parlamenti è invariabile». Leggo. «Vi è una categoria di deputati che ha la malattia di proporre delle leggi per avere l’occasione di recitare un piccolo discorso meditato, mandato a memoria per sei settimane». Leggo. «Il terzo partito è una frazione della sinistra; esso stesso frazionato in quattro gradazioni di color diverso; contrariamente alla natura delle cose miste, le quali in generale non sono né carne né pesce, il terzo partito vuol essere ad una volta pesce e carne». E leggo (stropicciandomi gli occhi, non sarà che sta parlando PROPRIO di noi?). «La sinistra, e l’estrema sinistra, presentano le varietà seguenti:Garibaldini, Mazziniani, repubblicani, federalisti, oltremontani, autonomi, liberali, indipendenti e dipendenti, misteriosi, indecisi, quegli che portano il broncio, gli esploratori del campo nemico, gli uccelli di passaggio, gli smarriti per via, scettici, dottrinari, pretendenti. Io potrei aggiungere ancora altre tinte, ma credo che ciò basti». Cronache parlamentari di un secolo e mezzo fa, non si direbbe. Appunti che sembrano scritti oggi, e invece sono tratti testualmente da questo libro brillante e pieno di humour, intelligente e disincantato, comunque sempre divertentissimo, uscito un secolo e mezzo fa dalla penna affilata di quel tipaccio guardone che risponde al nome di Ferdinando Petruccelli della Gattina (1815-1890), non per niente considerato il precursore del giornalismo moderno. Liberale, anticlericale, anticonformista, esule in Francia dopo i moti insurrezionali del 1848, cronista per la francese "Presse", è con evidente grande diletto che ha dato vita a questo libro -" I moribondi del Palazzo Carignano", a cura di Enzo Di Brango, Capone editore, pag.136, euro 12, - che a noi, suoi posteri-posteri, fa uno strabiliante effetto di già visto, anzi di spettacolo del tutto in corso, giorno dopo giorno. Parlamento e Palazzi. Ieri come oggi, oggi come ieri: impresentabilità compresa (già allora, appunto, Primo Parlamento della Prima Italia Unita...). Si prenda dunque nota. Sui 438 deputati colà assisi, nel primo Parlamento, anno 1861, vi sono: «2 principi; 3 duchi; 29 conti; 23 marchesi; 26 baroni; 50 commendatori o gran croci; 117 cavalieri; 135 avvocati; 25 medici; 10 preti; 21 ingegneri; 4 ammiragli; 22 generali; 1 prelato; 13 magistrati; 32 professori, o ex professori o dantisi come tali; 8 commercianti o industriali; 13 colonnelli; 19 ex ministri; 3 consilieri di stato; 4 letterati; 1 Bey nell’Impero ottomano-il signor Paternostro; 2 prodittatori; 2 dittatori; 7 dimissionari; 6 o 7 milionari; 5 morti che non contano più, ben inteso; 69 impiegati;5 banchieri; 6 maggiori; 25 nobili senza specifica di titolo; e Verdi! il maestro Verdi. Vi è di tutto - il popolo eccetto». Il popolo eccetto, proprio come oggi. C’è solo da aggiungere che, in più, il nostro Parlamento - il Parlamento dei giorni nostri - annovera pure oltre 50 tra inquisiti e simili. Dite che da noi oggi c’è clientelismo, compravendita di voti, favoritismo, parentopoli, magari "camorra"? Bella scoperta, niente di nuovo. Pag.125 e seguenti di quel libro d’antan. «Se io volessi ora rimestare nella cosiddetta consorteria napoletana, molte miserie e cose non liete dovrei ricordare». Quella consorteria che siede (siamo nel 1861, non dimenticatelo) sui banchi del Parlamento e che è una vera e propria «associazione di mutua difesa d’incapacità e di mutua assicurazione di profitti». Dunque, essi, i signori deputati esponenti della citata consorteria «son passati quasi tutti per gli affari a Napoli. Non fecero che impinguare i loro, non obliando punto se stessi,considerando la cosa pubblica come affare di famiglia. Un giornale di Napoli accusò taluni di questi di peculato. Si commise un’inchiesta sulla denunzia. Poi La Francesca, che istruiva, fu traslocato, e l’inchiesta rimase sepolta»... Non ci stupiamo. Nemmeno ci stupiamo che poi, ovviamente, sempre essi «popolarono gli uffici di parenti, di amici, di parenti degli amici e di amici dei parenti». Altro che Napoli; noi ci abbiamo pure Roma, Taranto, Milano, Palermo, Torino, L’Aquila, e Fiorito, Lusi, Belsito, Formigoni, Regione Lazio, Regione Lombardia, Finmeccanica, Grandi Eventi, Tarantino, Scilipoti, De Gregorio; e ancora ancora. No, proprio niente da invidiare a quelle lontane pagine scritte dal nostro ottimo amico Petruccelli centocinquant’anni fa. Tanto che non ci fanno effetto. Così come non ci fa effetto l’antropologia "parlamentare" (qualcuno direbbe il bestiario..) che il nostro autore ottocentesco descrive così puntualmente. Per dire, Il parlamentare che «dicendo tuttonon dice niente»; quello «a cui non si può dire con sicurezza, è questo, sarà questo! Sarà, e bazza a chi tocca»; quello «che siede con la sinistra e vota con la destra»; quello che «non parla per la Camera, ma per l’ Europa»; quello che, essendo «un grand’uomo non parla, non pensa, non scrive, e tutto dissimula per un sorriso d’importanza»; quello «il cui pensiero di deputato è un mistero»; quello «che spesso dorme ma vota sempre bene»; quello che «è dominato dalla malattia della vanità» ed è sempre in tiro «per parlare di sé sotto il pretesto di parlar di non importa che»; quello a cui «l’ambizione gli aveva esilarato il cervello»; quello che «ha fatto giuramento di vedere ogni giorno il suo nome nel resoconto delle sedute, non fosse che per far rimarcare che nel processo verbale si era omessa una virgola»; quello che è «più studioso di parere che di essere»... Tutte vecchie conoscenze, caro Petruccelli. L’unica differenza è che allora, nel 1861, avevano i nani e non le ballerine.Ma solo perché le donne non votavano. Maria R. Calderoni
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