Se un amico di Napoli vi confida che vuole emigrare in Polonia, non chiedetegli se è diventato matto: per come vanno le cose l’idea potrebbe quasi avere senso. Secondo i dati dell’ Istituto di statistica europeo , aggiornati al 2011, il reddito medio dei napoletani è ormai inferiore a quello dei polacchi. Nei primi si ferma a 16.100 euro l’anno, mentre per i secondi è più alto di 300 euro. L’area d’Europa con il PIL più alto è invece la parte occidentale di Londra, cuore finanziario della Gran Bretagna, dove la media supera i 150mila euro. Ma in Italia c’è chi è messo ancora peggio. Nella provincia di Medio Campidano, in Sardegna, il reddito è di 11.200 euro l’anno: poco meno che in Bulgaria. Seguono Caserta e Agrigento, intorno ai 13mila e qualche centinaio di euro in più rispetto a un abitante medio della Romania. Resta forte la divisione nord-sud, anche se in quest’ultimo spicca la provincia di Catanzaro che supera i 20mila euro l’anno – fattopraticamente unico nel meridione –, mentre al centro si distingue Rieti; chi vi abita ha in media un reddito più basso di quello dei vicini. Roma è un caso a parte. Essere il centro della burocrazia italiana, con il relativo carico di retribuzioni elevate, non può che portare a risultati maggiori: un elemento che in qualche misura sposta i redditi – ma non per forza quanto poi si produce davvero – verso l’alto. Al nord invece i milanesi hanno un reddito medio di 45.600 euro, quasi il doppio della media europea. Un valore senz’altro elevato, ma forse neppure troppo per quello che dovrebbe essere il centro della borghesia produttiva italiana. Senza neppure arrivare a Londra, in cui i tanti stranieri della City finanziaria renderebbero il confronto poco sensato, basta andare in Francia o in Germania – a Monaco, Parigi o Bonn – per trovare diverse aree in cui il reddito si aggira o supera i 60-70mila euro a persona. PIL PROCAPITE E POTERE D’ACQUISTO I dati nonconsiderano solo quanto le persone producono, ma tengono in conto anche il diverso costo della vita. Affitti più alti e beni più economici, servizi a buon mercato o meno: tutti fattori che nella vita concreta contano almeno quanto lo stipendio che riceviamo. Si tratta del modo più accurato per capire qual è il reale tenore di vita delle persone in un regione piuttosto che in un’altra. Come succede di consueto quando si calcola il PIL, è inclusa anche una stima (più o meno accurata) dell’evasione fiscale. Eppure basta tornare qualche anno indietro per capire come i problemi italiani siano tutt’altro che nuovi. La crisi non ha fatto che pesare su un sistema già affaticato – in alcune zone più che in altre. Basilicata, Puglia e Calabria, per esempio, già prima della recessione del 2008 crescevano poco – meno dell’1% l’anno. Emilia Romagna, Marche e Lazio avevano invece un ritmo più elevato, intorno al 2%. Il motore pare inceppato da tempo: già intorno al 2002-2003 in diverse regioni ilreddito ha fatto un salto indietro, per poi calare a picco dal 2008. In Molise la recessione ha fatto più danni: fino al 2011 l’economia è decresciuta in media del 2,9% l’anno; meno in Campania, con una caduta dell’1,8%. Seguono Calabria (-1,7%), Sicilia e Basilicata (-1,6%). Quando gli altri cadono – magra consolazione – anche restare fermi è un segnale positivo. È il caso di Lombardia e provincia di Bolzano, dove invece le cose sono rimaste stabili oppure la diminuzione è stata minima. REGIONI CHE ARRANCANO Chi più in fretta, chi trascinando i piedi, resta il fatto che diversi paesi stanno cominciando a uscire dalla crisi. Molti, ma non l’Italia. Chissà che l’amico napoletano non abbia tutti i torti.Davide Mancino,l’espresso
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