L’Italia è in recessione, ma per la guerra i soldi si trovano sempre
 











Sostiene Emma Bonino, ministro degli Esteri nel governo Letta, che beh, gira che ti rigira, alla fine anche in Siria è lì che si dovrà andare a parare: istituire una no fly zone. Che, guardata distrattamente, può sembrare una strategia per imporre il cessate il fuoco a tutti i contendenti, mentre in realtà è un modo diplomatico per dire che la Siria andrà bombardata perché si possa “imporre” la pace. Infatti, istituire una no fly zone, come si è visto in Libia, non è esattamente un’operazione pacifica. Se ci fossero dubbi, bastano le parole dell’allora segretario alle difesa Usa: «Chiamiamo le cose con il loro nome - aveva detto Gates alla vigilia dell’attacco a Gheddafi nel 2011 - Una no fly zone inizia con un attacco contro la Libia per distruggere le sue difese aeree. Solo dopo un attacco così sarebbe possibile far volare i nostri aerei sul paese senza timori che i nostri uomini vengano abbattuti».
Ovviamente si preferisce non spiattellarloai quattro venti, ma piuttosto mettere l’accento sulla “conferenza di pace” che Usa e Russia stanno preparando per giugno. Però, solo il fatto di parlarne e di considerare l’istituzione della no fly zone come un’opzione inevitabile segnala che la strada diplomatica non sarà perseguita con convinzione (almeno dalle maggiori potenze occidentali).
Il che vuol dire anche che l’Italia si prepara ad affrontare una nuova guerra. E soprattutto nuove, ingenti spese militari (mica potremo tirarci indietro!), proprio mentre il paese, strangolato dalle politiche di rigore, versa in condizioni economiche disastrose, ormai sprofondato nella recessione più nera; e proprio mentre il governo non sa dove trovare le risorse minime per rifinanziare la cassa integrazione straordinaria, risolvere il problema degli esodati, fare investimenti che rilancino la crescita, ridurre almeno un po’ le tasse su lavoratori e imprese.
Nuove spese militari, quando ancora dobbiamo pagare quelle vecchie. Chi siricorda dell’Afghanistan? Lì, la situazione è sempre più fuori controllo, con gli attacchi contro le truppe Nato che si susseguono, senza che nessuno (nemmeno gli americani) sia più in grado di dire quando sarà possibile chiudere la missione i cui costi continuano a crescere. Insomma, un (mezzo?) fallimento, un pantano da cui non si sa come uscire. Ebbene, per quella missione, l’Italia dovrà pagare la sua parte fino al 2017 (e non più solo fino al 2014) per l’addestramento dell’esercito afghano: 480 milioni di dollari (circa 360 milioni di euro), in tre tranche da 160 milioni (per gli anni 2015-2016-2017; per il biennio 2013-2014, la spesa dovrebbe aggirarsi sui 120-150 milioni) cui si devono aggiungere, ovviamente, i costi di partecipazione alla missione (cioè le spese per i nostri soldati, materiali, logistica, ecc).
Almeno questo è il calcolo del Gao (Governement accountability office), una specie di Corte dei conti Usa, che ha redatto un rapporto (anticipato da Lettera43)piuttosto allarmante, non solo per quanto riguarda i risultati concreti della missione in Afghanistan, ma soprattutto per l’impossibilità di valutare i costi futuri dell’operazione. Che, sottolinea il rapporto, sta mancando l’obiettivo di rendere «indipendenti» i soldati afghani, per cui, per ora, è impossibile parlare di ritiro delle truppe straniere. Allo stesso tempo, la situazione sul campo si fa più pericolosa per i soldati stranieri, esposti a continui e crescenti attacchi non solo dei talebani, ma persino degli stessi soldati afghani, che sempre più spesso (per stress o convinzioni religiose, dice il rapporto) aprono il fuoco contro i soldati Nato, con crescente numero di feriti e morti. Per non dire che l’escalation di violenza talebana non  accenna a diminuire: giusto oggi un attentato suicida nella parte orientale di Kabul ha fatto 15 morti e almeno 38 feriti. Fra le persone decedute gli stranieri sono sei, di cui due soldati internazionali e quattro contractor. Nelmirino c’era un convoglio Isaf.
Ovviamente, concentrata solo sulla sicurezza, la missione ha totalmente fallito sul versante della ricostruzione: finora le spese militari hanno assorbito il 77% del budget (e così sarà per i prossimi cinque anni, prevede il rapporto del Gao), mentre a fini umanitari è andato un misero 3%. Qualcuno lo dica a Bonino. Romina Velchi









   
 



 
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