Richard Wagner, la musica
 











Il 22 maggio 1813 nasce a Lipsia Richard Wagner. La sua opera fondamentale “L’anello del nibelungo”, reinterpreta il mito dell’oro sacro, sul fondo del Reno, che promette il dominio del mondo. Alberico, il nibelungo, lo ruba seminando nell’universo la tragica avidità. Gli Dei ne sono contagiati. Wotan strappa a sua volta l’oro ad Alberico e se ne serve per pagare i giganti che gli hanno costruito la reggia, il Walhalla. Ma il mondo non avrà pace sino a quando l’oro non torni al Reno.
Perciò Wotan crea una razza di eroi capaci di sottrarre l’oro ai giganti: i gemelli Sigmund e Sieglind generano Sigfrido, il semidio senza paura. Ma anche Sigfrido è travolto dalle passioni e, dopo aver ucciso il gigante-drago, viene spento a tradimento dal figlio di Alberico. L’oro, tuttavia, torna al fiume: Brunilde, la donna di Sigfrido, lo restituisce prima di immolarsi sul rogo dell’eroe morto. Le fiamme invadono il Walhalla. Il regno degli Dei s’inabissa.Comincia l’era dell’uomo redento dall’amore.
Nell’incendio periscono le fantasie di Maja, quanto l’uomo ha costruito in sé, nel suo universo mentale, scambiando le illusioni per realtà, sottraendo se stesso e il mondo dalla verità. Il fuoco divora implacabilmente il cielo, le degenerazioni del pensiero, non la terra che restituisce, al contrario, alla sua sanità naturale. Il crepuscolo degli Dei si chiude dopo l’immenso incendio con le immagini simboliche della purezza, del sacro, della vita pronta a rigenerarsi: lo scorrere del fiume Reno in cristalline trasparenze; l’oro purificato e riconsacrato dalle fiamme, in fulgente blocco; le bellissime figlie del Reno (la vita nasce dalle acque), sorprese nella loro maliziosa sensualità, innocente astuzia.
Quando la violenza della storia raggiunge il suo acme, la natura si prende la sua grande rivincita, rimette ogni cosa al suo posto.
Il Ring, l’anello invidiato, ambito, la stessa smania di possesso, il grande inganno che implica inun labirinto senza uscita nel quale tutto è fantasmagoria, niente è reale.
L’anello come brama di possesso che incatena di giorno in giorno, di vita in vita nel cerchio del samsara. Da una parte le passioni che perdono, il degrado morale, dall’altra la natura negli incanti del Reno, del sole delle albe e dei tramonti, del volo degli uccelli tra i verdi rami dei boschi. La miseria della vita attuale e l’anelito a una vita altra. Bisogno di autenticità, riscatto dal falso d’una pretestuosa morale. Buddha e il filosofo prediletto da Wagner, Schopenhauer, mettono in guardia dalla brama di possesso, dall’attaccamento a idee e cose. Sigfrido è l’eroe che scopre la vacuità delle cose, degli uomini e perfino degli Dei. Anche gli Dei sono epifenomeni, comparse di un regno di ombre, illusioni della realtà e non la suprema realtà quale pretendono di essere.
Gli Dei non possono niente contro la virtù dell’eroe. Pur disponendo di enormi ricchezze soggiacciono alla natura, non possiedono lalibertà del consapevole.
Quando Sigfrido da uomo virtuoso guarda al Walhalla gli Dei si dissolvono come ombre al sopravvenire della luce.
C’è l’uomo, l’unica realtà che Wagner definisce rein – menschliches (puro umano), il costruttore, demiurgo delle fantasie e delle categorie della storia. Quando Sigfrido muore le alte fiamme che divorano il suo corpo divorano perfino la stessa dimora degli Dei, il Walhalla. Un’immagine di sconvolgente bellezza per mostrare che il mondo, tutto il mondo, non è esterno all’uomo ma interno, interamente calato nel pensiero. Con l’uomo muore tutto un universo. Non c’è un mondo ma tanti mondi quanti gli uomini. Pensiero e cosmo si equivalgono, l’uno pesa quanto l’altro.
L’incendio cosmogonico è la fine di un’illusione, quella dell’io e delle sue rappresentazioni. Muore Sigfrido e con lui cessano le grida, le passioni, tanto la ricercata luminosità di Wotan quanto la combattuta oscurità di Alberich, ma a tutto questo c’è un continuo, il tema finale,d’una tale bellezza, dolcezza che commuove e sembra perfino fermare il tempo. Il senso lo esplicita lo stesso Wagner nelle ultime due quartine, scritte ma non musicate, probabilmente per non sovraccaricare l’opera: “Non beni, non oro, non la grandezza degli Dei, non palagi, non il dominio…né legami di cattive convenzioni, né la rigorosa legge di una morale ipocrita, beati nella gioia e nel dolore, d’ora innanzi solo esistere l’amore.”
Wagner si pone agli ascoltatori in veste del guru schopenhauriano che salva, riscatta dalla miseria dell’esistere con la musica. L’unità tra musica, parole, scena, il continuo ritornare del Leitmotive che cancella la visione lineare del tempo e disegna l’eterna perfetta, pura circolarità nella quale tutto ritorna in maniera diversa eppure uguale, concorre a sanare la scissione tra arte e comunità, uomo e natura, uomo e tempo.
Proprio come il rito, il dramma, le sacre rappresentazioni nell’antica Grecia e nell’India contemporanea, l’arte di Wagnersuscita, ridesta dal sé più profondo le radici comunitarie rivestite di mito, raggiunge il molteplice per addurlo in unità. Desta e celebra l’io plurale. Alla pluralità di individui (la non comunità), orfani ad opera del cristianesimo delle proprie radici, quasi mutilati, ridesta e restituisce lo spirito della comunità.
Richiamo all’antico come crepuscolo aurorale, inizio, re- inizio.
L’etimologia di mythos, traducibile letteralmente in parola (non del pensato ma del reale), lascia intendere chiaramente il significato di annunciazione. Il mito scandaglia l’esistenza nei più riposti recessi ed esercita un grande potere nelle deliberazioni della volontà. Espressione di predisposizioni, bisogni profondi, il mito è principio generante, quasi presagio di ciò che avverrà. In Platone la stessa riflessione filosofica sorge dai miti. Dal mondo nasce il sogno, perché il sogno trasformi il mondo, diceva Novalis. Wagner è così il vate di tutte le nazioni indoeuropee, come lo fu Omero pertutte le città greche. Scopre le corde più sottili e sensibili di una grande, comune identità.
Non più ascoltatori indifferenziati, semplice ascolto ma sacro ristabilirsi dell’unità, rito, processo salvifico.
Un dramma nel quale la struttura musicale rompe le forme chiuse dell’aria, trasformata l’armonia, dissolti i rapporti tradizionali della costruzione musicale in un tessuto di sorprendente novità.
Si realizza, in Wagner, quella evoluzione delle arti che porta alla pittura impressionistica e alla poesia di Baudelaire e di Mallarmé. Il disegno si perde nel colore e questo si arricchisce di luci inattese, di sorprendenti contrasti; la parola si carica di significati inediti e si muove liberamente in una libera e ardita sintassi. Tutto ciò che oggi si chiamai ‘avanguardia’ nasce da questo fenomeno di rottura delle convenzioni su cui l’arte si reggeva da secoli. Un fenomeno legato alla contemporanea trasformazione della società, alla contemporanea rottura di tutti queirapporti tra uomini e tra classi che la rivoluzione francese aveva cominciato a sconvolgere.Il legame tra arte e società non è mai automatico, lo sappiamo. L’arte riflette con un linguaggio proprio la natura del mondo in cui si sviluppa. Al sovvertimento dei valori e degli antichi equilibri in Europa corrisponde, con violenza anche più radicale, il rinnovamento del linguaggio artistico. In questo campo Wagner marcia all’avanguardia.   Il pubblico ascolta, si immerge nella sublime armonia delle note e all’improvviso si accorge di non essere più lo stesso, qualcosa comincia ad agire in loro, a liberarli di fastidiosi pesi, ed essi non sono più soltanto il presente ma il presente e il passato remoto, i signori del futuro.Non più comparse, il tempo di un percorso tra due abissi, ma eterno danzare, ruotare nel continuo del cerchio sacrale.Wagner evoca il sacro dalle scaturigini più profonde, dal nucleo di forza delle origini. Con l’ultima grande opera, altissima sotto il profiloetico, il Parsifal, si ispira alla religio dei contemporanei, ma non per avvalorarla, anzi per operare una sistematica e puntuale inversione di rapporti e valori dell’era volgare. Nel Parsifal il riferimento non è il Cristo della vulgata paolina, nelle sue svariate versioni ma l’illuminato dalla meditazione, il Buddha.Scrive infatti: “L’insegnamento del Buddha è una visione della vita talmente imponente che tutte le altre sembrano minuscole al suo cospetto. Il filosofo con i suoi pensieri profondi, lo scienziato con i suoi ampi risultati, l’artista con la sua feconda immaginazione, l’uomo con il cuore aperto per ogni cosa che respiri e soffra – tutto questo trova la sua dimora illimitata in questa meravigliosa ed incomparabile concezione del mondo.” Il successo, la novità dell’arte wagneriana consiste nella sua totalità, apertura infinita alle polarità della vita, nell’affidare le note musicali ai giochi d’ombra della luce e delle tenebre, farle cullare, quasi fluttuare da esse, comele onde del mare, ora placide, ora impetuose, addirittura travolgenti, ma sempre incantevoli. L’arte totale, autenticamente rivoluzionaria, nel senso etimologico dell’espressione: fine come ritorno al punto di partenza nell’inizio di un nuovo, eterno ciclo.Il ciclo della tetralogia inizia con l’origine del cosmo in Mi bemolle maggiore e il fluire dell’arpeggio in quella tonalità, con il Mi bemolle grave dei bassi in profondità, e il nascere della natura e delle sue forze primigenie. Il motivo finale “redenzione attraverso l’amore”, sale in sublime armonia e chiude in Re bemolle maggiore. La discesa di un tono intero nell’adozione della tonalità appare la formula wagneriana che svela l’intoccabile vitalità del nucleo aureo – acqueo – generativo, il coincidere della fine con l’inizio, di omega con alfa. L’eterno nascere, morire e rinascere dell’intero cosmo.Gli Dei del Walhalla non sono diversi da quelli dell’Olimpo e del Mahagharata, l’universo mentale, la realtà spirituale diriferimento è la stessa. L’origine della cultura indoeuropea, la potenza primigenia da ritrovare nella sua purezza, libera da ogni contaminazione, alla fine dell’incendio purificatore per ricominciare.La cosmogonia occupa il grande compositore dal 1848 al ‘52. La data è significativa, contiene la rivoluzione di Dresda cui Wagner partecipa esponendosi a fianco degli anarchici Roeckel e Bakunin che finiranno in carcere, mentre egli si salverà fortunosamente in Svizzera dove rimarrà esule per una dozzina d’anni. I simboli sono trasparenti. L’oro è la fonte di ogni disastro, è la maledizione del mondo, la lebbra che lo corrompe. Chi possiede l’oro, per effetto di un furto, diventa oppressore e assassino. I nibelunghi, i giganti, gli dei e gli eroi, tutti sono corrotti dal suo mostruoso potere e l’umanità ritrova la pace solo quando l’oro torna nel fondo del fiume e gli dei vengono annientati. L’oro è la proprietà privata e la proprietà è un furto, insegna Proudhon. La distruzione dellaproprietà è il primo passo per la liberazione dell’uomo. Il passo finale è la distruzione dello Stato (il Walhalla, il potere degli Dei). Il ciclo nibelungico spezza definitivamente la forma del melodramma ottocentesco per sostituirvi qualcosa di interamente nuovo: un dramma di pensiero, di ideologia, di politica, di mistica. Una cosmogonia che è anche una rivolta contro l’oppressione, un trattato politico. In Arte e Rivoluzione”, l’opuscolo redatto nel ‘49, subito dopo il fallimento dei moti di Dresda, scrive: “il mondo, è dominato dai furfanti e dagli imbroglioni devoti all’ideale del “cinque per cento”. Questa divinità ci rende schiavi cosicché la nostra liberazione deve essere in primo luogo una liberazione dalla proprietà privata grazie a un movimento operaio e rivoluzionario che vi sostituirà “il raziocinio sociale dell’umanità che si impadronisce della natura e delle sue ricchezze per il bene di tutti”.“Tutto muore, nulla è eterno. Una sola cosa resterà, la nona sinfonia!” ,grida Bakunin in piedi, nel mezzo del teatro, allargando le braccia all’amico Richard Wagner, appena sceso dal podio di direttore d’orchestra. Per essere presente alla prova Bakunin rimunciò a ogni precauzione, benché ricercato dalla polizia, per accorrere a teatro. Wagner è un ardente rivoluzionario e nel 1949 convince Bakunin a impegnare le sue conoscenze militari nella difesa di Dresda, insorta dopo il ritiro della Costituzione. “Il governo provvisorio è ultramoderato; lo so bene ma cosa può fare di buono un governo che non ha neppure la forza di organizzare una truppa? Vieni con me” Lo porta al Municipio, dove decine di giovani organizzano nella confusione più completa, la distribuzione di armi e di viveri. “Ebbene, ti piace questa sinfonia?”Bakunin si lascia convincere, offre il suo contributo. Purtroppo le truppe prussiane che giungono a Dresda e circondano la città sono preponderanti: quattro giorni dopo non c’è più speranza.“Rinserriamoci nel Municipio (propone Bakunin) eresistiamo fino all’ultima palla. Poi diamo fuoco alle polveri e lasciamoci saltare in aria. Il nostro sacrificio sarà un seme fecondo!” Wagner dissente “La democrazia ha bisogno di organizzatori e di combattenti, non di ricordi gloriosi!” Anche questa volta Bakunin segue il consiglio dell’amico. Morire o sopravvivere non è per lui una questione di principio. Gli interessa qualunque cosa possa servire il movimento rivoluzionario. La ritirata, un capolavoro di tattica, sottrae all’assedio delle truppe prussiane, duemila uomini.Scrive Bakunin prima di morire: “La musica non pretende di esprimere qualcosa di determinato, ci offre uno stato d’animo generale, la grande e generosa nostalgia che domina la nostra epoca. Perciò la musica è un’arte grande e tragica.”Si realizza, in Wagner, quella evoluzione delle arti che porta alla pittura impressionistica e alla poesia di Baudelaire e di Mallarmé. Il disegno si perde nel colore e questo si arricchisce di luci inattese, di sorprendenticontrasti; la parola si carica di significati inediti e si muove liberamente in una libera e ardita sintassi.
Tutto ciò che oggi si chiamai ‘avanguardia’ nasce da questo fenomeno di rottura delle convenzioni su cui l’arte si reggeva da secoli. Un fenomeno legato alla contemporanea trasformazione della società, alla contemporanea rottura di tutti quei rapporti tra uomini e tra classi che la rivoluzione francese aveva cominciato a sconvolgere.
Il legame tra arte e società non è mai automatico, lo sappiamo. L’arte riflette con un linguaggio proprio la natura del mondo in cui si sviluppa. Al sovvertimento dei valori e degli antichi equilibri in Europa corrisponde, con violenza anche più radicale, il rinnovamento del linguaggio artistico. In questo campo Wagner marcia all’avanguardia.  
Il pubblico ascolta, si immerge nella sublime armonia delle note e all’improvviso si accorge di non essere più lo stesso, qualcosa comincia ad agire in loro, a liberarli di fastidiosipesi, ed essi non sono più soltanto il presente ma il presente e il passato remoto, i signori del futuro.
Non più comparse, il tempo di un percorso tra due abissi, ma eterno danzare, ruotare nel continuo del cerchio sacrale.
Wagner evoca il sacro dalle scaturigini più profonde, dal nucleo di forza delle origini. Con l’ultima grande opera, altissima sotto il profilo etico, il Parsifal, si ispira alla religio dei contemporanei, ma non per avvalorarla, anzi per operare una sistematica e puntuale inversione di rapporti e valori dell’era volgare. Nel Parsifal il riferimento non è il Cristo della vulgata paolina, nelle sue svariate versioni ma l’illuminato dalla meditazione, il Buddha.
Scrive infatti: “L’insegnamento del Buddha è una visione della vita talmente imponente che tutte le altre sembrano minuscole al suo cospetto. Il filosofo con i suoi pensieri profondi, lo scienziato con i suoi ampi risultati, l’artista con la sua feconda immaginazione, l’uomo con il cuore aperto perogni cosa che respiri e soffra – tutto questo trova la sua dimora illimitata in questa meravigliosa ed incomparabile concezione del mondo.”
Il successo, la novità dell’arte wagneriana consiste nella sua totalità, apertura infinita alle polarità della vita, nell’affidare le note musicali ai giochi d’ombra della luce e delle tenebre, farle cullare, quasi fluttuare da esse, come le onde del mare, ora placide, ora impetuose, addirittura travolgenti, ma sempre incantevoli. L’arte totale, autenticamente rivoluzionaria, nel senso etimologico dell’espressione: fine come ritorno al punto di partenza nell’inizio di un nuovo, eterno ciclo.
Il ciclo della tetralogia inizia con l’origine del cosmo in Mi bemolle maggiore e il fluire dell’arpeggio in quella tonalità, con il Mi bemolle grave dei bassi in profondità, e il nascere della natura e delle sue forze primigenie. Il motivo finale “redenzione attraverso l’amore”, sale in sublime armonia e chiude in Re bemolle maggiore. La discesa di untono intero nell’adozione della tonalità appare la formula wagneriana che svela l’intoccabile vitalità del nucleo aureo – acqueo – generativo, il coincidere della fine con l’inizio, di omega con alfa. L’eterno nascere, morire e rinascere dell’intero cosmo.
Gli Dei del Walhalla non sono diversi da quelli dell’Olimpo e del Mahagharata, l’universo mentale, la realtà spirituale di riferimento è la stessa. L’origine della cultura indoeuropea, la potenza primigenia da ritrovare nella sua purezza, libera da ogni contaminazione, alla fine dell’incendio purificatore per ricominciare.
La cosmogonia occupa il grande compositore dal 1848 al ‘52. La data è significativa, contiene la rivoluzione di Dresda cui Wagner partecipa esponendosi a fianco degli anarchici Roeckel e Bakunin che finiranno in carcere, mentre egli si salverà fortunosamente in Svizzera dove rimarrà esule per una dozzina d’anni.
I simboli sono trasparenti. L’oro è la fonte di ogni disastro, è la maledizione del mondo, lalebbra che lo corrompe. Chi possiede l’oro, per effetto di un furto, diventa oppressore e assassino. I nibelunghi, i giganti, gli dei e gli eroi, tutti sono corrotti dal suo mostruoso potere e l’umanità ritrova la pace solo quando l’oro torna nel fondo del fiume e gli dei vengono annientati.
L’oro è la proprietà privata e la proprietà è un furto, insegna Proudhon. La distruzione della proprietà è il primo passo per la liberazione dell’uomo. Il passo finale è la distruzione dello Stato (il Walhalla, il potere degli Dei).
Il ciclo nibelungico spezza definitivamente la forma del melodramma ottocentesco per sostituirvi qualcosa di interamente nuovo: un dramma di pensiero, di ideologia, di politica, di mistica.
Una cosmogonia che è anche una rivolta contro l’oppressione, un trattato politico. In Arte e Rivoluzione”, l’opuscolo redatto nel ‘49, subito dopo il fallimento dei moti di Dresda, scrive: “il mondo, è dominato dai furfanti e dagli imbroglioni devoti all’ideale del“cinque per cento”. Questa divinità ci rende schiavi cosicché la nostra liberazione deve essere in primo luogo una liberazione dalla proprietà privata grazie a un movimento operaio e rivoluzionario che vi sostituirà “il raziocinio sociale dell’umanità che si impadronisce della natura e delle sue ricchezze per il bene di tutti”.
“Tutto muore, nulla è eterno. Una sola cosa resterà, la nona sinfonia!” , grida Bakunin in piedi, nel mezzo del teatro, allargando le braccia all’amico Richard Wagner, appena sceso dal podio di direttore d’orchestra. Per essere presente alla prova Bakunin rimunciò a ogni precauzione, benché ricercato dalla polizia, per accorrere a teatro.
Wagner è un ardente rivoluzionario e nel 1949 convince Bakunin a impegnare le sue conoscenze militari nella difesa di Dresda, insorta dopo il ritiro della Costituzione. “Il governo provvisorio è ultramoderato; lo so bene ma cosa può fare di buono un governo che non ha neppure la forza di organizzare una truppa? Vieni conme” Lo porta al Municipio, dove decine di giovani organizzano nella confusione più completa, la distribuzione di armi e di viveri. “Ebbene, ti piace questa sinfonia?”
Bakunin si lascia convincere, offre il suo contributo. Purtroppo le truppe prussiane che giungono a Dresda e circondano la città sono preponderanti: quattro giorni dopo non c’è più speranza.
“Rinserriamoci nel Municipio (propone Bakunin) e resistiamo fino all’ultima palla. Poi diamo fuoco alle polveri e lasciamoci saltare in aria. Il nostro sacrificio sarà un seme fecondo!” Wagner dissente “La democrazia ha bisogno di organizzatori e di combattenti, non di ricordi gloriosi!” Anche questa volta Bakunin segue il consiglio dell’amico. Morire o sopravvivere non è per lui una questione di principio. Gli interessa qualunque cosa possa servire il movimento rivoluzionario. La ritirata, un capolavoro di tattica, sottrae all’assedio delle truppe prussiane, duemila uomini.
Scrive Bakunin prima di morire: “La musica nonpretende di esprimere qualcosa di determinato, ci offre uno stato d’animo generale, la grande e generosa nostalgia che domina la nostra epoca. Perciò la musica è un’arte grande e tragica.” Giovanni Luigi Manco

 









   
 



 
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