La crisi della grande editoria
 











Il flash che proponiamo è quello del gruppo editoriale Rcs. Che ha appena reintegrato il suo capitale sociale appianando le perdite di bilancio con esborsi delle banche di riferimento. E che, nel solo primo trimestre di quest’anno continua ad accumulare perdite medie per oltre 35 milioni di euro al mese.
Una situazione di perdite strutturali di bilancio pari o quasi a quella di tutti – ripetiamo tutti – gli altri gruppi “autorevoli” maggiori, dal Sole 24 ore (Confindustria) a La Stampa (Elkann-Agnelli), alla Editoriale l’Espresso (Repubblica) di De Benedetti.
Poiché il “corrierone” ci tratta da “stampa clandestina e negazionista” è con piacere che rendiamo loro noto che leggiamo i loro consuntivi, le loro trattative di scorporo delle testate decotte o quasi, i loro piani di scarico del costo della loro manodopera, le loro scelte di accoppiarsi strumentalmente con i loro pari (ora Milano-Torino, poi chissà) tanto l’una voce vale l’altra e illoro lettore medio non perde granché dalle fusioni, dalle strategie di dimagrimento occupazionale e quant’altro. Non è che ce ne freghi granché di loro, ma poiché si tratta di posti di lavoro (pensiamo esclusivamente ai grafici e poligrafici, per i giornalisti, beh, tanto loro vanno dove fischia il vento…) e di una crisi sistemica che riguarda tutto il settore, l’interesse non è tanto professionale, ma di tutela dei lavoratori.
Per tutta la stampa incide, si badi bene, sia il calo dei ricavi pubblicitari (il settore pubblicitario registra in Italia a febbraio un calo del 16,5% rispetto al pari periodo 2012 e del 24,7% nel caso dei giornali) e sia i cosiddetti “ricavi diffusionali”, e cioè le vendite. Un mix che è destinato a portare al tracollo del settore nel breve-medio termine. Torniamo alla Rcs. In questo 2013 – il pubblico di fatto lo ignora, ma gli addetti del mestiere seguono il caso passo dopo passo – il gruppo ha posto all’incanto una filiera di testate, con tanto didipendenti al seguito: 90 i soli giornalisti, 22 i poligrafici, che va dalle riviste Astra, Europeo, Brava Casa, Max, Novella 2000, Ok salute, Visto, Yacht&Sail al gruppo dell’enigmistica.
Con i sindacati a fare muro contro la vendita e a chiedere lo stato di crisi a spese dello Stato, almeno fino a tutto il 2014, dei tre competitori già in gara ne era rimasto di fatto rimasto soltanto uno: il gruppo Seregni, che ha dalla sua il potere sia finanziario che editoriale (carta, grandi stamperie nazionali) per aggiudicarsi il contratto. Con l’approssimarsi dei termini ultimi per chiudere la dismissione, però, ieri, si è affacciata sulla scena un’altra società interessata, la spa Bioera presieduta da Daniela Santanchè e sostenuta dall’agenzia pubblicitaria (anche legata a Il Giornale) “Visibilia”, sempre diretta dall’onorevole pidiellina.
Praticamente le due offerte (Seregni-Mastagni e Bioera-Santanchè) si equivalgono. Per Rcs l’esborso – in “dote” o “accompagnamento economico” –sarebbe tra i 20 o i 30 milioni di euro. Ambedue le società si presentano con al fianco un “fondo” di garanzia. Ma la garanzia occupazionale della Santanchè è per 24 mesi, mentre con Mastagni si discute su una partecipazione dei lavoratori nell’azienda. Il vero divario tra le due offerte è rappresentato dalle differenti attività principali dei due contendenti. L’uno in grado di realizzare consistenti risparmi stampa, l’altro appeso al mercato della pubblicità. Un mercato però, quantomeno, di questi tempi, volatile.
Ora la parola è all’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, che già l’11 febbraio scorso aveva dichiarato di essere intenzionato a chiudere l’operazione entro due mesi.









   
 



 
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