Milano, la Statale laurea don Ciotti, don Colmegna e don Rigoldi: "Con loro più giustizia"
 











Solo posti in piedi per entrare nell’aula magna dell’università Statale, a Milano, per l’inaugurazione dell’anno accademico. Durante la cerimonia il rettore Gianluca Vago ha attribuito tre lauree honoris causa in comunicazione pubblica e d’impresa ai tre preti ’di frontiera’ più noti in Italia: i milanesi don Virginio Colmegna (presidente della Casa della carità) e don Gino Rigoldi (Comunità nuova) e il torinese don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, l’associazione contro le mafie. Alla cerimonia erano
presenti anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha dedicato qualche parola ai suoi "tre amici", come li ha definiti. "Una laurea a tre testimoni del loro tempo - ha detto Grasso - Abbiamo bisogno di persone come loro. Persone che con il loro senso di responsabilità e il loro spirito etico danno l’esempio alle giovani generazioni per cambiare il Paese".
"Non chiamateci pretidi strada - ha esordito don Ciotti - siamo preti e basta. Ogni ulteriore qualifica è di troppo. Dire preti di strada non ha senso perché il Vangelo e la strada sono inseparabili. La strada è l’incontro con Dio e incontro con le persone, è la saldatura fra terra e cielo. Vivere il Vangelo non vuol dire soltanto insegnare e osservare la dottrina. Vuol dire prima di tutto incontrare e accogliere, avendo come unico criterio i bisogno e le speranze delle persone". I tre sacerdoti si conoscono da almeno quarant’anni e sono spesso stati assieme combattendo le stesse battaglie a fianco dei poveri, degli immigrati, degli ex drogati, dei malati di Aids e in difesa della legalità.
Tutti e tre sono stati tra i fondatori del coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza Cnca, che si è battuto contro le leggi che penalizzavano la tossicodipendenza prima che i narcotrafficanti. Casa della carità e Gruppo Abele hanno fatto diversi progetti comuni. Ciotti ha rimarcato che il "noi è la chiavedel cambiamento: un noi praticato e vissuto dove si accantonano egoismi e individualismi. Significa lasciar da parte i personalismi, la presunzione di essere indispensabili". Parole importanti per uno dei volti simbolo dell’Italia che si oppone alla criminalità.
Don Colmegna nella lectio magistralis ha ringraziato l’università spiegando che questo riconoscimento "è occasione per ripensare al senso profondo di essere preti di strada. Siamo preti che vivono con una forte motivazione evangelica il partire dalla strada come scelta di vita, che non si stancano di comunicare che l’incontro con i poveri non è una relazione dove li si utilizza per esercitare bontà, ma come dice il Papa essi sono una categoria teologica". Colmegna ha detto che "la strada non è il luogo speciale dei più eroici, degli attivisti originali, ma è la condivisione di un cammino di ospitalità". A margine della cerimonia, don Colmegna ha espresso tutta la sua preoccupazione per la situazione nella quale si trovaMilano. "Milano sta esplodendo - ha detto parlando delle periferie - Si avverte molto il dramma della gente e c’è il forte rischio di una guerra tra poveri". La attuale situazione "non deve essere teatro di dibattito, ma bisogna fare cose concrete. Bisogna stare nel mezzo - ha aggiunto - perché una città sta bene quando si parte dalle periferie".
Nando Dalla Chiesa ha tenuto una prolusione ricordando che i tre preti "sono persone che hanno militato per lunghi decenni dalla parte degli ultimi, i senza casa, i giovani evirati dalla droga, gli emarginati, i malati senza speranza di aids, i migranti, Senza mai domandare se avessero un dio o quale fosse. Hanno svolto così servizio caratteristico dell’università all’interno della società in cui opera, portando in questa attività formativa i frutti di un sapere cresciuto sul campo. Hanno dovuto svolgere una forma continua e multiforme di comunicazione".
Nella delibera con cui il senato accademico ha approvato le tre lauree si legge cheCiotti, Colmegna e Rigoldi "hanno usato il potere della parola per costruire una realtà sociale più avanzata e più giusta, per educare, difendere, costruire cultura e senso comune. E anche per fare vincere sfide difficili alle imprese che hanno creato, da quelle sorte sui beni confiscati alle mafie alle cooperative di servizio che hanno dato lavoro a giovani e soggetti svantaggiati".
Don Rigoldi, cappellano del carcere Beccaria da trent’anni, ha detto che "questo
titolo in scienza della comunicazione mi piace molto perché tocca il lavoro quotidiano che faccio da tempo e da questa nasca una relazione. Cercare di ascoltare e di capire, anche i ragazzi del carcere, mi è sempre sembrato necessario per aiutarli a capire quel che era successo e per aiutarli a costruire il futuro. Trovare il linguaggio ë importante. Io non ho fatto l’università, ma ho imparato a comunicare, senza recitare e interessandomi a chi mi ascolta".Zita Dazzi,repubblica










   
 



 
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